Esattamente come e'
successo nei miei precedenti soggiorni, anche nell'ultimo ho potuto
notare attivita' commerciali, a Tunas, aprire ed altre chiudere nel
giro di poche settimane.
Da quando, un paio d'anni
fa, Raul ha permesso ai cubani di mettersi in affari, molti di loro
hanno provato a diventare imprenditori di se stessi.
Ovviamente senza nessuna
esperienza di nessun tipo alle spalle.
Esistono alcune regole per
l'imprenditoria privata che valgono per ogni paese del mondo e che,
se non rispettate, ad ogni latitudine, possono portare al peggiore
“fracasso”.
Intanto occorre, od
occorrerebbe conoscere il mestiere che si va a iniziare, “panate'
fa el to meste'” e' un detto che, nella maggior parte delle
situazioni, andrebbe preso come oro colato.
Bisogna poi appurare
quante attivita' commerciali simili o uguali gia' esistano nel
quartiere dove si pensa di iniziare a lavorare.
Verificare quanta
richiesta e di che qualita' il prodotto che si vuole crare gode,
nelle immediate vicinanze della bottega.
Se occorre del personale
bisogna fare una sorta di casting (come fece un ristorante italiano
aperto da poco, con decine di ragazze in coda fino sulla strada per
poter sperare di fare le cameriere) o comunque essere in grado di
individuare le persone con le competenze giuste che possano essere
utili nel progetto.
Infine, oltre ad azzeccare
la zona, occorre avere risorse economiche sufficienti, non solo per
realizzare il progetto, ma anche per supportarlo nei primi periodi
dove, sicuramente, le sole certezze saranno le spese.
Se viene meno anche solo
uno di questi parametri l'epilogo e' gia' scritto nel prologo.
Il rischio maggiore lo si
corre quando si tratta con prodotti deteriorabili nel tempo, come gli
alimenti.
A gennaio ho visto
chiudere due paladar “cubani” nel giro di una settimana, oggi
c'era l'insegna, domani era sparita.
Quando parlo
dell'eccellenza della nostra cucina, quella italiana, non lo faccio
sicuramente a caso.
Se un cubano decide di
andare a mangiare fuori, non si aspetta di avere nel piatto lo stesso
cibo che consuma a casa.
Ma anche se fosse, a quel
punto, perche' spendere il doppio in un paladar quando ci sono i
ristoranti dello stato dove spendi pochissimo, ti riempiono il piatto
e per la loro necessita' di “riempirsi” sono perfetti?
Il cubano che puo'
permettersi di andare a mangiare fuori, vuole qualcosa di speciale,
fosse anche una pizza fatta come u'signuruzzu comanda (Camilleri
docet).
La cortesia del personale,
la velocita' del servizio, il rapporto qualita'/prezzo, anche a Cuba
iniziano ad essere indicatori della riuscita o meno di un progetto.
Diverso il discorso che
riguarda altre attivita'; ci sono a Tunas alcuni negozi, di recente
apertura, che vendono scarpe.
In realta' si tratta di
garage “aperti” dove artigiani espongono i loro prodotti.
Giusto per capirci, un
tacones puo' costare anche 30/40 cuc, si tratta pero' di un prodotto
che non si deteriora, se non si vende oggi, resta esposto fino a
quando non arriva il compratore giusto che, quasi sempre, si tratta
di uno yuma con fanciulla d'ordinanza accanto.
L'altro parametro
fondamentale, forse il piu' importante, consiste nell' avere un
minimo di capitale alle spalle per supportare il negocio nel suo
primo anno di vita.
Qua' cascano quasi tutti i
cubani.
La maggior parte di loro,
non so in base a quali cervellotici calcoli, e' convinta di iniziare
a guadagnare 5 minuti dopo l'apertura dell'attivita'.
Chiunque conosce un po'
come funziona il mondo, sa bene che le cose non vanno mai in questo
modo.
Occorre che la voce si
sparga, che la gente venga a vedere il prodotto, che essa stessa sia
la migliore forma di pubblicita' mandando altri clienti.
Nel frattempo c'e'
l'impuesta da pagare, la materia prima da comperare, il personale
(eventuale) che deve portare a casa quanto concordato.
Questo a prescindere che
si sia incassato o meno.
Il cubano investe tutto
cio' che ha, anche quello che non ha, per l'apertura del meccanismo,
ma poi gli manca l'ossigeno per mandare avanti positivamente il
progetto.
Non sarebbe male poi, una
volta visti i primi soldi, che il cubano di turno non se li sputtani
alla velocita' della luce nelle solite cazzate che conosciamo bene
Noi, quando sara' il
momento del paladar, abbiamo gia' messo in preventivo almeno un'anno
di “integrazione” che non deve essere un bagno di sangue, ma che
comunque deve indirizzare il negocio nella giusta direzione.
Fino a quando i cubani
penseranno che domani non esista andranno incontro piu' a delusioni
che successi
Anche loro stanno imparando che domani esiste. Giuseppe
RispondiEliminaMeglio tardi che mai
EliminaQuesta mattina mi manda un messaggio un amico, uno dei pochissimi gobbi col senso dell'umorismo
RispondiEliminaDue amici si incontrano.
"Sai che Papa Francesco è terrorizzato e gira con le mani sulle palle?"
"Perché?"
"Perché il Toro vince un derby ogni morte di Papa. . . "
GENNAIO 2014
RispondiEliminaSe la si compara con quel che sta accadendo in altre parti del mondo – e l’Ucraina è il primo caso che balza alla mente – la protesta dei ‘cuentapropistas’ di Holguín (vedi video) può apparire poca, anzi, pochissima cosa. E – sebbene, proverbialmente, le apparenze ingannino – è più che possibile che, in effetti, poca, anzi, pochissima cosa sia davvero.
Questi i fatti (ovviamente ignorati dai media locali, ma diffusi nelle ultime ore, urbi et orbi, via Internet): giovedì scorso, nella città di Holguín, capitale dell’omonima provincia nel nord-est dell’isola (ai turisti nota soprattutto per le splendide spiagge di Guardalavaca), alcune centinaia di lavoratori in proprio – per lo più venditori ambulanti – hanno chiassosamente marciato per le vie del centro protestando contro le restrizioni burocratiche che impediscono loro di lavorare come vorrebbero (e potrebbero, stando alle nuove leggi).
Niente di che: molte grida di protesta, qualche spintone e, pare, una manciata di arresti…Nulla, in ogni caso, che suggerisca, anche solo per remote assonanze, l’imminente arrivo di ‘primavere’ di sorta. Un po’ perché le dimensioni degli eventi non lo consentono, e un po’ perché le sorti d’altre e recenti primavere, tutte rapidamente discioltesi in sanguinosi ed interminabili inverni, hanno ormai trasformato in un’espressione di malaugurio questa, un tempo luminosa, metafora stagionale. Una cosa è tuttavia certa: nella morta gora della Cuba castrista – dove, per molte ragioni, nel mezzo secolo abbondante della “revolución” il dissenso ha sempre preso, non la via della piazza, bensì quella della fuga dal grigiore d’un unanimismo senz’anima – anche un piccolo atto di ‘rebelión callejera’ rappresenta un fatto nuovo ed insolito. Un fatto, dal quale si può, con ragionevole certezza, ricavare almeno una modesta, ma significativa profezia. Se i molto timidi ‘aggiornamenti’ del socialismo imposti negli ultimi anni da Raúl non sono, come già furono in passato, che meri espedienti tesi a tenere a galla un economia da troppi anni basata su principi di pura sopravvivenza, il regime dovrà prima o poi (più prima che poi) fare i conti con le forze nuove e con le nuove contraddizioni che il cambiamento ha liberato.
In che modo? Stando alle cifre fornite lo scorso dicembre dalla Asamblea Nacional del Poder Popular i lavoratori “en cuenta propria” – o, per l’appunto, ‘los cuentapropistas’ – sono oggi 444,109. Ed il loro numero va aumentando in ragione, grossomodo, d’un 10 per cento all’anno. Sono molti? Sono pochi? E soprattutto: quanto profondi sono i cambiamenti che la presenza di questi (relativamente) nuovi protagonisti economici e sociali preannuncia nel più prossimo (e meno prossimo) futuro?
Rispondere non è facile. Ma un paio di cose si possono dire. La prima: i ‘cuentapropristi’ sono sicuramente pochi se valutati in rapporto alle esigenze macroeconomiche d’un paese – Cuba, per l’appunto, – che ha il disperato bisogno di ridurre (d’almeno un milione e mezzo d’anime, stando a quel che lo stesso Raúl ha a suo tempo calcolato) il numero dei lavoratori alle dirette dipendenze d’uno Stato tanto onnipresente quanto bolso, inefficiente e (talora ridicolmente) autoritario.
E sono sicuramente, i ‘cuentapropisti’, non solo molti, ma decisamente ‘troppi’ rispetto alle paure, ai ritardi ed al plumbeo istinto d’autoconservazione di quel medesimo Stato, da un lato immancabilmente destinato a crollare sotto il proprio peso e, dall’altro, troppo pesante – mentalmente pesante – per riuscire a muoversi in direzione di qualsivoglia futuro.
RispondiEliminaI molto modesti ‘disordini’ di Holguín sono, al di là delle loro concrete dimensioni, molto potenzialmente importanti proprio perché ci raccontano di questa intrinseca contraddizione. Quella d’un regime che ha bisogno di cambiare (e che sta, in effetti, cambiando), ma che, avendo canonizzato sé stesso (peccato, questo, comune a tutte le forme di socialismo più o meno reale) non può neppure permettersi, lessicalmente parlando, di chiamare ‘riforma’ quel che cambia, preferendo, invece, dibattersi nel limbo d’un ‘aggiornamento del socialismo’ che, ad ogni passo, smentisce se stesso.
In concreto: quel che resta del castrismo ha – e non da oggi – un’assoluta necessità di riconsegnare all’iniziativa privata parte d’una economia asfissiata dalla sua stessa, sbrindellata ubiquità. Ma, nel soddisfare questo impellente bisogno, non riesce, come in un pavloviano riflesso, a resistere alla tentazione di limitare e di punire, con restrizioni assurde, o con insensate tassazioni, le forze che ha evocato per salvare se stesso. Vuole, il governo cubano, liberare la sua ‘plantilla’ statale dal peso di 1.500.000 lavoratori, ma nel contempo impone ai ‘cuentapropristi’ tasse che percentualmente aumentano a seconda del numero di dipendenti che assume. Più bene mi fai, più io ti castigo.
Assurdo? Certo. Ma non tanto assurdo se giudicato nell’ottica d’un regime che nulla vuol cedere in termini di potere politico. E che con orrore contempla, al di là delle proprie necessità pragmatico-materiali, il crescere di forze sociali che, spinte dalla propria indipendenza economica, possano rompere lo schema dell’assoluta obbedienza fin qui reclamata in cambio del soddisfacimento (spesso fittizio) di tutte le esigenze di base.
Verrebbe da dire, parafrasando il Karl Marx del Manifesto (un libro che, anche nel socialismo ‘aggiornato’ di Raúl, è parte della filosofia di Stato e che, per questo, continua ad esser studiato nel più pedestre dei modi): ‘Un spettro s’aggira per Cuba: lo spettro del cuentapropismo…’. Come finirà nessuno può dirlo. Ma di sicuro qualcosa, nel regno dei Castro, è cominciato…
Chi é autore art? Freccia.
EliminaNon ricordo è preso dal Fatto quotidiano
EliminaIo mi candido per fare i casting alle ragazze.
RispondiEliminaPosso trasferirmi, automunito, patente B.
Aggiudicato.
EliminaDove hai "rubato" la foto d' apertura con la bici?
RispondiEliminaVoglio anche io un monumento così nel mi paese...più biciclette meno automobili...
Freccia
Ho le mie fonti. , .
RispondiEliminaAl tuo post odierno aggiungo, parlando in linea generale...che a volte è meglio riconoscere i propri limiti amministrativi ed affidarsi ad un contabile SERIO e PREPARATO...almeno nella fase iniziale di un attività "in proprio"...infatti accade spesso che il piano investimenti e quello che viene impropriamente chiamato piano d' ammortamento vengano clamorosamente sbagliati causando danni irrimediabili...
RispondiEliminadella serie come dire addio all' utile d' esercizio...
Freccia
Infatti in una societa' di due ci vorrebbe sempre un gestionale e un'operativo
Eliminase ripassi da quelle parti ALMENO una cervezita è d' obbligo..
RispondiEliminaFreccia
Quali parti Freccia?
Eliminadalle parti del monumento biciclettaro...
EliminaImmagine presa dal web. Non so neanche dove sia. . .
EliminaCardenas...
EliminaFai mettete la birretta in frigo
EliminaIl Consiglio di Amministrazione di Sace ha deliberato un
RispondiEliminasostanziale aumento - da 10 a 100 milioni di euro - del plafond destinato
al sostegno di operazioni di export e investimenti a Cuba.
La decisione, informa una nota, conferma il crescente interesse del
gruppo assicurativo-finanziario nei confronti del mercato cubano, nel
quale Sace ha progressivamente ampliato la propria operativita' grazie ad
un attento monitoraggio dell'evoluzione del contesto operativo e alla
partecipazione attiva alle piu' recenti missioni tecniche e istituzionali.
Hanno contribuito a tale giudizio positivo su Cuba fattori quali il
miglioramento del contesto politico-economico; le recenti riforme varate
dal Governo per incentivare gli investimenti esteri in settori chiave;
l'accordo di ristrutturazione del debito a breve termine firmato da SACE
con il Governo di Cuba nel 2011, sinora onorato con pagamenti regolari, e
il proseguimento del dialogo per la ristrutturazione del debito di
medio-lungo termine a livello internazionale.
Il portafoglio di impegni assicurati da Sace a Cuba presenta importanti
prospettive di crescita. In collaborazione con il Banco Nacional de Cuba e
altre controparti bancarie locali, sta valutando nuove operazioni nei
settori dell'energia, metallurgia, meccanica strumentale e apparecchi
elettro-medicali. Settori funzionali allo sviluppo industriale e
socio-economico di Cuba, in cui il Made in Italy ha molto da offrire,
beneficiando peraltro della recente riforma della "Ley de Inversio'n
Extranjera" che ha ridotto gli ostacoli all'importazione di macchinari per
l'industria: comparto, quest'ultimo, che gia' oggi rappresenta oltre il
35% dell'export italiano nel Paese, su un totale di 230 milioni di euro.
Secondo le stime di Sace, se il programma di riforme intraprese dal
governo dispieghera' a pieno il suo potenziale, le imprese italiane
potrebbero guadagnare 220 milioni di euro di nuovo export entro il 2019.