martedì 28 aprile 2015

APRIRE E POI...?

 Risultati immagini per cuentapropista cuba

Esattamente come e' successo nei miei precedenti soggiorni, anche nell'ultimo ho potuto notare attivita' commerciali, a Tunas, aprire ed altre chiudere nel giro di poche settimane.
Da quando, un paio d'anni fa, Raul ha permesso ai cubani di mettersi in affari, molti di loro hanno provato a diventare imprenditori di se stessi.
Ovviamente senza nessuna esperienza di nessun tipo alle spalle.
Esistono alcune regole per l'imprenditoria privata che valgono per ogni paese del mondo e che, se non rispettate, ad ogni latitudine, possono portare al peggiore “fracasso”.
Intanto occorre, od occorrerebbe conoscere il mestiere che si va a iniziare, “panate' fa el to meste'” e' un detto che, nella maggior parte delle situazioni, andrebbe preso come oro colato.
Bisogna poi appurare quante attivita' commerciali simili o uguali gia' esistano nel quartiere dove si pensa di iniziare a lavorare.
Verificare quanta richiesta e di che qualita' il prodotto che si vuole crare gode, nelle immediate vicinanze della bottega.
Se occorre del personale bisogna fare una sorta di casting (come fece un ristorante italiano aperto da poco, con decine di ragazze in coda fino sulla strada per poter sperare di fare le cameriere) o comunque essere in grado di individuare le persone con le competenze giuste che possano essere utili nel progetto.
Infine, oltre ad azzeccare la zona, occorre avere risorse economiche sufficienti, non solo per realizzare il progetto, ma anche per supportarlo nei primi periodi dove, sicuramente, le sole certezze saranno le spese.
Se viene meno anche solo uno di questi parametri l'epilogo e' gia' scritto nel prologo.
Il rischio maggiore lo si corre quando si tratta con prodotti deteriorabili nel tempo, come gli alimenti.
A gennaio ho visto chiudere due paladar “cubani” nel giro di una settimana, oggi c'era l'insegna, domani era sparita.
Quando parlo dell'eccellenza della nostra cucina, quella italiana, non lo faccio sicuramente a caso.
Se un cubano decide di andare a mangiare fuori, non si aspetta di avere nel piatto lo stesso cibo che consuma a casa.
Ma anche se fosse, a quel punto, perche' spendere il doppio in un paladar quando ci sono i ristoranti dello stato dove spendi pochissimo, ti riempiono il piatto e per la loro necessita' di “riempirsi” sono perfetti?
Il cubano che puo' permettersi di andare a mangiare fuori, vuole qualcosa di speciale, fosse anche una pizza fatta come u'signuruzzu comanda (Camilleri docet).
La cortesia del personale, la velocita' del servizio, il rapporto qualita'/prezzo, anche a Cuba iniziano ad essere indicatori della riuscita o meno di un progetto.
Diverso il discorso che riguarda altre attivita'; ci sono a Tunas alcuni negozi, di recente apertura, che vendono scarpe.
In realta' si tratta di garage “aperti” dove artigiani espongono i loro prodotti.
Giusto per capirci, un tacones puo' costare anche 30/40 cuc, si tratta pero' di un prodotto che non si deteriora, se non si vende oggi, resta esposto fino a quando non arriva il compratore giusto che, quasi sempre, si tratta di uno yuma con fanciulla d'ordinanza accanto.
L'altro parametro fondamentale, forse il piu' importante, consiste nell' avere un minimo di capitale alle spalle per supportare il negocio nel suo primo anno di vita.
Qua' cascano quasi tutti i cubani.
La maggior parte di loro, non so in base a quali cervellotici calcoli, e' convinta di iniziare a guadagnare 5 minuti dopo l'apertura dell'attivita'.
Chiunque conosce un po' come funziona il mondo, sa bene che le cose non vanno mai in questo modo.
Occorre che la voce si sparga, che la gente venga a vedere il prodotto, che essa stessa sia la migliore forma di pubblicita' mandando altri clienti.
Nel frattempo c'e' l'impuesta da pagare, la materia prima da comperare, il personale (eventuale) che deve portare a casa quanto concordato.
Questo a prescindere che si sia incassato o meno.
Il cubano investe tutto cio' che ha, anche quello che non ha, per l'apertura del meccanismo, ma poi gli manca l'ossigeno per mandare avanti positivamente il progetto.
Non sarebbe male poi, una volta visti i primi soldi, che il cubano di turno non se li sputtani alla velocita' della luce nelle solite cazzate che conosciamo bene
Noi, quando sara' il momento del paladar, abbiamo gia' messo in preventivo almeno un'anno di “integrazione” che non deve essere un bagno di sangue, ma che comunque deve indirizzare il negocio nella giusta direzione.
Fino a quando i cubani penseranno che domani non esista andranno incontro piu' a delusioni che successi

20 commenti:

  1. Anche loro stanno imparando che domani esiste. Giuseppe

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  2. Questa mattina mi manda un messaggio un amico, uno dei pochissimi gobbi col senso dell'umorismo
    Due amici si incontrano.
    "Sai che Papa Francesco è terrorizzato e gira con le mani sulle palle?"
    "Perché?"
    "Perché il Toro vince un derby ogni morte di Papa. . . "

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  3. GENNAIO 2014

    Se la si compara con quel che sta accadendo in altre parti del mondo – e l’Ucraina è il primo caso che balza alla mente – la protesta dei ‘cuentapropistas’ di Holguín (vedi video) può apparire poca, anzi, pochissima cosa. E – sebbene, proverbialmente, le apparenze ingannino – è più che possibile che, in effetti, poca, anzi, pochissima cosa sia davvero.
    Questi i fatti (ovviamente ignorati dai media locali, ma diffusi nelle ultime ore, urbi et orbi, via Internet): giovedì scorso, nella città di Holguín, capitale dell’omonima provincia nel nord-est dell’isola (ai turisti nota soprattutto per le splendide spiagge di Guardalavaca), alcune centinaia di lavoratori in proprio – per lo più venditori ambulanti – hanno chiassosamente marciato per le vie del centro protestando contro le restrizioni burocratiche che impediscono loro di lavorare come vorrebbero (e potrebbero, stando alle nuove leggi).
    Niente di che: molte grida di protesta, qualche spintone e, pare, una manciata di arresti…Nulla, in ogni caso, che suggerisca, anche solo per remote assonanze, l’imminente arrivo di ‘primavere’ di sorta. Un po’ perché le dimensioni degli eventi non lo consentono, e un po’ perché le sorti d’altre e recenti primavere, tutte rapidamente discioltesi in sanguinosi ed interminabili inverni, hanno ormai trasformato in un’espressione di malaugurio questa, un tempo luminosa, metafora stagionale. Una cosa è tuttavia certa: nella morta gora della Cuba castrista – dove, per molte ragioni, nel mezzo secolo abbondante della “revolución” il dissenso ha sempre preso, non la via della piazza, bensì quella della fuga dal grigiore d’un unanimismo senz’anima – anche un piccolo atto di ‘rebelión callejera’ rappresenta un fatto nuovo ed insolito. Un fatto, dal quale si può, con ragionevole certezza, ricavare almeno una modesta, ma significativa profezia. Se i molto timidi ‘aggiornamenti’ del socialismo imposti negli ultimi anni da Raúl non sono, come già furono in passato, che meri espedienti tesi a tenere a galla un economia da troppi anni basata su principi di pura sopravvivenza, il regime dovrà prima o poi (più prima che poi) fare i conti con le forze nuove e con le nuove contraddizioni che il cambiamento ha liberato.
    In che modo? Stando alle cifre fornite lo scorso dicembre dalla Asamblea Nacional del Poder Popular i lavoratori “en cuenta propria” – o, per l’appunto, ‘los cuentapropistas’ – sono oggi 444,109. Ed il loro numero va aumentando in ragione, grossomodo, d’un 10 per cento all’anno. Sono molti? Sono pochi? E soprattutto: quanto profondi sono i cambiamenti che la presenza di questi (relativamente) nuovi protagonisti economici e sociali preannuncia nel più prossimo (e meno prossimo) futuro?
    Rispondere non è facile. Ma un paio di cose si possono dire. La prima: i ‘cuentapropristi’ sono sicuramente pochi se valutati in rapporto alle esigenze macroeconomiche d’un paese – Cuba, per l’appunto, – che ha il disperato bisogno di ridurre (d’almeno un milione e mezzo d’anime, stando a quel che lo stesso Raúl ha a suo tempo calcolato) il numero dei lavoratori alle dirette dipendenze d’uno Stato tanto onnipresente quanto bolso, inefficiente e (talora ridicolmente) autoritario.

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  4. E sono sicuramente, i ‘cuentapropisti’, non solo molti, ma decisamente ‘troppi’ rispetto alle paure, ai ritardi ed al plumbeo istinto d’autoconservazione di quel medesimo Stato, da un lato immancabilmente destinato a crollare sotto il proprio peso e, dall’altro, troppo pesante – mentalmente pesante – per riuscire a muoversi in direzione di qualsivoglia futuro.
    I molto modesti ‘disordini’ di Holguín sono, al di là delle loro concrete dimensioni, molto potenzialmente importanti proprio perché ci raccontano di questa intrinseca contraddizione. Quella d’un regime che ha bisogno di cambiare (e che sta, in effetti, cambiando), ma che, avendo canonizzato sé stesso (peccato, questo, comune a tutte le forme di socialismo più o meno reale) non può neppure permettersi, lessicalmente parlando, di chiamare ‘riforma’ quel che cambia, preferendo, invece, dibattersi nel limbo d’un ‘aggiornamento del socialismo’ che, ad ogni passo, smentisce se stesso.
    In concreto: quel che resta del castrismo ha – e non da oggi – un’assoluta necessità di riconsegnare all’iniziativa privata parte d’una economia asfissiata dalla sua stessa, sbrindellata ubiquità. Ma, nel soddisfare questo impellente bisogno, non riesce, come in un pavloviano riflesso, a resistere alla tentazione di limitare e di punire, con restrizioni assurde, o con insensate tassazioni, le forze che ha evocato per salvare se stesso. Vuole, il governo cubano, liberare la sua ‘plantilla’ statale dal peso di 1.500.000 lavoratori, ma nel contempo impone ai ‘cuentapropristi’ tasse che percentualmente aumentano a seconda del numero di dipendenti che assume. Più bene mi fai, più io ti castigo.
    Assurdo? Certo. Ma non tanto assurdo se giudicato nell’ottica d’un regime che nulla vuol cedere in termini di potere politico. E che con orrore contempla, al di là delle proprie necessità pragmatico-materiali, il crescere di forze sociali che, spinte dalla propria indipendenza economica, possano rompere lo schema dell’assoluta obbedienza fin qui reclamata in cambio del soddisfacimento (spesso fittizio) di tutte le esigenze di base.
    Verrebbe da dire, parafrasando il Karl Marx del Manifesto (un libro che, anche nel socialismo ‘aggiornato’ di Raúl, è parte della filosofia di Stato e che, per questo, continua ad esser studiato nel più pedestre dei modi): ‘Un spettro s’aggira per Cuba: lo spettro del cuentapropismo…’. Come finirà nessuno può dirlo. Ma di sicuro qualcosa, nel regno dei Castro, è cominciato…

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  5. Io mi candido per fare i casting alle ragazze.
    Posso trasferirmi, automunito, patente B.

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  6. Dove hai "rubato" la foto d' apertura con la bici?

    Voglio anche io un monumento così nel mi paese...più biciclette meno automobili...

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  7. Al tuo post odierno aggiungo, parlando in linea generale...che a volte è meglio riconoscere i propri limiti amministrativi ed affidarsi ad un contabile SERIO e PREPARATO...almeno nella fase iniziale di un attività "in proprio"...infatti accade spesso che il piano investimenti e quello che viene impropriamente chiamato piano d' ammortamento vengano clamorosamente sbagliati causando danni irrimediabili...

    della serie come dire addio all' utile d' esercizio...

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    1. Infatti in una societa' di due ci vorrebbe sempre un gestionale e un'operativo

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  8. se ripassi da quelle parti ALMENO una cervezita è d' obbligo..

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  9. Il Consiglio di Amministrazione di Sace ha deliberato un
    sostanziale aumento - da 10 a 100 milioni di euro - del plafond destinato
    al sostegno di operazioni di export e investimenti a Cuba.
    La decisione, informa una nota, conferma il crescente interesse del
    gruppo assicurativo-finanziario nei confronti del mercato cubano, nel
    quale Sace ha progressivamente ampliato la propria operativita' grazie ad
    un attento monitoraggio dell'evoluzione del contesto operativo e alla
    partecipazione attiva alle piu' recenti missioni tecniche e istituzionali.
    Hanno contribuito a tale giudizio positivo su Cuba fattori quali il
    miglioramento del contesto politico-economico; le recenti riforme varate
    dal Governo per incentivare gli investimenti esteri in settori chiave;
    l'accordo di ristrutturazione del debito a breve termine firmato da SACE
    con il Governo di Cuba nel 2011, sinora onorato con pagamenti regolari, e
    il proseguimento del dialogo per la ristrutturazione del debito di
    medio-lungo termine a livello internazionale.
    Il portafoglio di impegni assicurati da Sace a Cuba presenta importanti
    prospettive di crescita. In collaborazione con il Banco Nacional de Cuba e
    altre controparti bancarie locali, sta valutando nuove operazioni nei
    settori dell'energia, metallurgia, meccanica strumentale e apparecchi
    elettro-medicali. Settori funzionali allo sviluppo industriale e
    socio-economico di Cuba, in cui il Made in Italy ha molto da offrire,
    beneficiando peraltro della recente riforma della "Ley de Inversio'n
    Extranjera" che ha ridotto gli ostacoli all'importazione di macchinari per
    l'industria: comparto, quest'ultimo, che gia' oggi rappresenta oltre il
    35% dell'export italiano nel Paese, su un totale di 230 milioni di euro.
    Secondo le stime di Sace, se il programma di riforme intraprese dal
    governo dispieghera' a pieno il suo potenziale, le imprese italiane
    potrebbero guadagnare 220 milioni di euro di nuovo export entro il 2019.

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