sabato 25 aprile 2015

LA LIBERTA'



Da quando ho aperto il blog, ogni anno, il 25 aprile, cerco, nel mio piccolo, di mantenere accesa la memoria di un giorno cosi' importante per il nostro paese.
Quest'anno cerchero' di farlo evitando, per quanto possibile, la giusta retorica che questo giorno evoca.
Mi piacerebbe dire qualcosa sul concetto stesso di liberta'.
La Rai, finalmente assolvendo il suo ruolo di servizio pubblico, ha trasmesso, durante la settimana, molti film che raccontavano la Resistenza e quegli anni durissimi.
La liberta' ci e' stata consegnata dalle due generazioni che hanno preceduto la mia; i nostri padri e i nostri nonni.
I primi erano, all'epoca bambini ma ricordavano bene quegli anni, mentre i secondi ne sono stati protagonisti assoluti.
Settantanni di pace, o meglio di guerre combattute da altri in altri luoghi, ci hanno fatto credere che il fatto di essere nati in un paese libero sia un diritto divino, una cosa da dare per scontato.
Non e' cosi' amici miei.
La liberta' e' un bene assoluto, un qualcosa che non e' mai scontato, un diritto che non ci siamo guadagnati perche' altri, prima di noi, lo hanno fatto
Noi ne abbiamo soltanto beneficiato.
In questi ultimi anni, ai nostri confini, sono accadute cose che dovrebbero farci fortemente riflettere.
Prima nella ex Jugoslavia e ora in nord Africa milioni di persone sono state, dall'oggi al domani, private di questo bene unico e irrinunciabile.
Puo' accadere anche a noi?
Possiamo pensare che certe cose, certe situazioni, non possano mai succedere all'interno dei nostri confini?
Non ne sarei cosi' sicuro.
Con la loro naturale estinzione si sta' perdendo la memoria di cio' che fecero i protagonisti di quegli anni.
Le loro lotte per poterci regalare un presente che, con tutti i suoi limiti, e' comunque fatto di giorni liberi.
Oggi, nelle varie televisioni, vedremo quei vecchi uomini e donne, coi loro fazzoletti tricolori ( o rossi...) al collo presenziare alle sempre piu' sparute manifestazioni dedicate a questo giorno.
A loro, solo a loro, dobbiamo la nostra liberta'.
I giovani cosa ne sanno della Resistenza a cui aderirono i loro coetanei in quegli anni?
Non ci fu nessuna guerra civile come vogliono oggi, Pansa e la sua combriccola di revisionisti, farci credere.
Ci fu solo chi, esattamente come gli 83 folli sul Granma, non accetto' di vivere in un paese soggiogato ad un branco di assassini, e decise che la libertà era un qualcosa per cui lottare e mettere a rischio la propria vita.
Noi saremo sempre grati agli alleati e al loro contributo per la liberazione del nostro paese, ma e' bene ricordare che il nord Italia, in gran parte, si libero' da solo.
Nella Torino liberata non entrarono gli alleati, ma bensi' le Brigate Partigiane Comuniste e non.
La Resistenza fu un fenomeno di popolo; nelle sue file (come il film Giovani Maestri racconta) militavano Comunisti, Socialisti, seguaci del Partito d'Azione, Cattolici, Monarchici e altri.
Tutti scelsero di lottare per la liberta', perché erano momenti in cui una scelta andava fatta.
Certo i renitenti di leva sotto Salo' rischiavano la fucilazione o la deportazione in Germania ma molti, moltissimi, scelsero di dire no, salendo in montagna e diventando, a loro volta, Partigiani.
Nessuno deve permettersi, parlando di “guerra civile”, di mettere sullo stesso piano chi decise di essere complice delle barbarie e chi invece lotto', mori' per consegnarci un'Italia libera e democratica.
Teniamoci stretta questa liberta' perche' non e' eterna, rendiamo oggi omaggio a quegli eroi civili che ce la consegnarono a prezzo della loro vita e di quella dei loro cari.
Non e' una questione di simboli e bandiere, anche se hanno avuto un loro valore.
Essere antifascisti non e' solo una scelta ma anche un dovere per un paese che il fascismo lo ha vissuto sulla propria pelle.
Sicuramente la canzone che ascoltate e' la piu' bella del nostro panorama popolare.
E' anche tanto tanto...italiana.
Va bene la Patria, la Bandiera, gli ideali ma quando il Partigiano italiano sente arrivare la fine, il suo pensiero corre alla madre, la sorella, la moglie, la compagna, la fidanzata.
Alla sua bella....Bella Ciao.
Ora e sempre Resistenza!

14 commenti:

  1. Gli eventi che, il 27-28 aprile 1945, condussero alla cattura e all'esecuzione di Benito Mussolini sulle sponde occidentali del lago di Como sono immersi in una foschia che sembra non volersi alzare più. Ma c'è una coincidenza che emerge da una nuova, inedita testimonianza: i due uomini che identificarono Mussolini in fuga e posero termine alla sua vita, erano due campioni sportivi, l'uno lombardo e l'altro romano: Michele Moretti e Ivo Bitetti. Del calciatore Moretti si sapeva. Secondo la vulgata resistenziale fu lui, ex terzino della Comense che in carriera aveva marcato anche Giuseppe Meazza, a esplodere la raffica di mitra che uccise Mussolini e la Petacci, davanti al muretto di Villa Belmonte in località Giulino di Mezzegra. Il pallanuotista Bitetti è un nome nuovo, finora mai uscito, la sua partecipazione ai fatti di quei giorni emerge da un'intervista dell'agosto 2002 in cui Bitetti raccontò la sua versione dei fatti. Ecco l'audio del suo racconto da me raccolto in quei giorni.

    I fatti sono noti: il mattino del 27 aprile 1945 una colonna di tedeschi e repubblichini sta cercando di passare il confine con la Svizzera. Ma i partigiani comunisti la bloccano a Sasso di Lungo, vicino Dongo. Nascosto nell'ultimo camion della colonna, travestito da soldato nazista, c'è l'ex dittatore, che viene smascherato durante l'ispezione dal partigiano Giuseppe Negri. La voce che gira insistente è che Negri sia stato messo in allarme dalla spiata di un fascista, forse il gerarca Oreste Bombacci. L'intervista che pubblichiamo racconta una realtà leggermente ma sostanzialmente diversa. In realtà, l'identificazione di Mussolini fu opera di un civile, Ivo Bitetti, chiamato dai combattenti della 52esima Brigata Garibaldi a fungere da interprete. La ricostruzione di Bitetti concorda in molti punti con la storiografia corrente, ma in altri si discosta, come quando accenna al ruolo svolto da "Ardente" Piccamiglio, comandante del Distaccamento di Gravedona delle Brigate d'Assalto Garibaldi. Una figura che era rimasta assolutamente nell'ombra. Nella sua intervista Bitetti racconta di aver notato per primo il falso soldato nazista che fingeva di dormire ubriaco dentro un camioncino. E aggiunge che uno dei due uomini alla guida del mezzo, probabilmente il gerarca Bombacci, gli sussurrò che a bordo c'era "il capo".
    Ma chi era Ivo Bitetti?

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  2. Non un illustre sconosciuto: figlio di uno dei padri fondatori della Società Sportiva Lazio, egli vinse, nell'estate di quello stesso '45, il campionato nazionale di pallanuoto, giocando da attaccante in coppia con Aldo Ghira, poi olimpionico a Londra col "Settebello". D'estate la pallanuoto, ma d'inverno la palla ovale: nel 1947-48 e nel 1948-49 vinse due scudetti nelle file della bianconera Rugby Roma, anche qui giostrando in un ruolo d'attacco (era alto 1 e 85 per oltre 90 chili di peso). Fu solo intorno al 1950 che Bitetti si lasciò definitivamente alle spalle il rugby. Lui che aveva letteralmente "placcato" il duce nel suo tentativo di riparare in Svizzera, probabilmente sperando di finire in mano agli agenti dell'OSS, i servizi segreti americani.
    Classe 1919, proveniente da una nobile famiglia del Regno delle Due Sicilie, i Dè Sivo, persona modesta e schiva, Bitetti ebbe un'esistenza avventurosa, partecipando alla pesca al tonno nell'Oceano Atlantico con la ditta di cui era azionista il padre: la Genepesca. Fu socio emerito del Circolo Canottieri Lazio, in quanto il canottaggio era stato il primo sport che aveva praticato fin da giovanetto, su e giù col papà Olindo lungo il tratto urbano del Tevere. Una famiglia, i Bitetti, di purissima stirpe biancoceleste e di grande passione sportiva.
    Ivo Bitetti tenne per sé questa sua incredibile storia e si risolse a tirarla fuori dal cassetto solamente quando era ormai vecchio e malato, con la preghiera di non renderla nota se non dopo la sua morte. Questa la motivazione fornita: "Ho voluto farle sapere la verità sulla cattura di Mussolini... ma eviti di pubblicarla, mi raccomando. Ci sono tanti matti in giro, nostalgici del fascismo, e non vorrei che un bel giorno me li ritrovo davanti casa a darmi delle noie. E poi io sono della "Lazio"...".

    L'autore dell'intervista a Bitetti e di questo articolo, Marco Impiglia è direttore editoriale della Società Italiana di Storia dello Sport

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  3. "E' l'inizio della fine. Quando non ci saremo più noi della nostra età, noi che il 25 aprile del 1945 c'eravamo davvero, noi che avevamo combattuto sul campo di battaglia per costruirla quella libertà, ecco, quando ce ne saremo andati per sempre, allora la verità potrà essere cancellata, distorta. E' solo l'inizio della fine...".
    Harry Shindler ha 93 anni, a venti era in Italia con l'esercito britannico a combattere il nazifascismo: lo sbarco di Anzio, la liberazione di Roma, la battaglia di Rimini, lo sfondamento della Linea Gotica, la liberazione dell'Italia. Lui c'era. Ma non ci sarà sabato alle celebrazioni di Porta San Paolo e del Campidoglio. Per la prima volta da quando vive nel nostro Paese, dove rappresenta la Italy Star Association (l'associazione dei veterani inglesi), ha declinato l'invito a parlare dal palco, come ha fatto ogni 25 aprile degli ultimi vent'anni. Ha detto "no" perché non capisce le polemiche nate intorno alla Brigata Ebraica. Quelle scaturite dalle tensioni di piazza del 2014, quando si sfiorò la rissa tra gli esponenti della comunità ebraica e i manifestanti schierati dietro una bandiera palestinese. Polemiche che hanno portato quest'anno all'annullamento del tradizionale corteo romano.
    Shindler non vuole entrare nel merito della questione. Ha le sue idee sui drammi del Medioriente, ma non accetta il sovrapporsi di vicende che secondo lui non hanno nulla a che fare con la Festa della Liberazione e che, anzi, rischiano di offuscarne valore e significato: "Hanno annullato il corteo proprio quando si celebrano i settanta anni dalla Liberazione... Una ritirata inaccettabile, davanti a quattro cretini. Conosco il coraggio dei veri partigiani, abbiamo combattuto fianco a fianco, di sicuro non avrebbero ceduto a certi compromessi".
    Ma non crede che, in fondo, sia legittimo partecipare alle celebrazioni del 25 aprile con qualsivoglia bandiera, compresa quella palestinese?

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  4. "Conosco e per certi versi condivido la causa palestinese. Ma mi chiedo cosa c'entrino certe liti nazionali e internazionali con la Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. E' come se il 25 aprile qualcuno sventolasse una bandiera cinese. O come se venissero a manifestare i sindacati con le loro bandiere per protesta contro i licenziamenti. Una contestazione sacrosanta anche questa, ma da fare in altre occasioni e in altre piazze. Sabato si festeggia l'unità del popolo, non ha senso trasformare il 25 aprile in un'occasione di divisione e di scontro. O, peggio, in una cerimonia dell'establishment, come sarà senza il corteo. Lo ripeto, questo è l'inizio della fine: se si va avanti così, tra qualche anno il significato della Festa della Liberazione verrà completamente stravolto".
    Perché la bandiera della Brigata Ebraica sì e quella palestinese no?
    "Perché i soldati della Brigata hanno combattuto settanta anni fa per liberare l'Italia. Eravamo sullo stesso fronte, loro alla sinistra della Linea Gotica, davanti Bologna, noi a Rimini, sulla destra della linea. I loro morti sono seppelliti a Piangipane, vicino Ravenna. E comunque i componenti della Brigata Ebraica provenivano da tutto il mondo, non dalla Palestina. Insomma, intendo dire che la Festa della Liberazione è aperta a tutti, ma le bandiere che sventolano devono essere quelle di chi combatteva in quel 1945".
    Cosa pensa delle scritte offensive spuntate sui muri di Roma, dopo la morte del rabbino Toaff?
    "Certe cose ormai succedono solo in Italia. E questo perché dal dopoguerra in poi nessuno ha mai chiesto scusa per quello che ha fatto il nazifascismo. Il cancelliere tedesco Willy Brandt si inginocchiò davanti al memoriale del Ghetto di Varsavia, il presidente Gauck è salito a Sant'Anna di Stazzema. Qui, invece, i conti con il passato non sono mai stati fatti fino in fondo".
    Lei dov'era esattamente il 25 aprile del 1945?
    "Sono vecchio, la memoria perde colpi. Non ricordo nulla di preciso su quel giorno, di sicuro ero tra l'Emilia Romagna e Trieste. A differenza di tanti altri miei compagni, non ho scritto un diario dei giorni della guerra: ero convinto che non sarei uscito vivo da quella terribile avventura, me lo ripetevo ogni mattina. Quindi a che sarebbe servito scrivere? Comunque non credo di aver festeggiato particolarmente: eravamo sfiniti da mesi e mesi di combattimenti e per noi casa era ancora lontana".

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  5. Ricordo un cartellone visto a cuba con un pensiero di Fidel che prendo in prestito perché credo ben rappresenti lo spirito di quei ragazzi del 45' e che dovremmo far sempre nostro:

    Luchar con audacia, inteligencia y realismo...

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  6. Liberta non è uno spazio libero, Liberta è partecipazione
    Gaber

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  7. Siamo un paese senza memoria. Giuseppe

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    1. Il processo di smemorizzazione ed appiattimento mentale é iniziato con il Drive in, Dallas, ecc...e prosegue fino ai giorni nostri con i Reality e programmi tipo Uomini e Donne...

      Solo su Rai3 e qualche canale satellitare a volte vanno in onda documentari...ultimamente su Laeffe hanno trasmesso in varie puntate la storia vista da un' altra prospettiva "Usa - La storia mai raccontata" di Oliver Stone...da consigliare la visione anche nelle scuole...

      Oppure rimane qualche buon libro...ma chi ormai parla più di lettura...sacrilegio...

      Senza cultura...la memoria fatica a resistere...

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    2. Tolta l'intervista al Comandante, Stone non ha sbagliato un colpo

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  8. Giustizia e Libertà
    Per questo morirono, per questo vivono.

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  9. DAL BLOG IL BELLO DELL'AVANA

    In una data come quella di oggi avrei voglia di parlare di Liberazione. Di quei poveri cristi che ci avevano messo tutto, in molti casi la vita stessa, per consegnarci la possibilità di mettere in piedi un paese migliore. Provo disgusto e rispetto, strano binomio, nel parlarne. Disgusto perchè, ahimè, ho letto i capitoli successivi di quella storia. Rispetto perchè io oggi non avrei palle e motivazioni per fare lo stesso. Mi piacerebbe rivolgere un pensiero di gratitudine a quelle persone e dirgli che il loro sacrificio non è stato vano. Invece è un'ipocrisia. Il loro sacrificio è stato vano.
    Di quella libertà non abbiamo saputo che farcene. Con la meticolosità di un orologiaio abbiamo rovinato, giorno dopo giorno, il progetto di un paese meraviglioso, sulla carta e nella sua storia, mai oggi, mai. Cosa direbbe uno qualunque di quei cadaveri di Salvini? E della Santanchè? E di Alessandra Mussolini? Sei morto, hai combattuto, ti sei beccato quella raffica alla schiena che ha chiuso i giochi con la tua vita per offrire possibilità future a tre stronzi così. Contento? Ha avuto un senso la tua morte? Io credo di no. Ma forse tu potresti spiegarmi il contrario, quello che nella mia amarezza non vedo. Tornano alla mente letture feroci di Fenoglio, di quel gigante di Pavese e sembrano scritti antichi in qualche lingua morta e dimenticata.
    A Cuba, intanto, il buon Saverio, ha aperto già da un paio d'anni un ristorante italiano che si chiama Bella Ciao. Le cameriere servono ai tavoli con il baschetto di Che Guevara, prevale il colore rosso e si respira un'aria, come dire, di Liberazione. La scritta del marchio ha il font della Coca Cola e non credo sia una scelta casuale. Un po' come dire: "Cari americani, prendo per il culo uno dei vostri simboli più importanti con un messaggio radicalmente opposto". Aprire oggi in Italia un ristorante con quel nome sarebbe un fallimento annunciato e forse fonte di problemi.

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  10. Triste ironia della sorte: devi venire a Cuba per dare un nome ad un'attività che ricordi uno dei momenti più alti della storia italiana. Ormai una delle prime regole è quella di scegliere un nome che non si schieri. "Viva l'Italia", accettabile ma troppo destrorso, chissà perché; "O sole mio!" troppo partenopeo, poi quelli sopra il Po lo boicotterebbero; "Er cuppolone", troppo romano, lo boicotterebbero tutti. Invece Saverio, da buon livornese sanguigno e poco diplomatico, ha fatto una scelta di campo: Bella Ciao e fanculo a tutti. Mi piace Saverio. Mi piace chi non ha paura di schierarsi. Probabilmente la sua scelta è dettata da un ragionamento furbo: quanti degli italiani che vengono a Cuba conoscono la genesi di Bella Ciao? Il 95% direbbe che è un pezzo con cui Drupi è arrivato terzo a Sanremo, l'altro 5% si appellerebbe al quinto emendamento. Comunque il Bella Ciao è un ristorante bello davvero. Un fresco pergolato dove non di rado si incontrano italiani stanziali di quelli buoni. Ottimo servizio. Un menu sempre aggiornato con creazioni quotidiane e fantasie del momento. Un giorno ho perfino trovato il caciucco ed ero commosso come un ospite di Carramba che sorpresa. L'antipasto di mare misto è uno dei più buoni mangiati all'Avana, l'eco lontano (solo l'eco, sia chiaro, e lontano) del polpo sublime della mia amata Isola del Giglio, stesso concetto, stessa regione, non a caso. A mio giudizio è il miglior ristorante italiano all'Avana. Sarà che è il posto dove hanno preso vita, tra un bicchiere di vino e l'altro, i miei migliori progetti qui. Sarà la cordialità informale di Saverio che passa trafelato e sudato per i tavoli lanciando messaggi telegrafici che accendono universi: "... è rimasto il caciucco..."; "...ancora due porzioni allo scoglio..."; "... ci sono i maltagliati..."; "Alessà, se qui va male la Celac dobbiamo cominciare a preoccuparci..." - "Dici?" - "Dico. Era buono il pesce?". Sarà tutto questo ma anche soltanto l'idea di fondo che serpeggia fra quei tavoli, l'illusione che quella partigiana sia stata una guerra vinta, una vittoria della parte migliore di un paese che ne ha fatto tesoro, e non un pezzo di storia dimenticato e tradito, che ha lasciato dopo di sè un'Italia peggiore e volgare che accompagna il suo vuoto con un motivetto che rimane nella testa, uno di quelli che si cantano nelle gite di classe, Bella Ciao, di Drupi, sì, mi pare proprio di Drupi, o no, aspè, ma non era di Toto Cutugno?

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  11. Proprio il 25 aprile ho visto un energumeno che portava appeso al collo un ciondolo con l'effige di Benito, con tanto di elmetto, insieme al crocifisso.P68

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  12. Con tutti gli idioti liberamente in giro non mi stupisco più di nulla

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