mercoledì 24 giugno 2015

UNO STATO DELL'ANIMA



È difficile spiegare lo strano rapporto che si ha con l'Italia vivendo all'estero.
Fra due settimane torno a Roma per una quindicina di giorni ed è un evento che si fa sentire.
L'Italia si muove come una malattia autoimmune.
Per lunghi periodi rimane sotto pelle ma sai che c'è ed ogni tanto torna in superficie.
Fenomeni strani. Inquietudini. Stanotte ho sognato la perifrastica passiva e non so sinceramente cosa voglia dire se non che, in fondo, sono rimasto a cazzeggiare sempre fra i banchi di un liceo della capitale.
Due giorni fa ho guardato un dvd che mi ha regalato un'amica italiana sulla trattativa stato-mafia, di Sabina Guzzanti. Niente di inimmaginabile ma, certo, quando lo vedi così, spiattellato come in un documentario sugli elefanti, fa un certo effetto.  Forza Italia sarebbe stato un partito nato dalle intuizioni congiunte di mafia, massoneria e destra eversiva. Ma va?
Poi ieri mi sono ritrovato per una mezz'ora al telefono col mio amico Maurizio a fare la formazione della Roma 2015/2016. La nostra formazione. Un budget di circa un miliardo di euro e, per dirne una, Ibrahimovic in panca a fare la riserva a Messi e a Ronaldo. Facile.
Ossessioni e perversioni. L'Italia c'è sempre.
C'è nella comunità che guardi di sbieco. Con diffidenza.
Nelle categorie con cui seppellisci facce o anche soltanto modi di essere: fascista, mignottaro, mignottaro e fascista, idiota, imprenditorino-di-questo-cazzo, pensionato squallido, monnezzaro, leghista, meridionale, comunistello.
Li conosco troppo bene. Non ce la faccio. Amo l'apertura di credito dei cubani che guardano certi esseri umani, che ci guardano, senza filtri. Italiani, e questo gli basta. A me no. Io no. Basta un'occhiata e so tutto. L'Italia dicevo.
Quel nervo scoperto o quell'articolazione che torna a far male con i cambi di tempo.
Cose che sei costretto a mettere in cantina perché se le tieni in salotto finisci disperato. Tua madre, tuo fratello, tua sorella, la Roma, cappuccino e cornetto, parlare romano, Totti, alcuni amici a cui dire "bella" o "se beccamo", parole a cazzo di cane.
Ma anche quella bruttezza che ti ha fatto scappare. Un mondo scomodo. Essere troppi e traditi.
Non essere più romani in fondo, non essere più qualcosa.
Una somma infinita di diritti ragionevoli a costruire un mondo irragionevole e inabitabile. I figli di troia, le file in macchina, le donne che hanno perso la vena della loro femminilità, i troppi tatuaggi, il botulino, le radio private, le donne che bevono troppo, troppa palestra, le depilazioni, i maxiscooter, gli smartphone, i romeni che vogliono fare gli italiani, gli italiani che vogliono farsi le romene, una sinistra imbarazzante, il culto per gli animali domestici, le degustazioni di vini, il lardo di Colonnata, la rucola, le diete, il fisico (la parola di chi ha paura del corpo), le cannette, i "so' tre etti, lascio?", gli agriturismi, le App utili, quelle spiritose, Crozza, Fazio, Lapo. Ok, finisco sempre a cercare le ragioni di un allontanamento e non è difficile trovarle.
Poi, quando sono a Roma, tiro fuori a me stesso le solite formule: "a Roma è bello fare i turisti";
"Lontano da questa follia".
Ma rimane sempre una certa amarezza.
È quella che ti rende inquieto quando sei qui e stai per tornare.
Cuba, certo, paese incredibile, gente incredibile.
Un luogo dove sono felice.
Ma dall'altra parte c'è l'anima. La lingua. Un linguaggio privato che è diventato un labirinto e ti ci perdi, e quando torni ti ci ritrovi, ed ha creato la forma dei tuoi pensieri. La tua chimica, i tuoi odori.
Quelli non hanno sostituti. Puoi solo metterli in uno scatolone e  stiparli in cantina.
E chiudere a chiave per non vederli, perché fanno male. Per non farli scappare perché sei tu stesso

Ho postato questo bellissimo scritto di Alessandro Zarlatti dal suo blog Il bello dell'Avana, perche' questi sentimenti e questi stati d'animo sono e sono stati anche miei.
In fondo, siamo qua' a scrivere per condividere emozioni e sensazioni, come e' avvenuto in questo caso.
Il periodo piu' lungo che ho trascorso a Cuba, in 3 momenti differenti, e' stato di 2 mesi.
In tutte tre le situazioni, alla fine del periodo, non ne potevo piu', non vedevo l'ora di tornare in Italia.
Quando ero decisamente piu' giovane ho passato alcuni inverni in giro per il mondo, dove mi ha portato il mio lavoro di saltinbanco.
Sette mesi alla Seychelles, sei e poi 3 alle Maldive, 4 alle Turcks and Caicos, 3 in Honduras, 7 in Grecia.
Erano anni in cui comunicare non era semplice come ora, non c'erano movil ne' internet, una telefonata a settimana se andava bene.
La voglia di tornare in Italia dopo mesi buttato su una spiaggia, i brividi a pelle ogni volta che ascoltavo “Una notte in Italia” di Fossati o “Dolce Italia” di Finardi me li ricordo molto bene.
Il problema vero e reale e' che siamo...italiani.
Probabilmente venissimo dal Canada, dalla Germania o dalla perfida Albione il distacco dal nostro paese sarebbe molto piu' facile, ma l'Italia e'...l'Italia.
Possiamo odiarla, sfancularla, non poterne piu' di tutte le menate che dobbiamo sopportare, ma il legame col nostro paese si manifesta specialmente quando ne siamo lontani.
A volte, da lontano, rimpiangiamo un paese che, nella realta' esiste solo nella nostra testa, che non e' reale e non corrisponde alla realta' dei fatti.
Anche a me, in giro per Las Tunas capita di vedere quel tipo di italiani che cita il post, anzi forse anche peggio visto che Tunas, rispetto alla capitale, e' decisamente piu' a buon mercato.
Non mi sono mai chiamato fuori, anche io faccio parte di quegli italiani, magari ho atteggiamenti differenti nei confronti del paese che mi ospita ma la mia italianita', anche negli aspetti meno invidiabili, non puo' non venire fuori.
Dopo due mesi fuori dal paese mi manca tutto.
Il cappuccio del mattino, la palestra, l'aperitivo, il pallone, i Villans, le partite del Toro, gli amici da abbracciare e con cui ridere fino alle lacrime, le donne italiane con le quali la pagnotta te la devi guadagnare senza le tante cazzate che il nostro borsello, con qualche centavos, ci permette a Cuba.
Il nostro cibo, un bel ristorante, la televisione, un buon cinema, svegliarmi nella mia casa, le piacevoli consuetudini che, tutto sommato fanno la nostra vita degna di essere vissuta.
L'Italia non e' soltanto il nostro paese ma e' un luogo che abbiamo dentro, uno stato dell'anima, un progetto magari inespresso, profumi, odori, sensazioni che non possono non mancarci quando siamo lontani.
E' un posto da lasciare, ma anche un posto in cui ritornare.
Forse per questa ragione, alla fine, la decisione di abbandonarlo definitivamente non la prendero' mai.
Lasciare un luogo per poi rimpiangerlo negli anni a venire non mi sembra un buon investimento emozionale.
Alla fine restero' sospeso fra i due mondi, rimpiangendone uno mentre sto' vivendo nell'altro.
Non riesco ad immaginare una partenza senza un ritorno, sia nei confronti di Cuba ma sopratutto nei confronti dell'Italia, cosi' bella da vivere specialmente nella stagione soleggiata e calda.
Probabilmente ci sara' sempre un po' di Cuba nella mia Italia.
Sicuramente ci sara' sempre tanta Italia nella mia Cuba.
Non so se riusciro' a mantenere questo equilibrio per sempre, forse la mia indole di zingaro con vestiti sparsi, come in questo momento, in 4 case mi aiutera'.
Essere italiani e' una cosa bellissima ma, a volte, anche una maledizione.
Comunque ieri sera sono rientrato a casa.

36 commenti:

  1. DA LONDRA CHIAMA ITALIA

    L’Italia bella, quella dei poeti, dell’arte e della moda, sembra non avere più abbastanza pane da dare da mangiare ai suoi figli che, nella confusione totale dovuta all’esser cresciuti col sogno della laurea prima, e del lavoro poi, decidono ad età in cui la precedente società ci voleva sistemati e con prole, di andare alla ricerca di un piano B.
    Bisogna ricominciare da capo.
    Ma ricominciare da capo non è semplice. Ricominciare da capo vuol dire, specie all’inizio, rinunciare a mille cose, fare sacrifici, stare lontani dai propri affetti e ricercare all’interno di se stessi una grande capacità di adattamento.
    500.000. Siamo mezzo milione noi italiani qui a Londra, lo sapevate? Ma si che lo sapevate, ormai è su tutti i giornali e non si fa altro che parlare di questo fenomeno non più tanto silente, che vede migliaia di italiani ogni anno attraversare le frontiere all’inseguimento di un sogno.
    Un sogno semplice: l’ambizione di vivere sereni, pagare le bollette, svegliarsi la mattina e andare a lavoro, e poi aspettare la sera per godersi un’atmosfera serena data dalla consapevolezza che anche quel giorno si è concluso per il meglio, anche quel giorno si può andare a dormire tranquilli. Sogno semplice? Non nel nostro Paese ahimè.
    Che poi forse dovremmo fare tutti un mea culpa, troppo facile, forse, dare tutta la responsabilità alla generazione precedente che ci ha cresciuti e viziati. Ci hanno promesso che un giorno avremmo raggiunto il successo, saremmo diventati insegnanti, avvocati, giuristi e scienziati, ma quella ragazzi, era un ‘epoca dove la parola precarietà non era di uso comune. Forse avremmo dovuto lottare di più e non rassegnarci ad una logica che vede il lavoro come premio per aver leccato il culo di quel direttore di banca, piuttosto che quel politico. Recentemente intervistavo un italiano qui a Londra, uno di quelli che ce l’ha fatta per intenderci e che, anche lui dopo i 30, ha detto basta all’Italia e ha fatto un biglietto solo andata. Mi parlava di scelte, lui, e mi diceva che la sua scelta personale è stata quella di non voler fare parte della categoria dei rassegnati, non voler guardare la propria vita sbriciolarsi nel tentativo di abbattere un muro così alto come quello che si è frapposto tra i giovani in Italia e il futuro.
    E si perché di questo stiamo parlando, di un futuro troppo spesso negato.
    E mi piange il cuore.
    Mi piange il cuore perché personalmente di realtà belle e sane in Italia io ne conosco. Ragazzi che si reinventano, creano, mettono su associazioni, organizzazioni e cooperative per esempio, realtà che funzionano… finché non devono confrontarsi con l’altra parte dell’Italia. Quella degli enti, le regioni, i comuni, che soldi non ne vogliono dare per quelle attività così importanti per il territorio, dicono che non ne hanno ma poi… Voglio dire… lo sappiamo tutti come stanno le cose.
    E la mia non vuole essere una polemica sterile basata su un discorso retorico, ma la presa di coscienza di un momento estremamente delicato e sconcertante di cui noi italiani non più ventenni siamo i protagonisti. E allora ci vuole coraggio.
    Coraggio a partire, coraggio a restare, coraggio a tornare.

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  2. Devo ammettere che quando sono partita quattro anni fa mi cullavo ancora nell’illusione che sarebbe bastato un annetto fuori, imparare l’inglese e magari fare una nuova esperienza lavorativa per spianarmi la strada e magari tornare. Ma poi una volta qui, l’idea di tornare diventa sempre di più come una foto sfocata, si perdono i margini, i colori si attenuano e lentamente si ha difficoltà a mettere a fuoco il soggetto.
    Arrivi qui e scopri nuove regole, che a volte non ti piacciono per carità, ma che devi rispettare.
    Regole da rispettare.
    Scopri che devi fare la fila ovunque, anche alla fermata del bus, che devi arrivare in orario, che l’educazione anche, qui è una regola e non solo un buon costume, scopri che se vuoi fare carriera lo puoi fare, ma devi dimostrare di meritarlo. E allora impari nuove parole che improvvisamente assumono un significato, come quel vocabolo tanto bello di cui tanti fino a quel momento si son sciacquati la bocca: meritocrazia. E che succede allora? Succede che dopo un anno vissuto qui, dove hai sentito freddo, ti sei mangiato le peggio schifezze esistenti sulla faccia della terra, hai insegnato ai tuoi come usare Skype, Viber, WhatsApp, hai patito la nostalgia più nera per i tuoi amici e tutto quello che era una volta la tua quotidianità, scopri che quelle regole non ti fanno più tanto schifo perché quelle regole sono quelle che fanno funzionare un Paese che semplicemente… funziona.
    Io, di italiani che dopo sei mesi a Londra sono scappati a gambe levate ne ho conosciuti parecchi, di quelli che “ma che scherzi io ho una laurea e un master mica mi posso ridurre a fare il cameriere!” o quelli che “meglio disoccupati in Italia che col maglione d’estate a Londra”. Niente da obiettare, infondo non c’è nulla di sbagliato in questo, non è sempre semplice adattarsi ad un’altra vita, anzi vi dico… è tutto meno che semplice.
    Londra, ragazzi, è una città tanto bella, quanto dura. Chi ci è stato se ne accorge immediatamente di quanto i ritmi siano diversi, a Londra si corre sempre e, difficile da spiegare, la sensazione è quella di essere sempre in ritardo per qualcosa. Però poi, ho conosciuto anche tanti italiani che qui si sono realizzati, che a questi ritmi si sono abituati, e sì, molti hanno iniziato come camerieri è vero, nonostante lauree e dottorati nel cassetto. Anche io l’ho fatto e non è che sia stata l’esperienza più esaltante della mia vita ma quello che ho imparato in quei mesi è stato fondamentale per tutto quello che è seguito poi. Senza considerare poi che, fare i camerieri qui, in molte realtà vuol dire avere possibilità di carriera, vuol dire emergere in un settore come quello della ristorazione che, in una città come questa, è un settore importantissimo.
    Recentemente mi hanno chiesto che cosa ha il sistema Inghilterra che noi in Italia non abbiamo più da offrire alle nuove generazioni. Suonerà come una risposta caustica, ma per me il bene primario di cui siamo stati deprivati è la speranza.
    A ventanni, abbiamo studiato, lavorato gratis, fatto sacrifici e fatto fare sacrifici ai nostri genitori perché di speranza ancora ne avevamo, ma ora quello che sento in giro è solo un grande senso di frustrazione e sfiducia.
    Che consigliare a chi viene a Londra, cosa rispondere a quelle email per me è sempre una responsabilità, una cosa difficile da fare perché Londra per me è la città che fino ad ora mi ha dato tanto, permettendomi di ricominciare a credere in me stessa e soprattutto ricominciare a credere in un futuro, ma di certo non è il Paese dei balocchi.
    Mi son trovata a dirlo tante volte: Londra è una giostra che va velocissima, da cui è difficile voler scendere una volta che si è su ma, forse, la scelta più difficile, è volerci salire.

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  3. Post da conservare nell' anima...

    Grazie!

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  4. Però è sempre più difficile restarci. Giuseppe

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  5. Come spesso accade sono d'accordo con te.
    E' difficile abbandonare per sempre e definitivamente l'ambiente in cui siamo nati e viviamo.
    Il fatto di dover trasferire moglie, figli e lavoro ti vincola un po' di più, una volta che la scelta è fatta. Ed è per questo che è più difficile prendere una decisione.

    Simone

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  6. Certo io ragiono sempre col mangiato io mangiato tutti. Con la famiglia tutto si complica

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  7. OT.
    Come volevasi dimostrare ci ho visto lungo sui vari fenomeni dei fondi di investimento a Cuba. Tutto arenato. I milionari sono spariti...
    Simone

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  8. Abbiamo stipulato un patto io y mi media manzana : andarcene là dopo che i figli qui si sono sistemati. La vedo lunga la permanenza sull'italico suolo e purtroppo corta sull'arena avanera :-((((( aaaaaaaaaaaculofannnnnnnn

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  9. Anche perché il patto stipulato con lo stato per la durata del nostro percorso lavorativo viene continuamente tradito.
    Da lui.

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  10. Per chi è romano il discorso è più complesso, ed è quello che traspira da quello chi si legge dallo scritto di Alessandro.

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  11. Amo Torino ma credo che Roma per un romano sia qualcosa in più

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    1. Anche Napoli Milco è per un napoletano qualcosa in più...di tutti i posti che ho visitato solo due città si identificano totalmente con i loro abitanti e viceversa e sono Napoli e Barcellona...
      Stefano

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    2. Si pero' io parlo di un'altra cosa....
      Quando sono in giro per lungo tempo non e' che mi manca la Mole o Palazzo Madama ma bensi' lo stile di vita e le comodita' di una grande citta' del nord.
      Roma e' Roma.
      Questa e' la forza ma anche il limite dei romani.
      Sono consapevoli di vivere nel luogo dove il mondo e' nato, dove tutto ha avuto inizio.
      Mentre i sassoni mangiavano le rape crude i nobili romani avevano acqua calda e fognature.
      Il limite dei romani e' il pensare che ancora le cose stiano in quel modo ma non funziona piu' cosi'.
      Quando nasci in quella citta' e' difficile pensare che avresti potuto vedere la luce in un posto migliore.
      Sono 35 anni che conosco i turisti romani, sono cosi' nel bene e nel male.

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    3. Vero per i romani vale più o meno il detto delle havanere originali..come è ..'l'habana e la habana todo el resto es campo'?..il problema è che il tempo passa ...il mondo progredisce e si resta indietro
      Stefano

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    4. Diciamo anche che devono avere a che fare con centinaia di inutili politici.....era meglio il Papa Re

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    5. Sulľ asse Napoli, Barcellona metterei anche Marsiglia...

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  12. Santa Fè- E' impossibile non rimpiangere qualcosa del suolo italico, per quanto uno sia integrato rimane sempre "el italiano", como mi mujer es siempre "la cubana".
    Ovviamente è un fattore mentale, siamo portati sempre ad avere nostalgia e rimpianti di ogni genere, come quella disperata fame di notizie appena sbarcato a Roma,..dopo 30 minuti di titoli che parlano delle solite notizie-spazzatura e sobre todo di politica mi rendo conto che nulla è cambiato e che PURTROPPO dovrò "resistere altri 11 mesi".
    E' basilare, una volta progettato un lungo periodo, impegnarsi e non passare le giornate annoiati, la mia Sardegna è meravigliosa ma Cuba è un'ottima alternativa, è comunque certo che io e mia moglie non staremo definitivamente ne in Sardegna ne a Cuba, sarà da un lato uno svantaggio ma vuoi mettere avere due vite e due residenze!

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    1. Tu vivi sulla costa della SARDEGNA.
      Non hai i titoli, vivendo in un posto simile, per lamentarti......

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  13. Tema complesso che affronti oggi...io onestamente ultimamente un po' insofferente della vita sul suolo italico ed anche a Cuba pur mancandomi poco del bel paese dopo tre settimane voglio tornare;ma immagino dipenda dal fatto che in Italia dove vivo e lavoro non ho radici e a Cuba non ho piu la famiglia...comunque dei due paesi mi mamcano le piccole cose..le tardi passate a cazzeggiare al bar ,le mattine al mare ,il sentirsi al centro attenzioni particolari(magari solo x interesse)questo a Cuba..qui il calcio,internet(e lo so..)la cucina...mah Milco..brutta cosa o forse no quando ciò che posti fa riflettere..ti auguro buon pomeriggio
    Stefano

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  14. Egidio Maschio, 73 anni, imprenditore di Campodarsego, fondatore con il fratello Giorgio, del gruppo Maschio Gaspardo, leader multinazionale nella produzione di attrezzature agricole, si è ucciso stamane nella sua azienda a Cadoneghe, alle porte di Padova. Si è sparato con un fucile al petto poco dopo le 6.30 in ufficio, dove era arrivato da poco. Il «Corriere del Veneto» scrive che l’azienda, che negli ultimi anni aveva affrontato ingenti investimenti, si sarebbe pesantemente indebitata con le banche. Decine i milioni di euro che avrebbe dovuto restituire. È di un anno fa una sua dichiarazione al sito del Mediocredito Investionsbank in cui sosteneva che «un vero imprenditore deve essere un po’ indebitato, perché un debito lo fai quando davvero credi nella tua attività».
    Il corpo senza vita è stato trovato da un dipendente. Il Gruppo Maschio Gaspardo Spa è una multinazionale leader nella produzione di attrezzature agricole. È ancora mistero sulle cause del gesto. A inizio mese l’azienda, di cui la famiglia Maschio era azionista di maggioranza, aveva deciso di affidarsi per la guida manager esterni, con la nomina di Massimo Bordi ex dg di Ducati e vicepresidente di MV Augusta, come nuovo Amministratore Delegato e Paolo Bettin in qualità di Chief Financial Officer (CFO).
    L’azienda conta 19 grandi centri produttivi, 16 in Italia e 3 all’estero: in Romania, Cina e India, ed è presente in tutto il mondo con 12 filiali commerciali. L’avventura industriale dei due fratelli Maschio era iniziata nel 1964 quando i due giovani avviarono la produzione nella stalla della loro casa. Quell’edificio agricolo, trasformato in laboratorio meccanico, dopo cinquant’anni è oggi un grande Gruppo industriale internazionale.
    «Sono sconvolto. Con Egidio Maschio ci lascia un grande imprenditore, ma anche un grande uomo che ha legato la sua storia imprenditoriale e personale al Veneto», commenta il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia.

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    1. Queste notizie mi mettono i brividi...

      Sui libri di scuola i nostri nipoti leggeranno di morti di banca...guerra finanziaria...

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    2. In effetti se gettano la spugna questi vecchhi leoni. ....

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    3. “Il suicidio è una cosa che non ha né diritti né doveri. Di fronte a esso ci sono soltanto due sentimenti: di pietà, di enorme pietà, per lo stato di disperazione che ha condotto la vittima al suicidio. E di rispetto. Di altrettanto rispetto per il coraggio che ha chi resta vittima di questa cosa.”

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    4. Spesso il problema e' di chi resta....

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  15. Anche a me, nei miei brevi e sporadici soggiorni all'estero (soprattutto a Cuba) mi ha risuonato spesso in testa Una notte in Italia... P68

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  16. Preso anche volo per dicembre, con Iberia partenza da Bologna, 550 euro su volo24.it dal 14 dicembre al 19 gennaio.....tra settembre e dicembre faccio 2 viaggi a Cuba al prezzo di 1100 euro totali, non male direi.

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    1. beato te...noi qui a travagliààààà...

      maaaaa forse a dicembre...gliela famo...

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  17. Si Milco muovendosi con largo anticipo si spuntano ottimi prezzi.

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  18. Infatti credo che la prossima settimana mettero' mano al borsillo....

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