venerdì 10 luglio 2015

Mimmo Cándito

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Mimmo Cándito
09/07/2015
Vi racconto una storia che sarebbe ridicola se non avesse, purtroppo, un amaro senso politico. Infatti le parole che state per leggere - tremate, tremate - sono di un...agente della Cia, che poi sarei io, secondo il governo di Cuba, che con quella motivazione mi ha espulso dall'Avana e non mi ha più concesso il visto d'ingresso (che per i giornalisti è un obbligo ufficiale). 
E' una storia di alcuni anni fa, e la racconto oggi per due ragioni: la prima, di strettissima attualità, è il rifiuto del Consiglio comunale di Torino, l'altro ieri, di concedere la cittadinanza onoraria alla blogger Yoani Sánchez anche perché sospettata di essere...agente della Cia (che è una vecchia pratica del regime di Cuba per marchiare dissenzienti e oppositori); la seconda ragione è che i recenti segnali di un mutamento del clima politico nell''isola magari possono aprire un processo di revisione di quelle ammuffite prassi staliniste, e coinvolgere pure me. Vedremo. 
Ecco la storia. Ero solito viaggiare a Cuba come inviato de "La Stampa", per raccontare le storie dell'isola e del suo regime politico. Ho sempre avuto una chiara empatia per la Revolución, pur rispettando il mio dovere professionale di obiettività nella rappresentazione delle realtà; ma ho sempre distino tra rivoluzione-progetto (seguita con interesse per i forti contenuti ideali di libertà) e rivoluzione-regime (condannata fermamente per i netti contenuti repressivi di ogni libertà). 
Quella volta volevo fare un'inchiesta sulla futura classe dirigente dell'isola. E mi parve che un incontro con gli studenti della Facoltà di giornalismo potesse essere utile a raccontare chi fossero e come si formassero coloro che poi avrebbero guidato la costruzione del consenso attraverso le prassi dei massmedia. Mi autorizzarono a incontrarli, e fui ricevuto in una grande aula dove, di fronte, erano state raccolte alcune centinaia di studenti e - da questa parte dell'aula - anche...il professore d'ideologia. Il quale raccontò ai ragazzi che "el companero italiano" avrebbe spiegato come lui vedeva la Revoluciòn.  
Dissi subito che si stava sbagliando, che io ero interessato, invece, a sapere come loro, i giovani cubani, vedessero  la Revoluciòn, e raccontai alcuni episodi contraddittori nella vita dell'isola, chiedendo agli studenti un loro giudizio. Si alzarono a parlare subito due studenti dell'isola di Capo Verde, ospiti del governo dell'Avana, che, approvati con ampi cenni dal professore di ideologia, fecero una manifestazione di fede cieca su come l'isola fosse un paradiso di generosità internazionalista e di tolleranza politica. Ripresi allora il racconto delle contraddizioni e la loro manifesta criticità, chiedendo ancora un'opinione e un giudizio. Si levò allora in piedi una ragazza, bionda, esile (che seppi poi essere figlia di un importante generale delle forze armate), la quale accolse il senso delle mie parole ed espresse un giudizio molto severo sulla "sclerosi" del processo rivoluzionario, sulla formazione incancrenita di una nomenclatura di potere chiusa nel proprio conservatorismo,  e sulla necessità di distinguere tra questa vecchia classe dirigente e, invece, Fidel Castro, tenuto all'oscuro di quelle incrostazioni. 
A quel punto, fu come in certe antichi dibattiti del nostro Sessantotto: l'aula si aprì a un incontenibile processo liberatorio, e fu un corale giudizio critico, decisamente problematico, sulla deriva di una storia che, pur ancora ampiamente condivisa, appariva però bisognosa di un forte intervento revisionistico. Il professore d'ideologia ne fu travolto, dopo un iniziale tentativo di resistenza, e andammo avanti per alcune ore, fin che non apparve sulla porta un personaggio a dire che "ora basta", la discussione era chiusa. 
Ne scrissi sul mio giornale, al rientro in Italia. E l'anno successivo chiesi nuovamente un visto d'ingresso, perché era programmato un importante congresso del partito comunista al potere. Aspettai alcune settimane, ma non arrivava risposta. Decisi allora di partire ugualmente per l'Avana, viaggiando però come un turista (per il quale non c'è necessità di visto); e, appena sbarcato, andai subito a presentarmi all'ufficio stampa del MinRex, spiegando che da alcune settimane avevo chiesto il visto e perciò ero arrivato a prenderlo personalmente. Mi diffidarono di "fare il giornalista", dovevo essere soltanto un turista; e per il visto, "vedremo". 
Nell'attesa, tentai di riprendere contatto con gli studenti di giornalismo incontrati l'anno prima; ma, tutti, si rifiutavano d'incontrarmi. Accettò soltanto una, la ragazza bionda che aveva aperto la diga della discussione in Facoltà; e mi raccontò che avevano tutti paura d'incontrarmi perché, il giorno dopo quella discussione, i professori erano passati per le aule a rimproverare con asprezza gli studenti, e a spiegargli che ingenuamente erano caduti vittime della "subdola manovra d'un agente della Cia" che, fingendosi un giornalista, aveva seminato zizzania, e li aveva spinti a parlar male del loro governo nazionale. Che si vergognassero, e si pentissero. 
Però, la notizia di quel clamoroso dibattito era intanto circolata per tutte le Facoltà,e  c'erano state riunioni e contestazioni. La nostra discussione di quel giorno era insomma diventata una sorta di scintilla che aveva acceso un fuoco che già covava nel mondo dell'Università. E quel fuoco non pareva ancora spengersi. 
Allora - mi raccontò la ragazza - era stato addirittura convocato il potente Comitato centrale del pcc, e gli studenti di giornalismo erano stati chiamati a recarsi nel solenne Palazzo della rivoluzione a incontrare l'alta ufficialità del partito, e del potere. "Erano le tre del pomeriggio, e noi stavamo da questa parte e loro stavano di fronte a noi, come un tribunale. Discutemmo fino alle 8 di sera, ma parlavano lingue diverse, non c'intendevamo proprio." Fu chiesta una breve pausa. "Alle 8.30 della sera, arrivò a parlare a noi addirittura lo stesso Fidel. Il Comandante parlò fin quasi alle 2 del mattino, spiegandoci la Revoluciòn, i doveri rivoluzionari, lo spirito nazionale contro le manovre yanqui". Quando l'incontro, alla fine, fu chiuso, "alcuni di noi furono convinti dalle parole del Lìder, altri se ne andarano a casa malcelando il loro scetticismo, altri ancora chiesero di essere inviati nei campi di lavoro in porovincia per ritrovare le ragioni dello spirito rivoluzionario". 
Ci salutammo, con la ragazza, non l'ho più rivista. Ma in quel momento compresi bene perché non volevano darmi il visto: gli avevo armato, senza volerlo, una mezza rivoluzione studentesca, e dunque ero un appestato da sbatter via, in qualsiasi modo.  
Passavano intanto i giorni, il congresso del pcc stava per cominciare e ancora la riposta era sempre "no, per il visto non ci sono novità". Ribadii che - come loro sapevano bene - io non ero in vacanza, e il visto lo avevo chiesto con largo anticipo: dunque, che facessero il loro lavoro e mi dessero la possibilità di fare il mio. Restammo in stallo. 
Ma quando si aprì il congresso, io scrissi il mio primo reportage, utilizzando intanto le notizie che avevo raccolto in quei giorni di attesa. Alle 6.30 del mattino (in Italia erano le 12,30), mi svegliò in albergo il ministro segretario dell'ambasciata italiana, dicendomi al telefono che lo avevano appena chiamato dal MinRex, il ministero degli esteri, e che gli annunciavano la mia espulsione dall'isola. Dovevo partire immediatamente. 
Dissi al ministro che non avevo alcuna intenzione di montarci su uno scandalo, pubblicando la notizia dell'espulsione, ma piuttosto lo pregavo di far passare al nostro ambasciatore la mia richiesta di un incontro ufficiale con il ministro degli esteri cubano, o con il direttore generale del MinRex, per tentare il chiarimento d'una storia che gettava una pessima luce sul governo dell'isola. E mi rivestii in tutta fretta, lasciando subito la camera dell'albergo, prima che qualcuno potesse venire ad acchiapparmi. 
Girai per l'isola con la mia auto tutto il santo giorno, facendo intanto qualche telefonata di controllo in ambasciata, e ritornai in albergo verso le 2 del mattino, sperando che gli eventuali poliziotti che, magari, mi aspettavano per agguantarmi, se ne fossero andati a nanna. Dormii tre ore, e alla 5 del mattino, fatta la doccia, nuovamente scappai  via. Non ho dubbi che, se davvero avessero voluto, gli agenti della sicurezza mi avrebbero preso e sbattuto in aeroporto; ma contai sulla loro inefficienza, sull'ambiguità d'una situazione poco chiara, e sulla mia tattica di...evaso in libera uscita. 
Quando telefonai in ambasciata verso le 10 del mattino, l'ambasciatore Malfatti mi disse che, pur con qualche difficoltà, era riuscito a farmi avere un incontro con il direttore generale del Minrex; e che fossi cauto e attento, consapevole che l'incontro era il risultato dell'attenzione di Cuba verso l'Italia e verso il giornale "La Stampa". 
Fui ricevuto al MinRex in un salottino stretto stretto, con due divani e una impressionante serie di pesanti tende che calavano dall'alto tutt'attorno alle pareti. (Chissà quanti microfoni saranno appesi, dietro queste tende - dissi a me stesso). L'alto funzionario fu molto severo: mi disse che nei miei articoli stavo raccontando un paese che non esisteva affatto, e che nell'isola i diritti sociali erano una priorità; io gli riconobbi parte delle sua ragioni, ma volli chiarirgli anche che la difesa dei diritti sociali non può essere pagata dalla violazione dei diritti umani, che la libertà di manifestazione del pensiero è boa-bla-bla, e ch'ero convinto che nel racconto dei massmedia un giudizio dialettico fosse assai più utile alla stessa Revoluciòn, piuttosto che un racconto conformista appiattito sulle ufficialità del governo.  
Naturalmente non era d'accordo, ma comunque ci lasciammo con un abbraccio, con la conferma però del mio "allontanamento", ma anche con l'offerta sua di aiutare "el companero italiano" per qualsiasi altra opportunità in futuro. 
Tutte balle. Ogni mia successiva richiesta di visto non venne mai più accolta. Ero un appestato, un agente della Cia a tutti gli effetti. 
Un agosto di qualche anno dopo, ci fu a Cuba  un'epidemia di nevrite ottica; anche se appariva che la malattia attaccasse soltanto i cubani, quella era comunque una grave minaccia per il turismo internazionale. Perciò, il governo spedì un invito a tutti i grandi giornali italiani (il turismo italiano è una fonte di risorse molto rilevante), perché un loro inviato visitasse l'isola e garantisse che la nevrite ottica non attaccava gli stranieri. Era metà agosto, un caldo boia, e l'invito era giusto giusto per 3 giorni: un giorno di viaggio, un giorno di visita degli ospedali, e un giorno di rientro. Nessuno accettò. 
Il direttore mi fece chiamare, soltanto per informarmi, convinto che davvero non accettassi una simile stancata senza grandi opportunità di lavoro sul campo. Io, al contrario,  dissi subito di sì, e chiesi che, mentre rientravo dalla mia vacanza, intanto il giornale presentasse ufficialmente all'ambasciata cubana una richiesta di estensione di 15 giorni al visto che l'Avana mi concedeva per solo 3 giorni. Era un'opportunità che volevo prendere al volo, ora vedevamo come si sarebbe comportato con me il regime cubano. 
Fummo  soltanto in 3, a ritrovarci su quel volo ( che poi era un charter di vacanzieri in partenza per le delizie estivo- sessuali di Varadero): oltre me, c'erano una giovane  collaboratrice del "Manifesto" e un anziano pensionato dell'Ansa. Nessun inviato o redattore poteva ragionevolmente accettare quel singolare invito. 
Allo sbarco, fummo subito accolti da un funzionario del Ministerio de Salud Pùblica, che ci face saltare i passaggi burocratici e ci condusse all'esterno, da dove un pullmino ci avrebbe portati all'Avana. Aspettammo per quasi un'ora, però, e non si partiva; alla fine il giovanotto disse di andar via ugualmente, c'era qualche problema della dogana. Ma, non appena il  pulmino si mise in moto, venne fuori  dall'aeroporto, correndo e  girando "Alto! Alto!", un poliziotto, che ci bloccò. Il  funzionario del ministero scese a vedere, e i due si allontanarono verso l'aeroporto, parlottando fitto. 
Capii che la mia storia stava tornando a galla. Lo raccontai molto  vagamente ai miei due compagni, che però mi guardarono scettici. 
Il  giovanotto tornò dopo un lungo tempo, era rosso in viso, agitato. Non diede  spiegazioni, e partimmo. Ma io gli dissi che volevamo sapere, che qualcosa era sicuramente successo. Lui, titubante, a mezze parole, raccontò: "Ci siamo trovati di fronte a un caso di omonimia", e spiegò che nei documenti dell'aeroporto c'era il nome di un agente della Cia che aveva il mio stesso nome. 
Gli risi addosso, spiegandogli che l'agente della Cia ero io, e ricostruii che in aeroporto c'era stato uno scontro tra gli interessi del turismo e quelli della repressione, e che evidentemente i dollari del turismo erano apparsi assai più importati, in quel momento, della brevissima visita di un appestato iscritto nella lista nera. 
Comunque, feci il mio lavoro, e anche andai personalmente al MinRex a chiedere l'estensione del visto. Ma al secondo giorno mi rimesto sull'aereo e mi rispedirono a casa. 
Fine della storia. Con un breve coda. Qualche tempo fa, dopo un mio articolo su Cuba, fui contattato dall'ambasciata cubana di Roma; mi avrebbero incontrato volentieri. Andai a Roma, pranzai con l'addetto culturale, spiegai tutta la storia. Si mostrò interessato, e mi chiese di presentare una nuova domanda di visto; lo stupii tirandola fuori dalla mia tasca, già bell'e pronta. E gli dissi: "Aspetto fiducioso". 
Aspetto ancora. 
(Ho spiegato quali ragioni mi abbiano portato a scrivere in esteso una storia che avevo sempre tenuto da parte, nella mia memoria professionale: a lungo, i giornali non hanno amato raccontare le storie personali dei loro redattori, e non c'è stato mai spazio per ricordare faccende simili. A parte i giornali, penso però che il nuovo clima di Cuba possa aiutare a dar una prima mano verso una soluzione, anche se sono convinto che la decisione di cancellare il mio nome dalla blacklist comporti un intervento politico dall'alto. E probabilmente il racconto di un blog non sarà sufficiente. Ma chissà...) 
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Prima di postare il mio commento che e' solo un'opinione e ha il valore del tempo che ci metto a scriverlo, sulla vicenda e su questo scritto apparso ieri su La Stampa, devo fare una doverosa premessa.
Considero Mimmo Candito uno dei migliori inviati speciali del giornalismo italiano.
Una gran penna della vecchia scuola, non come questi nuovi fighetti che per scrivere un pezzo su un paese vanno su internet a reperire informazioni.
Lui ha potuto girare il mondo, trovarsi al momento giusto nei posti caldi e scrivere cio' che vedeva.
Per questa ragione ho sempre trovato i suoi scritti su Cuba fuori dal contesto; rancorosi, acidi, pieni di luoghi comuni, spesso inesatti nei termini quando non nelle informazioni.
Scriveva fuori dal paese e, come quasi tutti quelli che lo hanno fatto, sbagliando.
Ma qual'e' il ruolo di un giornalista?
Raccontare i fatti senza distorcerli, senza voler intervenire per modificarli oppure dare una propria visione degli stessi?
Credo fermamente nella prima ipotesi, l'altra e' terreno per gli editorialisti, per gli scrittori.
Quando la Fallaci era corrispondente di guerra scriveva quello che vedeva, poi una volta diventata scrittrice di successo, si e' presa il privilegio di dare una sua chiave di lettura alle cose.
Tiziano Terzani, un mito, e' stato espulso dal Vietnam del sud e due volte dalla Cina oltre ad essere indesiderato in Corea del nord.
Tutto cio' pero' per quello che scriveva relativamente ai fatti che accadevano in quei paesi, non per esserci entrato a gamba tesa.
Il giornalista, sopratutto l'inviato speciale e' un occhio vigile e neutrale su cio' che accade nel paese, il suo compito e' raccontarlo non alimentare dibattiti.
Terzani non e' andato in una scuola sudvietnamita a chiedere se non avevano ragione i vicini del nord nel volere la riunificazione.
Anche perche' gli avrebbero sparato seduta stante.
Candito ottiene il privilegio, perche' con quella burocrazia e' un privilegio, di poter visitare un'ateneo cubano per parlare coi ragazzi e non trova nulla di meglio che sobillarli in una analisi critica della situazione.
Cuba non e' un paese normale; con un embargo che la soffoca da oltre 50 anni, una parte del territorio in mano al nemico di sempre, un'invasione subita e respinta e 100 tentativi di far fuori il suo leader.
Non ha mai avuto un Presidente ella Repubblica ma sempre un Comandante en Jefe....no es lo mismo.
Concedono a te, che sei cittadino di un paese appiattito da sempre (tolto l'episodio di Craxi e Sigonella) sulle posizioni del nemico storico un privilegio simile e tu lo usi in questo modo?
Bisognerebbe poi sentire l'altra campana, credo poco che Fidel, per un episodio simile, abbia dedicato 6 ore del suo tempo a parlare coi ragazzi.
La figlia di un alto papavero che si mette a criticare il regime...ma dai.....
Ti cacciano, ti bollano come indesiderato e tu, in spregio alle leggi cubane torni nel paese come semplice turista cercando poi di ottenere il visto per poter fare quello per cui sei stato cacciato?
Ho lavorato alle Maldive e in Egitto per lunghi periodi, 5 minuti dopo il mio sbarco c'era chi mi spiegava bene le leggi di un paese musulmano, leggi a cui sempre mi sono attenuto, con la stessa tenacia e precisione con cui vorrei che gli altri si attenessero nel mio di paese.
Trovo triste che questo scritto sia apparso ora, in concomitanza col fatto che la mia citta' abbia, doverosamente, negato la cittadinanza onoraria a quella cialtrona della Sanchez.
Non ho mai pensato che lei fosse un'agente della Cia, anzi ho piu' volte scritto che si e' dimostrata funzionale al potere cubano, allo stesso modo non considero certo Candito una spia della americana, semplicemente un paese sotto assedio non ha un altro mezzo...soft....che non sia quello di impedirne l'entrata nei confronti di chi, di mestiere, lo infanga.
Ha potuto godere dello status di giornalista, se ero io al suo posto buttavano la chiave....
Ora lui, come Gordiano, non puo' piu' entrare nel paese, ogni cosa che facciamo ha le sue conseguenze, lamentarsi dopo...no sirve.
P.S: Oggi fra lo scritto del giornalista e il mio commento siamo andati un po'...lunghi...ma e' estate e leggere fa bene.

35 commenti:

  1. E' fatta: Gianluca Petrachi ha strappato il sì anche a Davide Zappacosta, difensore classe 1992 che tanto piaceva ai granata. Il direttore sportivo del Torino ha ottenuto il benestare del giocatore, che aveva chiesto qualche ora in più per valutare l'offerta granata. Il Torino aveva precedentemente raggiunto l'accordo anche con Daniele Baselli: progetto quadriennale per entrambi.

    Nella giornata di ieri la società di Via Arcivescovado aveva trovato l'accordo economico con l'Atalanta e il d.s Sartori: 12 milioni totali il costo dell'operazione. Doppio colpo in arrivo per Ventura, il mercato si infiamma e decolla. Aspettando il ritiro di Bormio.

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  2. Qualsiasi cosa un uomo faccia agli animali,

    gli verrà ripagata con la stessa moneta

    (Pitagora)

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  3. Interessante articolo. Ste1

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  4. Ma questo chi si crede di essere??? Che Guevara??? oppure 007 ??? Pensa di poter andare a Cuba e fare quel cazzo che vuole fregandosene delle regole??? Scrivere che non serve un visto per andare a Cuba da turista...mahhhhh....e allora quel pezzo di carta che ogni volta paghiamo (compresi i 25 cuc all'uscita) che cos'è??? si riferirà al permesso per poter fare giornalismo dato che è VIETATO con il visto turistico. E poi etichettare tutti i turisti dediti alle delizie estivo-sessuali di Varadero....lui a Cuba non ha mai toccato una donna vero??hahahahahahahaha Alessio

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    1. La storia poi delle 6 ore di Fidel.....

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    2. Infatti.....come se Fidel non avesse nulla di meglio da fare che occuparsi di Mimmo 007 agente cia......ahahahaha Alessio

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    3. Diciamo che ha voluto......colorire il suo racconto....

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  5. mi ricordo un articolo di candito alcuni anni fa in cui sosteneva, con una intervista ad un cubanoamericano di miami, che nell'arco di alcuni mesi il governo di raùl castro sarebbe caduto e i cubanoamericani sarebbero tornati vincitori. Piu' o meno le stesse sciocchezze di sempre, che ogni giornale occidentale, che si rispetti, si fa per dire, deve scrivere per non dare l'impressione ai suoi lettori che si sia rassegnato a vedere l'isola nelle mani dei barbudos invecchiati.
    Che candito e il governo cubano non siano amici, è evidente, e dunque ognuno resti della sua opinione, con candito liberissimo di scrivere ciò che vuole e il governo cubano libero di far entrare nel proprio territorio chi crede.
    A proposito poi della cittadinanza alla sanchez, a differenza di quello che candito ha affermato, la gran parte dei consiglieri del partito democratico non gliel'ha concessa non perchè creda che si tratti di una spia della cia, ma per non intralciare il cammino che anche l'italia sta facendo per avere rapporti economici tranquilli con l'isola. Insomma se gli stati uniti apriranno l'ambasciata a la avana, nonostante gran parte di coloro che finanzia tramite l'usaid dica no, non si capisce perchè l'italia, che non ha alcun rapporto con la sanchez, debba mettere in pericolo i rapporti che possono nascere con l'isola per "una giornalista indipendente".

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  6. Condivido su tutta la linea caro Nino.

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  7. Candito è della stessa pasta di omero Ciai di repubblica due ometti pagati solo ed esclusivamente per copiate articoli della peggior stampa di Miami nessun rispetto per questi due giornalai .Dado

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    1. Ti dirò che quando non parla di Cuba lo leggo volentieri. Il problema è che vuol parlare di una Cuba che non conosce.

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  8. Dal blog di Linus, una continuazione di quanto scritto ieri, anche oggi mi trova concorde.

    IL BLOG 2
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    Come al solito riuscite a sorprendermi e a mettermi in imbarazzo. Non che non mi aspettassi una reazione, ma quello che è tornato indietro va oltre il percepito.
    Vuol dire che abbiamo costruito qualcosa di importante in questi anni.
    Quindi merita un approfondimento.
    Una cosa me la dovete concedere: a costo di essere impopolare sono sempre trasparente. Non sono capace di fingere e non mi interessa dare di me un’immagine diversa da quella autentica.
    Diciamo che è anche una piccola punta di snobismo: a questo punto che interesse avrei a cercare di essere qualcos’altro?
    Personalmente conosco solo un modo per fare le cose, ed è farle bene.
    Il bello di questo blog, lo si capisce dalla maggior parte dei commenti, è proprio nella sua puntualità. Che è poi lo stesso segreto della radio. È importante sapere di poter contare su di noi. Scrivere una volta tanto sarebbe come andare in onda una volta tanto.
    Non se ne parla.
    Sempre leggendo i vostri commenti ho trovato, in maniera ricorrente, un riferimento all’Amaca di Michele Serra e al Buongiorno di Gramellini. Detto che io sono una formica al loro cospetto, è comunque un termine di paragone corretto. Poche righe ma tutti i giorni, da leggere col caffè, appena acceso il pc.
    Ma Serra e Gramellini, talento a parte, fanno quello di lavoro. Hanno un giorno intero per scrivere, informarsi, magari riscrivere.
    Io lo faccio al mattino, insieme ad altre cento cose.
    Devo essere ancora una volta sincero: Dio sa come ho fatto in questi anni a trovare tutti i giorni quella piccola ispirazione.
    Ma non basta, perché il blog richiede almeno un’immagine di copertina, e anche quella te la devi inventare.
    Mi piace scrivere. Sto giocando con Twitter ma non è il mio mondo, con 140 caratteri puoi permetterti solo una battuta o una cattiveria. Non fa per me.
    Mi piace Instagram, tantissimo. Ma è un altro sport, non è assolutamente un’alternativa al blog.
    E quindi? E quindi adesso andiamo avanti, almeno finché siamo in onda.
    Poi andiamo in vacanza e poi vedremo.
    Per esempio, oggi mi è stato facile scrivere. Perché non ho dovuto inventarmi l’argomento.
    Scusate se sono stato prolisso.
    Ah, se state bevendo il caffè io lo prendo senza zucchero.

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  9. Santa Fè- E' già molto che Càndito sia potuto rientrare in Italia senza passare una settimana nelle"cuevas" cubane, trovo giusto che ognuno possa esprimere il proprio giudizio ma un conto è farlo in una caffeteria con gli amici un'altro è permettersi di mettere in dubbio le parole di Fidel nella sua Università.
    E' facile fare gli eroi sapendo che il rischio massimo è l'espulsione..

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  10. Tanto sono tutelati dalla tessera di giornalista

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  11. Santa Fè- Spero che quello che sta accadendo nell'area del mediterraneo insegni qualcosa, aver deposto i "tiranni" ha solo generato anarchia e violenza, la primavera araba...
    A proposito Milco che ne pensi del regalo offerto da Morales al Papa? meno male che lo stesso presidente non ha pensato di sostituire nella croce il Chè al Cristo..vista la somiglianza il rischio è stato grande!

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  12. Guarda metto giusto la foto domani.....

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  13. In questo caso, se lasciamo stare le simpatie e le antipatie di tutto il contesto, qui si parla di reato d'opinione. E lo sappiamo che a Cuba certe cose non si possono dire e fare, lo possiamo giustificare perché el vejuco ci piace e tutto il resto.
    Ma la libertà di parola ed il diritto di associazione sono diritti umani inalienabili e Cuba deve lavorare per migliorarlo e togliersi finalmente anche questo ultimo alone opaco.

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    1. Santa Fè- Intanto cominciamo a lavorare per far si che l'alone opaco sparisca anche in Italia..per quanto riguarda il diritto di opinione mi son convinto del fatto che a volte è meglio tacere piuttosto che scatenare le folle con programmi irrealizzabili e utopici, concordo con te per quanto riguarda le simpatie por el viejo.

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  14. In linea di principio potrei anche essere d'accordo. Allo stesso modo ogni paese è libero di accogliere o respingere chi vuole.
    Se ti buttano fuori dalla porta non devi rientrare dalla finestra

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  15. Assolutamente vero, ed è in questo fatto che si potrebbe intravedere della malafede nell'autore dello scritto.

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    1. Malafede peggiorata negli scritti successivi alla sua cacciata.

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  16. Santa Fè- Devo ammettere che purtroppo l'esperienza di questi anni ha fatto si che considerassi opportuno un regime "duro" in alcune aree del pianeta, non riesco a comprendere i vantaggi delle nostre pseudo-democrazie, io personalmente vivo a Cuba rispettando le regole, accontentandomi del noticiero que abla del medio ambiente e che non mi martella con stragi che avvengono nel pianeta, beata ignoranza..

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  17. In piccolo ieri spiegavo al solito fenomeno da circo che è meglio una mezza dittarura che funzioni piuttosto che una democrazia da operetta.

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    1. Santa Fè- Spiegazione che condivido totalmente.

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  18. Freccia

    Tratto da "La fine è il mio inizio" di Tiziano Terzani

    TIZIANO: Una cosa importante che devi capire è che il mio modo di operare è di leggere tanto, leggere tanta storia. Vedrai che la mia biblioteca è piena di libri sull’Indocina e la storia coloniale, perché era così che mi orientavo. Mi portavo dietro i libri o tornavo a casa e leggevo.

    Il fatto di oggi lo devi mettere in un contesto o non capisci niente. Per questo prepararsi è importantissimo. Se non capisci la storia non capisci l’oggi. Se fai la cronaca racconti delle balle, racconti quello che vedi al microscopio quando invece ci vuole il cannocchiale. La formazione di un giornalista non è certo facile ed è per questo che sono contro tutte le scuole di giornalismo. Fanno il contrario di quello che dico io perché ti insegnano le tecniche, ti insegnano come incominciare un pezzo, come finirlo bene, come mandarlo svelto. Ci vuole invece una preparazione eclettica e quella te la devi fare da solo con una cultura che viene dalla storia, dall’economia e che non impari nella facoltà di giornalismo. È assurdo andarci, è come andare a scuola di poesia. Che impari? Chi ti insegna a fare il poeta? (…)

    FOLCO: Il mestiere del giornalista veniva preso sul serio ai tuoi tempi?

    TIZIANO: Sai, erano i tempi eroici del giornalismo… prima che il giornalismo, maledettamente distrutto dalla televisione nel suo tentativo di imitarla, è stato costretto a diventare spettacolo.

    In quegli anni si scriveva davvero. Purtroppo la televisione, riducendo i tempi dell’attenzione che l’uomo riesce ormai a dedicare a una cosa – oltre all’orribile problema, uguale dovunque, della sovraofferta di tutti quei prodotti che sono lì a disposizione perché tu abbia “la scelta” – ha fatto sì che i giornali siano diventati dei contenitori in cui dentro c’è di tutto, ma solo per l’attenzione di tre minuti, come uno spot televisivo, e in cui tutto si perde nel grande minestrone delle cose che ti arrivano dal mondo.

    Oggi è impossibile scrivere cose lunghe come si scrivevano un tempo. Allora, qual è la tendenza? Fare spettacolo. Non cercare di andare in profondità. Fare una sceneggiata: un bigolino con la foto, una storia sbalorditiva. Basta, chiuso, non se ne parla più. Questo è un grande svilimento anche della missione giornalistica. Credo infatti che oggi fare quello che facevo io a quel tempo, quello che facevamo noi, sarebbe impossibile perché non c’è lo stesso spazio. (…)

    segue

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  19. Forse l'accaduto(per me molto romanzato) giornalista spiega quanto sia particolare l'isla e la sua revolucion,senza scomodare dittature africane o asiatiche ma la vicina Russia(democrazia sulla carta)un giornalista che avesse fatto le sue obiezioni sarebbe finito male e gli studenti pure peggio....poi seconda cosa: forse si da un po' troppe arie da eroe e si sopravvaluta..novello Che europeo che scatena una rivolta studensca..ma dai su...ultimo punto:che siano giuste o sbagliate le leggi di un paese estero si rispettano e il sig.re è entrato nel paese con visa turistica con intenzione di fare altro.....Giordano Lupi almeno non maschera la sua acredine e il suo odio verso Cuba..sai chi hai di fronte..lui (che per inciso a mio avviso scrive meglio )si e mi piace ancor meno..ciao Milco
    Stefano

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    1. Infatti ha narrato un piccolo fatto marginale come se si trattasse di un sequestro di persona...maomeno.

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  20. Essere giornalista mi pareva una grande e importante funzione e secondo me lo sarebbe ancora se si riuscisse a fare del vero giornalismo.

    Ma il problema è che tutto si è inquinato. La vicinanza al potere, la necessità della protezione del potere hanno creato una situazione che non è più quella di un tempo, in cui la forza del giornalismo era la sua indipendenza. Sai, una indipendenza anche economica. Quando i giornali dipendono dalla pubblicità, come succede in Italia, e la pubblicità è in mano a chi ha il potere politico, come puoi essere libero? Quando i giornali sono posseduti dalle grandi aziende contro le quali non potrai mai scrivere e che hanno i loro interessi politici, come fai a fare del vero giornalismo? (…)

    Il giornalista dev’essere uno che è, a suo modo, arrogante, uno che sente di essere libero, di non dipendere dal potere. Qualsiasi cosa mi succedesse, anche quando fui arrestato in Cina, io ho sempre detto “Fate, fate come volete! Poi io scrivo”. E questo senso che hai un diritto quasi divino a raccontare la tua verità, be’ sai, ti dà una grande forza.

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  21. Come dargli torto?
    Aggiungo che per la stragarande maggioranza della sua carriera scrisse per giornali tedeschi...per i nostri era....troppo avanti.

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    1. Aston indovina chi scrive?

      ...io ero già partito per l’Afghanistan, e ne parlai invece con Tiziano Terzani, a Kabul, dove intanto, appena più tardi, a ottobre di quell’anno, il 2001, era stata lanciata da Bush la guerra contro Bin Laden e i taleban. Tiziano arrivò in Afghanistan una sera al tramonto, già dentro il coprifuoco, e riuscii a raccattargli una stanzaccia nella topaia di Kabul dove stavamo acquartierati. E fu naturale che i nostri dialoghi di quei giorni riflettessero lo scontro duro che Tiziano aveva appena avuto con Oriana sulle stesse pagine del Corriere. Lei rabbiosamente crociata contro quello che le appariva il cedimento d’una civiltà ormai svuotata d’ogni energia vitale, lui attento a contrapporre una riflessione che tenesse conto della Storia e sapesse distinguere tra orgoglio e ragione.
      Tiziano illustrava i suoi concetti con l’usuale forza dialettica, la gran voce, i gesti larghi, irruente, trascinante (talvolta, con noi, c’era Bernardo Valli, che con la sua voce invece quieta cercava di contenere Terzani)...

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  22. Risposte
    1. al tramonto con il coprifuoco in una stanzaccia...per raccontare a noi la GUERRA!!!

      poter ascoltare quel dialogo...

      provo rispetto, tremendo rispetto...

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  23. Sono iscritto all'ordine in qualità di pubblicista, magari la prossima volta provo ad andare a Cuba come inviato speciale. P68

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