mercoledì 19 agosto 2015

SUERTE

 Risultati immagini per LAS TUNAS SPAGHETTERIA

Nei giorni scorsi, a Las Tunas, ha aperto la Spaghetteria di un mio carissimo amico.
Il personaggio fa parte della esilissima e selezionatissima pattuglia di italiani che, occasionalmente, frequento quando sono nella maggiore delle Antille.
Parlo di 6/7 persone, una mezzora al giorno o giu' di li', neanche tutti i giorni.
Ci conosciamo da un decennio, quando ancora veniva in citta' saltuariamente, essendo ancora impegnato col suo lavoro maomeno stagionale in Italia.
Moglie cubana e figlio che, un bel giorno di qualche anno fa, decise di trasferire, definitivamente a Cuba.
E' residente nell'isola e coproprietario di un paio di cuarti de renta non lontano dal centro cittadino.
Dico coproprietario perche', per tutta una serie di ragioni che non vengo certo a raccontare qua', vive con la sua meta' di questo negocio.
Fino ad ora.
Il locale dove e' nata la sua spaghetteria e' di fronte alla biglietteria del cinema cittadino, praticamente nel parque principale della capitale del balcon sull'oriente cubano.
Ottima posizione.
Era gia' un paladar, ma non funzionava per la sua connotazione troppo “cubana”, in piu' era, dal punto di vista della qualita' del locale, piuttosto poverello.
Andammo, a gennaio, a vedere insieme il locale, con noi c'era anche l'allevatore di papagallini, altro componente della nostra farandula.
Cerco', il mio amico, di coinvolgermi nel progetto.
I costi erano minimi, poche decine di cuc al mese d'affitto, qualche denaro speso per cambiare sedie e tavolini, una pitturata al locale, qualche idea sul come caratterizzarlo e il gioco era fatto.
Gli dissi che ero (e sono) gia' impegnato su troppi fronti, che le societa' non sono il mio forte, sopratutto se la maggior parte del mio tempo lo passo a migliaia di km di distanza.
Ne abbiamo gia' parlato, il paladar e' un qualcosa che va seguito da vicino, entrano soldi di continuo e non e' mai saggio per un socio restare troppo lontano dalla cassa.
Non e' in dubbio l'onesta' di nessuno, ma non mi imbarco in un impresa, pur se economicamente limitata, che non posso controllare e gestire di persona.
La renta e' un'altro discorso, so quanti turisti ci passano, anche perche' la maggior parte li mando io, ma il paladar e' un'altro mestiere.
Comunque ha aperto e gli auguro, di tutto cuore, le migliori fortune.
Ovviamente saro' un suo cliente cosi' come, se lo vorranno, lo saranno i clienti della Grande Torino.
Detto questo si tratta del quarto ristorante italiano che apre in citta', il terzo nel giro di 50 mq.....
Oltre a quelli aperti da cubani e spagnoli in zona, che sommati insieme fanno un gia' elevato numero di locali che forniscono lo stesso servizio.
E' vero che in questo caso, con ogni probabilita', i costi di gestione sono bassi ma e' anche vero che cuoco e cameriera/e li devi comunque pagare, cosi' come le utenze, i prodotti, la seguridad sociale e le tasse.
Gli auguro le migliori fortune perche' con questo ristorante ci deve vivere, unicamente al 50% dei due cuarti de renta.
Non ha rendite italiane su cui poter contare, deve vivere con quello che guadagna e guadagnera' a Cuba.
Per tutta una serie di ragioni....lo deve fare da solo, da qua' i miei migliori e piu' sinceri auguri di un buon successo o perlomeno di poter contare su entrate che gli garantiscano una vita perlomeno serena.
Se la merita.
Ogni testa e' un piccolo mondo e le scelte di ogni individuo, almeno dal mio punto di vista, non sono sindacabili, ognuno deve fare il frocio col suo culo, ma dover contare, per vivere, soltanto su Cuba e quello che si riesce a tirare su' puo' essere una cosa decisamente rischiosa.
Senza una pensione, una rendita, o almeno un capitale, anche se non ingentissimo, che puo' soccorrerci alla bisogna il tutto diventa un terno al lotto o una riffa.
Puoi vincere come perdere e sotto non hai la rete ad attutire il botto.
Lui non e' esattamente uno che ha operato, nella sua vita, nella ristorazione ma sa fare con la gente, se si e' trovato un buon cuoco potrebbe davvero farcela.
Alla fine si tratta di fare spaghetti e poco altro.
In inverno saremo giu' noi e gli daremo sicuramente una mano.
Auguroni amico mio.

19 commenti:

  1. «In questa casa non si butta via niente!», proclamavano le nonne dell’evo dell’Artusi, e del resto di regola cucinavano così bene che niente avanzava. Quindi non si capisce perché, abituati in casa a finire quel che c’è nel piatto, al ristorante si possa tranquillamente lasciarlo lì. Eppure è così: secondo un sondaggio della Coldiretti, il 20% degli italiani talvolta porta a casa i resti della cena fuori, ma il 25 ritiene che sia un gesto da maleducati o da poveracci o da cafoni, quindi si vergogna di chiedere al ristoratore di impacchettarglieli.
    Insomma, per quel che riguarda la «doggy bag», la sporta nella quale si portano a casa gli avanzi, in teoria per darli al cane, più spesso per metterli nel microonde e riabbuffarcisi, un italiano su cinque sarebbe disposto a usarla, uno su quattro no.
    Nel Paese dove in media ogni cittadino butta nella spazzatura 76 chili di cibo all’anno, e dove è appena stata solennemente firmata la Carta di Milano contro gli sprechi alimentari, non è una buona notizia.
    In effetti la «doggy bag», è una tipica usanza che certifica le differenze culturali e psicologiche fra gli americani da una parte e gli europei in generale, e quelli del Sud in particolare, dall’altra. Certo: in America le porzioni sono così esagerate che spazzolarle tutte è praticamente impossibile. Ma nessuno si vergogna a chiedere al cameriere la borsina e a portare via gli avanzi, tanto più che li ha pagati.
    L’esempio di Michelle
    Nel 2009, quando venne per la prima volta a Roma, Michelle Obama andò a cena da «Maccheroni», una trattoria romanissima vicino al Pantheon. Dopo aver sbafato un dietetico menu di carbonara, amatriciana e lasagne, stupì tutti facendosi impacchettare i resti. Forse nel suo caso si trattava di un gesto spettacolare a favore delle campagne antispreco più che dell’eventualità che le venisse un languorino nel cuore della notte, ma negli States si tratta comunque di una pratica generalizzata. La popstar Rihanna, una che probabilmente ha la carta di credito di platino tempestato di diamanti, è stata di recente paparazzata mentre usciva da un ristorante di Santa Monica portando sottobraccio la bottiglia di vino iniziata e non finita.

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  2. Da questa parte dell’Atlantico, invece, la pratica è quasi sconosciuta. Men che meno in zona mediterranea, dove prevale l’ancestrale mentalità barocca e spagnolesca della «bella figura» e del «cosa dirà la gente». Ancor più bizzarra, se si pensa che il bon ton predicato (e praticato, se necessario, a suon di sberle) dalle sullodate nonne predicava «di non lasciare nulla nel piatto» e di finire tutto, compreso il pane, del resto oggetto di una venerazione quasi religiosa. Era il retaggio di ataviche povertà, di epoche in cui le diete erano più subite che volute, e il problema non era quello di ingrassare, ma di mangiare a sufficienza (e senza frigoriferi, poi). Appunto in Spagna impazza tuttora «la ley del pobre», la legge del povero: «antes reventar que sobre», che si potrebbe tradurre come meglio mangiare fino a scoppiare che buttar via gli avanzi. E ciononostante, al ristorante è del tuto normale che quel che resta si rimandi in cucina e da lì finisca nella pattumiera.
    Le cose cambiano
    Però anche in Europa le cose stanno cambiando. A Berlino esistono in due quartieri frigoriferi pubblici dove lasciare gli avanzi per chi ha bisogno. In Francia è appena stata approvata la legge che istituisce il reato di «spreco alimentare» (fino a due anni di galera, e non è che nelle carceri francesi cucini Ducasse) e a Lione è partito un progetto pilota per generalizzare l’uso del «doggy bag», ma ribattezzato «gourmet bag» per evitare l’odiato inglese e titillare il già ampio ego degli chef. Idem in Spagna dove la sportina per il (presunto) cane viene promossa con lo slogan «No lo tiro», non lo butto.
    Anche in Italia qualcosa si muove. Di recente, la Cassazione ha dato ragione a un cliente che voleva portarsi a casa gli avanzi e torto al ristoratore trentino che non glieli aveva voluti impacchettare. E il Comieco (alias il Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica), in collaborazione con Slow Food, ha lanciato un’iniziativa, «Se avanzo mangiatemi», per prendere i consumatori spreconi sul loro punto debole, il timore di perdere la faccia. Una squadra di designer e di illustratori ha creato borsine per gli avanzi così chic che nessuno dovrebbe più vergognarsi di chiederle, e del resto nei 75 ristoranti lombardi dove sono già disponibili vanno, pare, benissimo. Insomma, un compromesso molto italiano: «doggy bag»sì, purché griffata.

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  3. Si salva solo con la pasta? Ste1

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    1. Non so. Credo faccia anche altro. Lo sento in questi giorni

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  4. Ti ricordi quando uscirono sigarette elettroniche? C'era un negozio ogni 20metri, poi....però a lui potrebbe andar bene , la spaghetteria non richiede un cuoco geniale e sono tanti i cubani che hanno in tasca cuc per andarci (un piatto spaghetti credo dai 3,5 ai 5cuc sbaglio? ), comunque il tuo amico non si trova in una bellissima situazione dovendo vivere solo di quello...comunque in tante storie di vita cubana non vedo ne' grande serenità né un cambiamento in meglio rispetto alla vita italiana, al final se devi vivere con stress e luchar la vida tanto vale te ne stai a casa tua.... .mah ...forse ho detto una sciocchezza o forse no..ciao Milco (ieri alle 2330 all'uscita del trabajo 16gradi)
    Stefano

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  5. Si i costi sono quelli.
    Piu' che ai cubani credo che l'attivita' sia rivolta ai turisti a cui piace la pasta al dente y...no la sopa....
    Col 50% di 2 renta e la spaghetteria che gira un minimo credo che dovrebbe campare relativamente tranquillo.

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  6. Auguri a questo connazionale, speriamo gli vada bene il negocio, io senza una rendita dall'esterior non lo farei, perchè vuol dire "mettersi al livello dei cubani", ossia è vero che gli stipendi, il costo del negocio, ecc è in cubano, però anche il suo stipendio sarà cubano, e non europeo, e di seguito poi parallelamente lo stile di vita si deve adattare alle entrate, ed è molto rischioso, però gente che tira fuori le palle va rispettata, e gli auguro davvero il meglio.

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  7. Lui vive la e la scelta risulta obbligata

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    1. Milco questa è la conferma vivente a quello che diciamo sempre....senza un appoggio da fuori, col solo quello che offre un negocio cubano, vivere a Cuba non è facile.

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    2. Valter dipende sempre da ogniuno di noi cosa significa vivere bene o male,e da come si è vissuto qua prima di andare a Cuba,io andrò con la famiglia a vivere a Cuba e con una bella casetta e poche entrate vivremo sereni e tranquilli,qua non ho nulla anzi solo un lavoro che mi permette di sopravvivere e senza casa e mille pensieri e soli,poi se uno pensa alle cose che a Cuba mancano meglio che stia qua,ma la felicità è tutta racchiusa nel cibo o nell aver un carro o altro?come vedi ogni storia è a se'.paolino...

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    3. Valter allo stato attuale è come dici

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    4. Paolino sai con quanto affetto seguo il tuo intento però riparliamone dopo un anno che vivi a Cuba....

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  8. meglio se fosse da un privato.ciao aston

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  9. Infatti. Credo paghi alcune decine di cuc al mese.
    Ciao Gugu

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  10. Ciao da Guanabo,
    quanti anni ha questa persona Aston ?
    E' vicina alla pensione anche minima in italia come età ?

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  11. Età da pwnsione ma non credo ne abbia diritto

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  12. Età da pwnsione ma non credo ne abbia diritto

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