domenica 2 agosto 2015

UNGHERIA 1985



TRATTO DAL LIBRO "CUBA;UN'ISOLA NEL SOLE"
Scrissi questo racconto di viaggio una decina d'anni fa su un forum che avevo creato ed amministravo.
Letto oggi è un po' sgrammaticato e l'italiano alquanto "avventuroso" ma lo lascio cosi.
Parla di un viaggio che feci nel 1985 nella Ungheria al
di là della cortina di ferro.
Da solo, come sempre, correndo dietro al vento.

 
Maggio 1985, su un giornale di annunci torinese, il vecchio BUSINESSS avevo trovato annunci di ragazze straniere che volevano corrispondere con italiani, non c'erano internet, né telefonini o altre cose simili, si viaggiava per lettera.
Iniziai a corrispondere con una svedese e una ungherese, mi mandarono le foto ed erano carine, andammo avanti un po', fino a quando l'ungherese mi invitò ad andarla a trovare.
Ungheria nel 1985, al di là della cortina di ferro.
Avevo messo via qualche soldo l'estate precedente lavorando nelle colonie coi bambini, i villaggi sarebbero venuti poco dopo.
Frequentavo l'ISEF e mi mantenevo lavorando in una palestra, tutti i pomeriggi dalle 14 alla chiusura.

Quindi qualche soldino mi avanzava.
L'istinto già era quello dello zingaro, avevo girato un po' in Europa e lavorato per un paio di mesi a Londra, come facevano molti ragazzi, per perfezionare l'inglese.
Tramite conoscenze di famiglia, ottenni in tempi molto brevi il prezioso visto dall'ambasciata ungherese di Roma.
Telefonai alla ragazza per avvisarla che sarei arrivato e partii....solo e...in macchina.
Avevo all'epoca una fiammante Fiat Ritmo diesel, di un granata (ovviamente) intenso.
Partire solo per l'Ungheria a 23 anni, in quel periodo storico non era proprio uno scherzo.
Mio padre mi disse solo che se avevo bisogno potevo contare sui suoi agganci, mi disse di non fare cazzate, d'altronde ero mentalmente e economicamente indipendente e più di tanto non poteva dirmi.
Cosi' una mattina presto imboccai l’autostrada Torino-Venezia poi, ovviamente, mi perdetti in Carnia...
Non ricordo bene perché passai di là, so solo che attraversai il confine con l'Austria, per poi scendere verso l'allora Jugoslavia.
Entrato in quella che oggi si chiama Slovenia, scendendo verso l'attuale Croazia mi accorsi subito che nel socialismo qualcosa non quadrava.
Nessuno faceva un cazzo, attraversavo cantieri e nessuno lavorava, andavo a fare gasolio e il benzinaio mi faceva aspettare un quarto d'ora per arrivare anche se non c'era nessuno.
Attraversai quella terra triste e desolata, arrivai in una alba rosso fuoco, proprio di quelle da film, al confine ungherese.
La cortina di ferro.
Mi venne incontro un soldato con un copricapo tipo colbacco, sulla fronte in bella vista, la falce e martello.
Io parlicchiavo inglese, lui maomeno.
Mi fecero fermare e accomodare in una saletta, all'epoca una macchina come la mia era laggiù era quasi come una Ferrari.
Iniziarono a perquisire dappertutto, aprirono il cofano, credo più per guardare il motore che per ispezionare, dopo un ora buona mi fecero entrare nella Repubblica Socialista Popolare d’Ungheria.
L'Ungheria era la Svizzera dei paesi dell'est, in effetti il paesaggio rispetto alla disastrata Jugoslavia era senza dubbio migliore.
Avevo cambiato i soldi locali già in Italia mi pare, si usasse il fiorino, la loro lingua era qualche cosa di incomprensibile.
La ragazza, si chiamava Judit, viveva a Szeged, una città universitaria nella parte bassa del paese vicina ai confini romeno e jugoslavo.
Dovetti girare un po' e perdermi più volte, non c'era un cazzo di cartello e io dovevo passare da Pecs.
Meno male che trovai un ragazzo che parlava inglese e mi indicò la strada.
Szeged era una bella città universitaria, piena di gioventù, la chiamai e lei mi diede appuntamento vicino all'università. 

La mia macchina attirava l'attenzione di tutti, là giravano vecchie Fiat 126, Lada e quelle terrificanti Trabant a due tempi della DDR.
Arrivò con 2 amiche, carine pure loro, io ero impacciato.
In fondo ero un ragazzino che viveva dall'altra parte del loro mondo, almeno cosi' pensavamo noi di qua del muro.
Era carina, solare, sembrava un po' una nostra ragazza del sud.
Parlava inglese, studiava lingue, da un paio d'anni avevano inserito l'inglese a scuola, insieme al russo ovviamente.
Andammo a casa sua, una piccola casa in un palazzone da socialismo reale.
Mi avevano preparato un lettino, io ero pronto ad andare a dormire pure altrove, fra l'altro ero convinto che non si potesse, lei mi disse che era tutto posto, che il letto era di suo fratello mandato a dormire da degli zii.
Cenai a casa loro, con la madre e il padre che non parlavano inglese.
Lei traduceva per loro, gente normale, semplice con facce da contadini e mani spesse, mi misero subito a mio agio.
Dopo cena andammo a mangiare un gelato in una specie di bar, avevano solo un gusto, ma mi sembrava buono.
Conoscendo i suoi amici inizialmente l'approccio fu freddino, in fondo ero un "nemico", uno che arrivava dall'altra parte del muro.
Erano universitari e un po' di inglese chi più e chi meno lo parlavano tutti, scoprii una cosa che oggi magari sembra ovvia perché il mondo è diventato molto più "piccolo" ma che allora mi colpi' molto.
I ragazzi sono tutti uguali, in ogni parte del mondo.

Mi aspettavo gente arretrata e trovai ragazzi colti, istruiti, certo di una istruzione limitata dall'ideologia, ma già laggiù circolavano nuove idee e poi.....non scordiamoci cosa accadde in Ungheria qualche
decennio prima.
Nei giorni a seguire quei ragazzi, in modo nemmeno troppo velato, più volte, mi manifestarono il loro disprezzo totale per i sovietici.
L'Armata Rossa era ancora ben presente nel paese, vedevo soldati russi circolare in città, in divisa e con le loro famiglie.
Quando si andava in giro, non era come a Cuba, dove hai ( o avevi) tutti sul groppone, laggiù ero io l'ospite e loro cercavano sempre di farsi carico di ogni evenienza.
Era un problema anche solo offrire una bibita, volevano dimostrarmi che anche loro potevano.
Dell'Italia conoscevano molte cose, sapevano di calcio e ascoltavano Celentano.
Già giravano per il paese i nostri compatrioti con le calze di seta nel bagagliaio, ma le ungheresi stavano economicamente meglio di polacche e rumene, la cosa era un po' più complicata.
Però un po' di diffidenza da parte sua la percepii, almeno all'inizio, poi le cose cambiarono.
Avevo 23 anni e una fidanzata in Italia, a cui avevo raccontato una palla per poter partire. più che a farmi una ragazza pensavo a conoscere questo mondo completamente nuovo.
Però il bandolero in embrione già esisteva...
Trovai un paese ordinato e pulito, con gente fiera e orgogliosa che mal digeriva di trovarsi sotto uno stato di polizia.
Abituato, ora, alla pressione della policia cubana, ricordo che laggiù al confronto erano rose e fiori.
Non mi fermò mai nessuno e nessuno mi venne a rompere le palle perché stavo con una ungherese.
Con lei andammo 3 giorni a Budapest da sua zia, qua ricordo che dovemmo andare al commissariato vicino a dove abitava la zia per segnalare la mia presenza.
Non ricordo di essere mai stato sorvegliato, oppure non me ne sono mai accorto.
Budapest era bellissima con la sua splendida collina, mi ricordo che lei mi fece vedere le ville dei gerarchi, tutti col macchinone in giardino.
Questo mentre la gente faceva la fila per il pane, ricordo l'odio con cui lei mi diceva queste cose.
Sono passati tanti anni, molti momenti sono finiti nel dimenticatoio, ma mi ricordo che non costava veramente un cazzo niente, che nei ristoranti degli hotel per stranieri potevi pagare in dollari.
Dopo una settimana di gulash e altre schifezze simili volevo qualcosa di diverso, entrammo in uno di questi bellissimi ristoranti di questi hotel.
Mangiammo una pizza terrificante, ricordo la sua contentezza per poter essere in quei posti che altrimenti mai avrebbe potuto permettersi, pagai una cazzata.
Già trovavi gente che comperava dollari in nero, lo faceva con paura.
A Budapest lei mi chiese per quale ragione chiudevo a chiave la macchina, tanto nessuno mi avrebbe toccato nulla....io comunque, da buon italiano chiudevo tutto.
Visitai altri posti in quei 10 giorni, ricordo distintamente che quadrammo la...cosa la quarta o quinta notte in un piccolo alberghetto, che definire spartano è poco, sulle rive del Danubio perso da qualche parte del paese.
Ricordo ancora che al mattino per colazione ci portarono una tazza di Nescafè, salame e un piatto di un pesce strano che pareva una anguilla.
Una schifezza sopratutto al mattino.
Prima di ripartire regalai praticamente tutto agli amici che avevo conosciuto, comprai qualcosa a lei in una scarna boutique alla moda.
Ci ripromettemmo di rivederci, lei voleva fare la presentatrice alla televisione, aveva un anno in meno di me.
Per un po' continuammo a scriverci, poi io partii per la mia prima stagione di vilaggio e non ebbi più tempo di scriverle.
Di lei non ho mai saputo più nulla.
Ungheria 1985, il giovane Milco

11 commenti:

  1. L’oro è stato il pianto, il bronzo lo stupore. Tania Cagnotto prende un altra medaglia e solo apparentemente è meno preziosa del successo che ha cambiato la storia dei tuffi italiani solo qualche giorno fa.
    Il terzo posto in cui non credeva poi troppo, e che pareva lontano a un solo tuffo dalla fine, arriva nella gara olimpica a un anno da Rio e significa consistenza, fiducia, stima consolidata nei giudici, avvertimento alle avversarie, soprattutto alla rivale diretta: la canadese Abel.
    Cagnotto balla tra il quarto e il quinto posto per tutta la gara poi approfitta degli errori altrui o forse più della pressione che ormai mette sulle altre. C’è un effetto Cagnotto: la sua regolarità incute rispetto e la sua eleganza rende spesso evidente la differenze.
    Ottavo mondiale e nona medaglia. Per battere le cinesi da un metro è servita la perfezione, per accompagnarle sul podio dei 3 metri ci è voluto coraggio. E quello non le è mai mancato.

    L’Italia sa faticare, le lunghe distanze esaltano gli azzurri che escono dalla maratona del nuoto con due medaglie: l’oro di Simone Ruffini e il bronzo di Matteo Furlan.



    Ruffini è un alternativo, uno fondista hipster che sa stare in tribù ma non lo vuole fare sempre. Porta l’occhiale con la montatura spessa e i tatuaggi che sbucano dal costume e dalle magliette. Uno che sa sprintare nella 10km, dove si è preso il pass per i Giochi, e pure reggere la maratona del nuoto. Stile da controcultura dentro e fuori l’acqua. E che è un tipo fuori del comune lo fa capire sul podio dove sfodera il foglio con al proposta di matrimonio: «Aurora vuoi sposarmi?».
    La futura signora Ruffini si chiama Aurora Ponselè, anche lei in nazionale. L’anno scorso lui si è trasferito a Roma per allenarsi con Emanuele Sacchi (già tecnico di Valerio Cleri) e la fidanza ormai promessa moglie. Aurora qui ha sbagliato rotta, gara e Mondiale e nella 10km è finita al largo. Per trovare una qualificazione ai Giochi dovrà trasferirsi in piscina. Ci pensa Simone a riequilibrare i risultati di coppia, dopo il 7° posto nella gara olimpica salta sul podio della 25km. Sul primo gradino e con tanto di fidanzamento ufficiale. Lei guarda dal molo con gli occhi lucidi, la risposta è immediata: «Certo che che sì» ma sulla data ci sarà da discutere: «Ne abbiamo da nuotare prima. Ci sono le Olimpiadi, tanti chilometri da fare, poi definiremo».
    A Kazan la gara di Ruffini parte al contrario. Vomita dopo quattro giri e viene recuperato a forza di gocce antinausea. Resiste e cresce pure con lo stomaco stravolto e sul finale sprinta per bruciare l’americano Meyers». E’ sempre stato un combattente, a Shanghai, nel 2011, si è presentato con la cresta da moicano: «Seguivo le direttive del ct, ci ha detto “preparatevi a lottare” e non ho trovato un modo migliore». Il taglio alla Mohawk ha lasciato il posto a una zazzera bionda «vagamente più sobria». E sempre color oro.
    Il compagno di squadra Matteo Furlan emerge dal fiume con il bronzo, il secondo dopo la 5 chilometri: “E chi se lo aspettava: esordiente con due medaglie nello zaino”. Ruffini è uno che spinge sempre, Furlan preferisce pensarci su. Si definisce «il temporeggiatore», ama le moto, ma l’ebrezza della velocità vale in strada e in acqua. Quando ha i piedi per terra non ha mai fretta. Non si fa pressare, ha i suoi ritmi per elaborare le decisioni come quella di fare sul serio nello sport. Alto come è poteva essere un cestista, “ma andare dietro la palla mi faceva troppa fatica”. Si è tuffato, prima per passare il tempo, poi ha scoperto di saperci fare e si è lasciato convincere a lasciare la piscina per le acque libere.
    Ruffini invece ha sempre saputo che il suo mondo era quello, fatiche da caimano da inquadrare dietro lenti con la montatura retrò: «In acqua 5 ore sono noiose bisogna pensare alla vita che c’è fuori». Si vede che ha avuto tempo di meditare visto che in 25 km ha messo su un matrimonio.

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  2. Il tecnico Ventura esce abbastanza soddisfatto dal Roazhon Park di Rennes. Termina l’amichevole, l’allenatore ha trovato, in parte, le risposte che cercava dopo questa prima parte di preparazione. La quale continuerà a partire da domani a Chatillon. Al termine della sfida contro i rossoneri Ventura ha quindi dichiarato: ”Sono soddisfatto, ovviamente non della sconfitta, perdere non piace a nessuno. Questa doveva essere una sorta di prova del nove contro una formazione che gioca nella nostra categoria e che in questo momento è molto più avanti di noi nella preparazione (la Ligue 1 inizierà già il 7 agosto). Ora analizzeremo quanto fatto, sottolineando sia gli errori, sia le cose giuste che abbiamo fatto”.
    Quindi si passa a commentare inevitabilmente il risultato: ”A parere mio, probabilmente, meritavamo il pari. Questo lo dico in base a quello che si è visto in campo, detto ciò ci è mancata quella freschezza nelle gambe e quella brillantezza necessarie per fare la differenza. Ma è normale, noi siamo ancora in piena preparazione. Ora analizzeremo molte situazione con l’obiettivo di analizzare la crescita. Abbiamo cercato di creare le occasioni da gol attraverso il gioco, e questo è forse il miglio aspetto della partita per me. Vincere non è il nostro obiettivo ma la conseguenza di quello che andiamo a fare”. ”.

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    1. Oggi noi a Nizza, se Simone è ancora la' vada a dare un po' di supporto..mi sto convincendo che chi sai tu non arriverà tra le prime tre...so già resterò deluso..
      stefano

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    2. Se l'ambiente consentira' a Sarri di sbagliare a anche di perdere, potrebbe nascere una squadra interessante.

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  3. Bella storia. ..a me quasi mette le lacrime (e non scherzo ne' sono ironico) chissà perché..la trovo triste..certo che con le dovute differenze che pure tu sottolinei una qualche atmosfera cubana c'è, chissà come finiva se ci tornavi e continuavi a scriverle, non lo saprai mai..buona domenica Milco
    stefano

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  4. Sono passati gia' 30 anni....Pinga....

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  5. Sembra veramente un'altro mondo. Giuseppe

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  6. Oggi giornata dedicata al cane e al sofa'....niente sport...praticato ma tanto sport visto.
    Grande terzo bronzo della Cagnotto nei tuffi sincro, favolosa la 4 per cento sl con un Magnini d'annata, bronzo storico anche per loro.
    Bellissima finale ad Amburgo fra Nadal e Fognini, per vincere il maiorchino ha dovuto rispolverare il suo miglior tennis.

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  7. Ragazze dell'est di Baglioni descrive bene certe situazioni.P68

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  8. Da ragazzo passò un certo periodo in Polonia

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