venerdì 18 settembre 2015

MANCA POCO

 Risultati immagini per bergoglio in negozio

Oramai ci siamo.
Manca pochissimo alla visita di Papa Francisco a Cuba, a cui seguira' quella all'ingombrante vicino, 90 miglia a nord.
Si tratta della terza visita di un pontefice nel grande Caimano in epoca post Rivoluzionaria.
La prima fu quella del Papa polacco, il muro era caduto ma ne restava un'altro altissimo che circondava, in parte ancora circonda, la Perla del Caribe.
Forse c'era chi sperava che si ripetesse il modus operandi messo in atto, con un Papa dell'est, nei paesi oltre cortina.
Le cose andarono in modo differente, si tratto' di un cordiale incontro con Fidel, con un bagno di folla, invitata da Fidel stesso a scendere per le strade a festeggiare, a cui fece seguito una visita del Lider Maximo in Vaticano.
Poi fu il turno del papa (la minuscola e' d'obbligo) tedesco, quello con un passato nella gioventu' nazista.
Capitai a Cuba prima e dopo l'evento, non notai particolari attese o preparativi degni di questo nome.
Con Francisco sara' tutta un'altra storia.
Intanto perche' e' Francisco....un Papa che, come chiunque di noi, da solo, entra in un negozio romano per cambiarsi le lenti degli occhiali “solo le lenti...non vorrei spendere troppo...”
Un Papa che, nella fase iniziale, ha posto le basi per lo storico riavvicinamento fra Cuba e gli Usa che ha portato alla riapertura delle sedi diplomatiche nelle rispettive capitali.
Un Pontefice che ha avviato il meccanismo di beatificazione di Monsignor Romero, ridando la giusta dignita' alla Teologia della Liberazione, a chi per lei ha perso la vita e a tutto quello che ha rappresentato per l'America Latina.
Bergoglio, pur con tutta la prudenza con cui deve muoversi in quegli ambienti mummificati da secoli, sta' modificando anche la Sacra Rota e la sua inaccettabile ingerenza nella vita dei singoli paesi e dei suoi abitanti.
Un Papa argentino, che conosce la dittatura, sa cosa vuol dire quando un popolo e' oppresso e/o quando e' libero di poter manifestare le proprie idee.
Papa Francisco, il Compagno Francisco (a che punto siamo ridotti noi di Sinistra....) potra' girare liberamente per le strade de La Habana e di ogni citta' e campo cubano, senza scorta, Papa-mobile, guardie del corpo o agenti segreti.
Esattamente come capita a Fidel e Raul da 55 anni, potra' mischiarsi fra la gente, come un'uomo in mezzo agli uomini in totale sicurezza.
Cuba e' anche questo.
Vedra', oltre a Raul, anche il Comandante en Jefe, sara' un incontro fra 2 protagonisti assoluti della storia.
Poi pero' dovra' varcare quelle 90 miglia e sara' tutto un'altro discorso.
Riapparira' la Papa-mobile super blindata, ci sara' praticamente un'esercito a porteggerlo, dovra' attenersi ad un rigidissimo protocollo correndo il rischio, in ogni momento, di prendersi una pistolettata o di aver a che fare, nel paese che si vanta di essere il piu' democratico al mondo, con qualche pazzo che vuol fargli la festa.
Il riavvicinamento fra gli Usa e' Cuba ha anche, nelle intenzioni statunitensi, lo scopo di cercare di introdurre a Cuba il sistema politico e sociale yankee.
Cioe' Cuba dovra' rinunciare a un sistema sociale che permette ad ogni suo cittadino, ogni ospite, ogni persona di differente ceto e disponibilita' economica di poter camminare in serenita' in ogni strada del proprio territorio, per adottarne uno in cui ognuno quando esce di casa non e' sicuro di poterci fare ritorno sano e salvo.
Un sistema dove un'ospite illustre deve girare e vivere blindato, con un'esercito di militari intorno che si devono occupare della sua sicurezza.
Abbiate pazienza ma mi tengo Cuba cosi' com'e' ora, con tutti i suoi difetti e le sue mecaniche.
Questo post mi e' stato suggerito da Alessandro, che ringrazio.
Una delle colonne del Vascello, il gruppo Wathsapp del blog, chi vuole farne parte mi contatti (orienteavana@libero.it)

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28 commenti:

  1. È semplice l’altare che aspetta Papa Francesco a Plaza de la Revolución, dove domenica celebrerà la messa sotto al ritratto stilizzato del suo compatriota Ernesto Che Guevara. Un palco giallo, una tettoia bianca, una sedia in legno scuro e velluto rosso. In cima, una croce essenziale. Tutto intorno a lui i simboli della rivoluzione, Hasta la Victoria Siempre, il monumento a José Martì, si mescolano con i manifesti sobri che gli danno il benvenuto a Cuba, e uno striscione piazzato sopra al Teatro nazionale che mostra il Santo Padre mentre lava i piedi ai dimenticati, e lo accoglie come «Misionero de la Misericordia». Qui il regime castrista spera di ricevere due doni: la spinta per convincere gli Stati Uniti a togliere l’embargo, dopo la ripresa delle relazioni, e un messaggio politico che salvi almeno le intenzioni della rivoluzione, se non proprio i suoi risultati.
    «COME NOSTRO PADRE»
    Alejandro è venuto con la sua chitarra, sotto un pirotecnico scroscio tropicale, per provare con i ragazzi del coro i brani della messa: «Gli organizzatori diocesani sono stati molto chiari: vogliono solo musica cubana. E noi siamo felici di suonarla». Lui, trent’anni, occhiali, barbetta appena incolta e moglie sorridente al fianco, potresti scambiarlo per l’animatore di un oratorio italiano: «Nella nostra vita abbiamo già avuto la fortuna di vedere due Papi, Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI, però non vi nascondo che stavolta è diversa. Francesco lo sentiamo molto più vicino. Sarà perché è latino, parla spagnolo, viene dalla nostra cultura, ma è come incontrare nostro padre. E poi, c’è quello che ha fatto». Cioè? «L’apertura con gli Stati Uniti. Non so se si capisce bene da fuori, ma per noi significa che la vita adesso può davvero cambiare. E sappiamo che non sarebbe avvenuto, senza lui».
    «CI SARÀ UN MARE DI GENTE»
    Alejandro prevede che «verrà un mare di gente, soprattutto giovani. Molti più di quelli che si aspettano le autorità». Già, le autorità. Loro vogliono che la visita sia un successo, ma non troppo........

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  2. .......Stimano che alla messa di domenica verranno fra 150 e 200.000 persone. Il numero è basso, secondo fonti vicine al Vaticano, ma c’è una ragione che potrebbe convincere molti fedeli a guardare Francesco in tv. Per avere il biglietto bisogna dare nome, cognome e indirizzo: «In altre parole - dice una fonte impegnata nell’organizzazione - sarà una schedatura. Quindi i cattolici dovranno scegliere se professare la loro fede apertamente, scrivendola nero su bianco, col rischio poi di essere tenuti d’occhio e magari discriminati, oppure coltivarla nell’intimo, come hanno fatto per oltre mezzo secolo». Il dubbio di sempre: seguire la strategia del cardinale di L’Avana Ortega, che non ha mai preso di punta il regime perché era più importante tenere aperte le chiese e i seminari, oppure sfidarlo.
    VICINO AI POVERI
    Parlando al telefono da Miami Ofelia Acevedo, la vedova del dissidente cattolico Oswalda Payà, indica una possibile strada: «Il Papa è un leader religioso, e viene a Cuba per ragioni spirituali. La sua pastorale, però, è molto incentrata sui poveri, e sull’isola purtroppo ne vedrà molti, creati da oltre mezzo secolo di dittatura». Ofelia non chiede a Francesco gesti clamorosi: «No, niente. Il Papa è una persona molto saggia, conosce benissimo la situazione, e dirà tutte le cose giuste. Il cambio a Cuba non può venire dall’esterno: lo devono fare i cubani. È importante però che sentano la vicinanza di un pastore come Francesco, perché questo farà capire loro che non sono soli, e darà il coraggio di vivere la fede senza paure». Quando ad agosto era venuto in visita il segretario di Stato Kerry, Ofelia gli aveva chiesto di domandare alle autorità cubane l’autopsia di suo marito Oswaldo, mai pubblicata per non rispondere al sospetto che sia stato assassinato. Al Papa, però, non chiede neppure questo: «Sa già tutto, non serve».
    IL DISCORSO IN BOLIVIA
    Fonti diplomatiche dicono che il regime era rimasto molto colpito dal discorso pronunciato da Francesco in Bolivia davanti ai movimenti popolari, e sperano che lanci un messaggio simile anche a Cuba. Magari senza assolvere la rivoluzione, ma riconoscendo che le intenzioni non erano malvage, e non tutto è da buttare. Poi si aspettano che il Pontefice, tra la sosta a L’Avana e quella a Washington, metta pressione sui parlamentari Usa affinché tolgano l’embargo. L’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, durante una recente visita sull’isola, ha pure spiegato come: non tutto insieme, ma pezzo per pezzo, con leggine per ogni provvedimento.

    LA STAMPA......

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  3. Gran personaggio. Giuseppe

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  4. Condivido parola per parola quello che hai scritto su Papa Francesco. Credo che un papa della sua altura, con la sua personalita' (anche al polacco non mancava la personalita', ma quella di Francesco e' un'altra cosa), con il suo carisma, non lo si vedeva da tanti, tanti anni. Sta' riportando la Chiesa a quello che erano le sue vere origini e il suo scopo: il bene dell'umanita', la giustizia sociale, l'elevazione spirituale ma anche materiale dell'uomo a canoni degni del suo nome e speculari alla figura di Dio che lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. Gli auguriamo di vivere a lungo e di poter portare avanti la sua opera magistrale, di carita' cristiana, anche rivoltando Chiesa e Istituzioni, come ha incominciato a fare, laddoe sia necesario. YUMA

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    1. Esatto...sta' facendo quello che dovrebbe fare chi e' a capo di una chiesa moderna, restare sempre al fianco di chi rimane indietro.
      Temo sempre che, i suoi, gli facciano fare la fine di Giovanni Paolo I.....

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  5. Domenica guarderò la messa alla tv con mia moglie,solo questo papa è riuscito in questa impresa.paolino...

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  6. Coppa Davis in Russia per poter rimanere in serie A.
    Bolelli le sta' buscando di brutto nel primo singolare....

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  7. José Cabanas, diplomatico di carriera già vice-ministro degli Esteri, è appena diventato il primo ambasciatore di Cuba negli Stati Uniti dal 1961.
    Insieme con i rappresentanti di altri 15 paesi, ieri pomeriggio il funzionario è stato ricevuto alla Casa Bianca.
    Dal 2012 Cabanas guidava la “sezione di interessi” di Cuba a Washington. La sua nuova responsabilità consegue il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’isola caraibica e gli Stati Uniti e la conseguente riapertura delle ambasciate nel luglio scorso. L’annuncio dell'accreditamento è giunto alla vigilia dell'arrivo di Papa Francesco a Cuba e a pochi giorni della partenza del presidente Raul Castro per New York, dove parlerà di fronte all’Assemblea generale dell’Onu.

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  8. DAL BLOG DI LINUS (Quando parlo di merda virtuale non mi riferisco solo ai poveracci che gravitano attorno al web cubano)

    Dopo averlo usato in maniera intermittente per poco meno di un anno, l’altro ieri ho deciso di chiudere il mio profilo su Twitter. Mi è molto dispiaciuto, lo strumento può essere molto divertente e soprattutto utile, ma la mia serenità vale molto di più.
    Me ne sono andato grazie a un piccolo ma agguerrito gruppo di ultrà juventini che hanno evidentemente deciso di usarmi come la loro bambola woodoo.
    I tifosi della J... sono oltre dieci milioni e con il 99 % di loro ho un rapporto bellissimo. Lo vedo quando vado allo stadio (che peraltro ho inaugurato io), lo leggo sui messaggi che tutti i giorni mi arrivano, l’ho provato a Berlino, passeggiando per due giorni in mezzo a migliaia di loro.
    Ma di questi tempi bisogna fare i conti con gli ultrà della generazione Facebook, quelli che si autoalimentano fino a far diventare gigantesche delle cose inutili.
    La genesi di questa follia è legata a due momenti.
    J....... Roma di un anno e mezzo fa. Nello speciale di Sky, alla domanda di cosa ne pensassi della vicenda Moggi e Tangentopoli, ho detto (e ci sono le registrazioni) semplicemente che con la squadra pazzesca che avevamo non capivo il bisogno dell’arroganza che usciva dalle intercettazioni. Punto. E sfido chiunque a mettermi in bocca altro.
    L’altra è la vicenda Allegri.
    Vivendo a Milano, era per me consuetudine incontrarlo in giro per ristoranti in compagnia di Galliani, come una vera ed affiatata coppia di amici. Milanisti. Molto milanisti.
    Vederlo arrivare sulla panchina di Conte, di cui (come tutti gli juventini) ero perdutamente innamorato, mi sembrò quasi una bestemmia.
    Da qui la provocazione delle “dimissioni” da tifoso.
    Ho avuto abbondantemente modo di ricredermi su Allegri, e l’ho detto in mille circostanze.
    Riassumendo, il primo era un parere in un’intervista, niente di più. La seconda una provocazione da tifoso innamorato dell’integrità dei suoi colori.
    Sfido chiunque, tra quelli che mi hanno aggredito, a guardarsi allo specchio e chiedersi se nella loro lunga carriera di tifosi non hanno mai contestato, insultato o fischiato un giocatore.
    Io mi sono preso la mia montagna di merda in questo anno e mezzo, e me la tengo. Mi servirà da lezione la prossima volta che mi capiterà di fare una dichiarazione.
    Sarebbe bello che anche qualcuno di voi avesse la lucidità di dire ok, basta, finiamola qui.
    Ma sarà difficile che accada, perché la vita digitale non è la vita reale.
    Vi racconto un episodio: Berlino, la mattina prima della finale. Porta di Brandeburgo, decine e decine di migliaia di tifosi blaugrana e bianconeri. Io e Filippo ci passeggiamo in mezzo, tranquilli. Ogni tanto qualcuno mi riconosce, ci facciamo una foto, buttiamo lì un pronostico.
    A un certo punto un tifoso, mentre mi faccio una foto con un suo amico, mi sussurra in mondo vagamento aggressivo, “ma tu non eri quello che si era dimesso?”.
    Lo guardo, lo abbraccio, e gli dico “ma tu non hai mai detto una cazzata in vita tua?”.
    Lui si mette a ridere e ci facciamo una foto.
    Ragazzi, è solo calcio. Se volete fare pace sono qui.

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  9. Milco grazie per la citqzione la soprattutto pe aver racoolto il mio spunto.

    Come sempre gran bel pezzo, scritto con il cuore e con la testa.

    Tralascio racconti fattimi di recente da un ragazzo che ha viaggiato nel cuore degli Stati Unitri, in quei territori isolati dal resto del Paese - e forse anche dal mondo, altro che la Cuba del periodo especial - dove rìsi respira violenza, reazione, intolleranza e soprattutto bestiale ignoranza; solo per dirne una, questo ragazzo ha preso a essere oggetto di scherno e di incredulità quando lo hanno portato ad un poligono e sparare e lui ha confessato di non aver mai maneggiato un'arma da fuoco.

    Alessandro.

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  10. A me la chiesa con tutti i suoi dogmi e rituali continua a provocare una forte orticaria...

    Ammetto che Francesco pare avere personalità, carisma...da ringraziare forse per riavvicinamento Cuba-Usa...nella speranza che il prezzo imposto per l' operazione non sia alto, forse proibitivo...e come direbbe Aston che la nostra amata Isla Grande non venga obbligata a gettare via il bambino insieme all' acqua sporca...

    per non ritrovarci, tra qualche anno, a scrivere su questo blog:
    "era meglio la Cuba del bloqueo con tutti i suoi difetti e le sue mecaniche."

    P.S.:
    Senza offendere nessuno ma la storia degli occhiali mi sembra la classica scenetta studiata e preparata con tanto di telecamere, microfoni e tg al seguito...

    probabilmente sono solo io molto allergico...nel caso chiedo venia...

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    1. LA sola certezza è che fra qualche anno questo blog ci sarà ancora.
      Per il resto....vedremo...

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    2. Sono d' accordo...non ci resta che attendere...maaa sempre vigili e attenti...

      certo che il post/articolo dell' altro giorno su FMI...bufala o non bufala...è preoccupante...

      alla faccia del prezzo da pagare...opsss interessi!

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    3. Non sono del tutto convinto che fosse una bufala.....

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  11. OT
    non sono riuscito ad intervenire nel post di questa settimana vorrei recuperare ora postando il pensiero di un grande filosofo moderno, Umberto Galimberti:

    A differenza della lussuria, della superbia, della gola, l' invidia è forse l' unico vizio che non dà piacere. Eppure è molto diffuso e ciascuno di noi ne ha fatto esperienza per aver invidiato o essere stato invidiato. Evidentemente le sue radici nascoste affondano in quel nucleo profondo dove si raccoglie la nostra identità che, per costituirsi e crescere, ha bisogno del riconoscimento. Quando questo manca, la nostra identità si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza, e allora subentra l' invidia che vorrebbe concedere, a chi è incapace di valorizzare se stesso, una salvaguardia di sé nella demolizione dell' altro. Più che un vizio, l' invidia è un meccanismo di difesa, un tentativo disperato di salvaguardare la propria identità quando si sente minacciata dal confronto con gli altri. un confronto che l' invidioso da un lato non sa reggere e, dall' altro, non può evitare, perché sul confronto si regge l' intera impalcatura sociale. Valutazioni quali: meglio e peggio, sopra e sotto, più e meno, bene e male, successo e insuccesso, sono lì a dirci che non possiamo conoscere noi stessi se non confrontandoci con gli altri, per cui al fondo di ogni valutazione di noi, c' è sempre qualcuno con cui ci siamo confrontati. La dinamica di una società è l' effetto di questa spinta comparativa. E chi dalla comparazione si sente diminuito ricorre all' invidia per proteggere il proprio valore attraverso la svalutazione degli altri. Tutto giustificato quindi? No. Se è vero infatti quel che dice Spinoza, secondo il quale l' esistenza è forza che può conservarsi solo espandendosi, l' invidia tende a contrarre l' espansione degli altri per l' incapacità di espandere se stessi, per cui è un' implosione della vita, un meccanismo di difesa che, nel tentativo di salvaguardare la propria identità, finisce per comprimerla, per arrestarne lo slancio. Una strategia sbagliata, quindi, che non riesce a sottrarci al confronto che ci umilia e da cui l' invidia vorrebbe difenderci. La strategia corretta sarebbe quella di rinunciare alle mete troppo alte quando le nostre forze o le nostre capacità non ci sembrano sufficienti o adeguate. La rinuncia non è sconfitta, ma riconoscimento del limite, quindi atto di ragione. Ma come si fa a riconoscere i propri limiti in una società come la nostra che spinge continuamente a oltrepassare i limiti e ci riconosce solo se riusciamo a farlo?
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  12. Qui i Greci (e in generale il mondo antico) erano molto più saggi di noi. Essi evitavano di attribuire le virtù e i successi agli individui, perché li interpretavano come dono degli dei. Invidiare il beneficiato dal dio equivaleva offendere il dio stesso, e questo era un atto di empietà. A questo punto la grandezza veniva venerata e, come ci ricorda Nietzsche, la venerazione non è passività e asservimento, ma riconoscimento di ciò che è grande. Questo riconoscimento da un lato non limita e non ostacola ciò che cresce, dall' altro incentiva chi è capace di riconoscimento ad assumere la grandezza come modello. Per questo nel mondo antico, come la storia greca e quella romana documentano, il nemico poteva essere combattuto e insieme ammirato, poteva essere ucciso e al tempo stesso riconosciuto nel suo valore. In questo modo la relazione sociale era contrassegnata da forte antagonismo, ma insieme scevra di invidia.Ma poi, prosegue Nietzsche, al paganesimo greco-romano, che era capace di ammirare la virtù, ossia il valore dell' altro, succede il cristianesimo che diffonde il principio dell' uguaglianza fra tutti gli uomini. Questo principio, se da un lato è stato alla base del riconoscimento della dignità dell' uomo, al di là della classe di appartenenza, della proprietà, delle prerogative, dei privilegi e degli onori, dall' altro ha scatenato fra gli uomini l' invidia, perché, scrive Nietzsche in Umano troppo umano (II, §29): "Dove realmente l' uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell' inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l' invidia. L' invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell' uguaglianza che l' uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale".Fu così che alla "venerazione" degli antichi, subentrò l' "invidia", prima dei cristiani che introdussero il principio dell' uguaglianza degli uomini, e poi dei moderni, cristiani o laici che fossero. Lo Stato moderno, infatti, nasce all' insegna dell' uguaglianza in base alla comune cittadinanza. Questo riconoscimento ha influito sulla mentalità corrente degli uomini sempre meno disposti a riconoscere il merito degli altri e ad approvare il successo come conseguenza del merito.In questo modo il sentimento di uguaglianza, un sentimento nobile e ormai condiviso in tutte le società civili, paradossalmente ha moltiplicato le ragioni dell' invidia, fino a intaccare e a modificare il concetto di giustizia.

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    1. L'invidia è un sentimedio inevitabile dell'animo umano.
      Infinitamente meglio suscitarla che provarla....

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  13. Il marxismo, che da questo punto di vista è l' estrema radicalizzazione del cristianesimo, ritiene infatti che la semplice uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è in grado di garantire una giustizia solamente formale, perché quella sostanziale può essere assicurata solo dall' uguaglianza economica, in modo che tutti possano disporre delle stesse opportunità.E qui sarebbe interessante se qualche editore si decidesse a ripubblicare il libro di Helmut Schoeck L' invidia e la società (Rusconi, Milano, 1974) dove si dimostra che l' invidia è uno tra i più importanti motori sociali sia nelle società comuniste, sia in quelle capitalistiche. Nelle prime, infatti, si utilizza l' invidia proletaria in funzione rivoluzionaria per instaurare un' uguaglianza in cui si svuotino le ragioni stesse dell' invidia; nella seconda si "produce" e si "vende" invidia per stimolare l' emulazione e quindi lo sviluppo del mercato. Inoltre non sfugge a nessuno che nelle stesse società capitalistiche molte politiche assistenziali e certe scelte economiche e finanziarie degli Stati moderni possono essere lette come modalità sofisticate per calmare l' invidia che minaccia sempre di tradursi in rivoluzione possibile, anche se abbellita da nobili ideali per coprire profondi risentimenti.Infatti nelle società in cui la disuguaglianza è assunta come un dato naturale si è indotti ad accettare più facilmente la supremazia dell' altro e a tollerare il proprio limite, mentre nelle società dove la disuguaglianza è ritenuta innaturale, se non addirittura il prodotto dell' iniquità sociale, l' invidia può rivestire i panni della virtù e trasformarsi in istanza di giustizia, per cui diventa legittimo chiedere a chi ha successo le credenziali della sua fortuna. E non è detto che chi ha successo riesca sempre a esibirle: in questo caso sarà portato ad accusare chi gliele chiede di essere mosso dall' invidia.Questo può essere, ma perché mai un "vizio privato", come dicevano gli illuministi, non può trasformarsi in una "pubblica virtù"? Se l' invidia, invece di attorcigliarsi e incanaglirsi nel risentimento, diventa, nella complessità del gioco sociale, una legittima resistenza all' arbitrio, ben venga l' invidia, dal momento che dalla società degli uguali di fronte alla legge non si può recedere.Da queste considerazioni emerge che l' invidia è un sentimento che non sopporta il proprio limite naturale in forza di una ragione sociale, perché è la società a decidere il valore degli individui, e nelle società capitaliste il criterio di decisione è il successo. Nell' assunzione di questo criterio di riconoscimento cade, chiara come la luce, la differenza tra destra e sinistra. Ogni individuo, infatti, potrebbe accettare il proprio limite se poi, a riconoscimento avvenuto, la società non facesse cadere quest' individuo, nell' irrilevanza, perché in questo caso il limite pesa e si fa intollerabile.E allora è vero quello che opportunamente dice Salvatore Natoli nel suo Dizionario dei vizi e delle virtù (Feltrinelli, Milano, pagg. 166, lire 13.000) là dove scrive: "L' invidia è impotenza", o perché fallisce la meta troppo elevata per le proprie forze naturali, o perché la propria potenza è legata e impedita rispetto a una meta che sarebbe anche raggiungibile. In ogni caso, scrive sempre Natoli: "L' impotenza ha un carattere costitutivamente relazionale", nel senso che dipende dalle relazioni sociali attraverso cui passa il riconoscimento individuale.

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  14. E quando la società fa mancare il riconoscimento, magari per ragioni arbitrarie, non può evitare che l' impotenza si perverta in invidia, aumentando al suo interno la circolazione di questo sentimento che impoverisce il mondo senza riuscire a valorizzare chi lo prova. Questa è la ragione per cui l' invidioso è costretto a nascondere il suo sentimento e a non lasciarlo mai trasparire: perché altrimenti darebbe a vedere la sua impotenza, la sua inferiorità e la sofferenza che per esse patisce. Per cui l' invidia, più che un vizio capitale, è un indotto sociale, e, fatta salva l' istanza di giustizia che può promuovere, è un sentimento "inutile" perché non approda al recupero della valorizzazione di sé, "doloroso" perché rabbuia e impoverisce il mondo, e per giunta è un sentimento che bisogna tenere "nascosto", senza quindi neppure il conforto che può venire dalla comunicazione.

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    1. Esatto
      Sentimento inutile e dannoso dal punto di vista biliare

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  15. Ieri si è ucciso un ragazzo nel vercellese per gli scherni su fb.....

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  16. PIU' FILOSOFIA NUTRIMENTO DELLO SPIRITO...MENO RELIGIONE OPPIO DEI POPOLO!

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  17. esto Papa sale desde el pueblo. P68

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  18. condivido in pieno il post meglio la cuba ora che un simil america (vedi respublica domenicana) marco

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