In questa giornata
primaverile prefestiva vi parlo di una argomento “leggero”, che
incarna il concetto stesso di democrazia.
Il Gelato.
Parlo di democrazia
perche' il gelato, democraticamente, piace a tutti.
Vecchi, giovani e bambini,
uomini, donne e vie di mezzo, ricchi poveri ed evasori fiscali.
A chi non piace il gelato?
Spesso a Cuba, e' la sola cosa che metto nello stomaco fra desajuno e comida.
Dal punto di vista
imprenditoriale e' uno degli alimenti che permette un ricarico
importante.
Produrlo costa poco,
sopratutto quello alla frutta, viene venduto a oltre 10 volte il suo
reale costo.
Certo, c'e' il discorso
del macchinario che incide.
Il cubano e'
particolarmente goloso di questo fresco alimento.
Anche nei piu cupi tempi
del periodo especial, di fronte a la Copelia di calle 23, nella
capitale, c'era una coda de madre.
A Las Tunas ci sono alcune
gelaterie di discreto livello; due in particolare nella zona
centrale.
Una, piu' popolare,
proprio sul parque; se non hanno aumentato i prezzi una pallina di
gelato costa un peso.
Ad ogni ora del giorno
c'e' una coda da paura, la gente aspetta anche piu' di un ora, sotto
il sole, per potersi sedere ad ordinare.
Non ci sono mai stato ma
mi dicono che il gelato faccia schifo, in pratica ghiaccio con un
minimo di gusto.
A un peso non e' che si
possa pretendere...
L'altra gelateria e' a la
Fuente, avevo una morosa, anni fa che ci lavorava come cameriera.
La pallina costa 3 pesos,
e' il locale frequentato da chi puo' spendere, per una coppetta,
anche 10 pesos a testa, cifra non accessibile, per un gelato, a tutte
le tasche.
Un bel locale, al fresco e
vicino ad una grande fontana di una scultrice famosa.
Non a caso Las Tunas e' la
capitale della scultura cubana.
All'epoca la fanciulla mi
raccontava che chi ci lavorava, non le cameriere ma chi si occupava
di fare il gelato, rubava a tutto spiano.
Per una vaschetta di
gelato venduta al pubblico almeno due venivano vendute, sotto banco e
sotto costo.
Ovviamente el dinero
finiva nel loro borsillo.
A seconda di quanto
rubavano il gelato venduto al pubblico aveva piu' gusto e meno
ghiaccio.
In giro per la citta',
questa gelateria ha dei punti di vendita dove, sempre per 3 pesos si
puo' comperare un cono di un'unico gusto.
Anche in queste piccole
cose si denota come la capacita' imprenditoriale in quel paese sia
tutta da creare.
Esiste un solo tipo di
cono, che tiene una sola pallina, se ne vuoi due devi andare in giro
con due coni...
Non e' che ci voglia
Zichichi per capire che se fai un cono piu' grande, vendi piu'
prodotto e guadagni di piu'.
Dobbiamo arrivare noi culi
bianchi a spiegarlo?
Completano il quadro quei
chioschietti che vendono i coni con una pallina a un peso, il gelato
esce da una misteriosa macchinetta, viene fatto al momento....una
roba colorata....non so...preferisco vivere.
Parallelamente a questi
gelati c'e un'offerta di prodotto in divisa, della Nestle', di
livello appena inferiore a quello che abbiamo qua'.
Un gelato, mediamente,
costa 1,50/2 cuc e vi posso assicurare che malgrado il costo elevato
vanno via rapidi.
Il discorso di mettere in
piedi una gelateria a Cuba lo abbiamo gia' affrontato.
Da un lato c'e' la
necessita' di essere concorrenziali con prezzi cosi' bassi, ma
dall'altro bisogna tenere in considerazione che quelli confezionati
della Nestle' vanno, anche loro, via come il pane.
Chiaro che una gelateria
come le nostre con 20/30 gusti avrebbe successo, bisogna vedere
quanto ci costerebbe importare il macchinario e sopratutto, se ce lo
permetterebbero.
Chiudo con una
segnalazione.
Chi segue il blog sa
perfettamente che dell'esclusiva non mi e' mai fottuto nulla, se
trovo qualcosa di interessante mi piace segnalarvelo.
Ieri, mentre sul web
cercavo altro, ho trovato questo blog.
Si tratta di un romano che
vive a La Habana e insegna italiano.
Scrive molto bene, cosa
rarissima nel semianalfabetismo acidoso imperante nella rete.
La presentazione
al blog, che posto a seguire, recita maomeno testuale; “non amo un blog democratico”
Questo ha capito tutto.
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Questo
blog poteva chiamarsi "Quello che piace a me, punto e basta" e forse
avrebbe dichiarato con maggior forza lo spirito che lo fonda e che mi anima:
quello di disegnare un percorso altamente soggettivo di ciò che piace a me a L'Avana. D'altro canto, dalla
"Critica del giudizio" di Kant in poi, siamo stati liberati da un
concetto di bello "a priori" e quindi, in poche parole, faccio come
mi pare. L'Avana è la città che ho scelto per vivere e per scrivere. Secondo me
(quante volte ripeterò “secondo me” nei mesi a seguire?) è la città più bella del mondo e non cerco un contraddittorio. Secondo
me. E mi basta. L'Avana è una città (città? Non ne sono sicuro, meglio
chiamarla mondo) con una vita culturale incredibile, talenti veri in ogni campo
dell'arte, della cultura in generale, della musica. Ha un fermento creativo che
non ho mai intercettato in tanti paesi del primo mondo. E accanto a questo,
L'Avana possiede un bello, direi, involontario. Quello che non ti aspetti.
Quello che ti prende i sensi con la guardia bassa. Getti un'occhiata per
sbaglio sulla tua destra e vedi un pavimento perfetto, uno sguardo che ti
lascia senza respiro, gli occhi di un bambino che non sapresti descrivere. Ci
vivo. E quindi cercherò di non scimmiottare quei
turisti su cui amo ironizzare, quelli che vedo per strada armati di macchina
fotografica digitale e che credono di aver trovato una chiave narrativa
originale, un punto di vista rivoluzionario: la Cuba dei vicoli! Ve la
risparmio. Ma non vi risparmio una scelta di campo: vedere il bello. Se non
fossi moderatamente modesto direi: una scelta di vita. È semplice, sono istruzioni che diamo al nostro cervello:
vedi quello che non va. E il nostro cervello è
bravo, allenatissimo, nello scovare rughe e magagne del mondo. Per una volta:
vedi quello va. Vedi quello che è bello. Vedi quello che
faticosamente ci avvicina a dio. Pardon, al sacro. Che poi è quello che m'interessa. Tanto è pieno di gente che adora fare le pulci alla bruttezza e se
fai un fischio ne trovi a vagoni di brutti panorami e dei loro cantori. Quindi
il bello. Quello che ci rimette a posto. Come l'alcol in certe notti di
tempesta. Come le chiacchiere con un amico. Come i baci. Come le carezze ad un
figlio. Come guarire.
Non ho
nessun piano. Ho una serie di idee che abbracciano il mondo intero. Certi film,
certe opere teatrali, certi piatti, certi locali, certi libri, certe persone,
certe donne, certe occasioni perdute, certi punti di vista, certe parole, certi
arrivi, certe partenze, certe birre. Nessuna aspirazione ad essere una guida,
ma tuttavia il desiderio di raccontare quello che posso condividere, oggi, qui.
Sarebbe operazione troppo crudele quella di scrivere: "un anno fa ho visto
questo e quest'altro, voi non c'eravate... Impiccatevi!". Cercherò di muovermi nelle strane pieghe dell'attualità in modo che questo blog possa, per lo meno, essere una
specie di appoggio, un incipit, un punto di partenza per qualche tipo di
viaggio. Non sono un marchettaro. Non in questa sede almeno. Niente contro, ma
considero questo spazio che nasce come una nicchia al riparo da certe logiche.
Per intenderci: sarà difficile che parlerò bene di un'opera o di un ristorante per soldi. Quindi,
ristoratori e teatranti, non ci provate! Ovviamente dipende dalla quantità di soldi (ognuno di noi ha una prostituta che si nasconde
dietro alle sue migliori intenzioni) ma cercherò
di resistere o per lo meno di alzare la mia soglia di corruttibilità sopra i cinque dollari. Scherzo, si è capito?Probabilmente esprimerò opinioni e preferenze discutibili e confutabili. Spesso il
mio gradimento per certi locali dipende da dettagli minuscoli: l'assenza di
camerieri leccaculo, un'acconciatura, non cadere in espressioni tipo:
"...su un letto di patate" nel menu. Sai che? Non me ne importa
nulla. Non amo i blog democratici e questo mi convince a procedere proprio per
la sua unilateralità programmatica. Si perde molto
tempo a discutere ed io ho poco tempo.
Sono
belli gli alberi di L'Avana. Come quelli che vedo adesso dal portale della mia
casa. Grondano rami discendenti come tendini di un corpo che lotta nel fango.
Rami e radici si confondono e mi sembrano la metafora di qualcosa che ora mi
sfugge. Li guardo spesso mentre vado a correre in Quinta e vinco ogni volta la
tentazione di sdraiarmi là sotto a proteggermi dal tempo
che passa. Sono belli e saggi. E come i saggi creano un cono d'ombra nel quale è bello riposare e ripararsi dalle strade in fiamme.
Per
quello che conta: buona lettura.