lunedì 5 settembre 2016

AMICIZIA

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Ognuno di noi assegna alla parole “amico” ed “amicizia” la valenza che preferisce, valenza che e' quasi sempre differente da una persona all'altra.
Spesso, per semplicita' dialettica, regaliamo il termine “amico” a chi, in realta', e' un semplice conoscente.
Personalmente, ritengo che gli amici ,quelli veri, siano quelli diventati tali quando si era ragazzi.
L'eta' in cui tutto era da fare, il mondo era un posto meraviglioso, le ragazze un pianeta semisconosciuto e i rapporti personali infinitamente piu' facili.
Successivamente, durante il nostro cammino, incontriamo tante persone con cui intratteniamo buone relazioni, condividiamo interessi e passioni, si tratta pero' un situazioni legati ad interessi condivisi e non di vera e propria amicizia.
Capita anche a me di definire “amico” chi in realta' non e' altro che un buon conoscente.
Vedo e parlo, per lavoro e per diletto, con centinaia di persone ogni giorno, alcuni di loro sono persone che mi piace frequentare pero', per loro, una parte di cio' che sono sara' sempre off limit, diversamente a cio' che accade con gli amici veri.
Con gli amici non e' neanche necessario avere interessi condivisi, non ci devono mai essere interessi economici, il fatto di non vedersi, magari per lunghi periodi, non deve influenzare il rapporto.
Quando ci si vedra' sara' come essersi lasciati il giorno prima.
Pero' io sono di quella generazione che le amicizie le ha selezionate guardando negli occhi le persone, oggi c'e' chi si vanta di avere 1000 amici virtuali ma, fondamentalmente, e' solo come un cane.
Dove esistono grandi differenze economiche e' difficile che riescano ad instaurarsi rapporti di amicizia sinceri e duraturi.
Per questa ragione Cuba non e' esattamente il miglior paese al mondo dove coltivare amicizie.
Dopo 16 anni, credo di poter dire di conoscere, spesso piacevolmente, tanta gente, ma se parliamo di amicizie vere il cerchio si restringe fino a diventare un minuscolo cerchiolino.
Ripeto, l'interesse rischia di diventare il motore principale che spinge le persone verso di noi, questo non e' un bene.
Ogni tanto chiamo “amici” alcuni italiani che frequento a Cuba ma si tratta, evidentemente di una forzatura sintassica.
Neanche fra di loro, i cubani, al di la' delle tante dichiarazioni di intenti, dei vari “hermano”, di tutti gli abbracci, coltivano rapporti di amicizia duraturi.
E' vero che si tratta di un popolo in viaggio.
Gli amici che si frequentava ai tempi della scuola hanno cambiato barrio, citta', nazione.
Molti hanno fatto perdere le loro tracce, di molti non si sa piu' nulla, e' difficile trovare grandi compagnie di coetanei, come possiamo essere noi Villans, che si ritrovano a distanza di anni.
Cuba e' la patria del provvisorio.
Per non parlare di chi, per pochi centavos, accoltellerebbe alle spalle l'”hermano de crianza” di turno, questo pero' non succede solo a Cuba.
Mi e' capitato tante volte di incontrare fanciulle che frequentavano l'amiguita del cuore per poi, nel viaggio successivo, sentire apostrofare la stessa amiguita con epiteti irripetibili.
Magari per un vestito non restituito, un novio rubato, un chisme raccontato ecc...
Non oso pensare, ora con Facebook, come il gia' labili rapporti personali che i cubani hanno fra di loro rischino di saltare per aria.
L'amicizia e' una cosa molto seria, non sono i gesti esteriori, tanto amati a Cuba, che determinano la profondita' di un rapporto.
Per noi resta molto difficile instaurare un vero rapporto di amicizia con loro, personalmente non ne sento neanche troppo l 'esigenza.
Ci sono persone che mi sono utili quando mi serve qualcosa a cui io sono utile quando serve qualcosa a loro.
E' sufficiente, almeno per quanto mi riguarda, mi basta un corretto rapporto interpersonale, un dare e un ricevere che abbia una equilibrio e che non sia a senso unico.
A volte non aspettarsi nulla porta delle belle sorprese mentre quando le aspettative sono troppo alte si corre il rischio di essere pesantemente delusi.

20 commenti:

  1. DAL BLOG MINUTO SETTANTOTTO

    Siamo frutto di un fraintendimento, a dir la verità.
    Parlo di noi, del nostro mondo e di quel settantottesimo minuto.
    La cosa che ci fa realmente impazzire di quel minuto non è che quel settantottesimo minuto si sia privato di un attimo di se stesso per regalarlo alla storia e all’eternità. Una mezza finta con il busto, destro secco e Sepp Maier battuto. Epico, incredibile, impensabile. Davide che batte Golia ce l’avete stuprato troppe volte, è bene parlare di cosa concrete: il comunismo che batte il capitalismo. I simil dilettanti che gelano i campioni. La Germania Est che batte la Germania Ovest. Già questo per noi è abbastanza, ma in realtà siamo di più.
    Siamo quell’attimo prima all’attimo eterno.
    Il controllo di faccia di Jurgen Sparwasser. Non ne ha mai parlato nessuno tant’è l’importanza dell’attimo dopo, del gol, ma è almeno ugualmente importante. Quel gol senza quel controllo varrebbe mille volte meno. Batterli con una prodezza sarebbe stato mettersi al loro livello, batterli con le loro stesse armi.
    Bello, ma non adatto a noi.
    Noi siamo noi e loro sono loro. Loro sono gli autori di uno del miglior calcio mai giocato, noi no. Non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.
    Il gol più importante della storia è stato fatto con un controllo di faccia, ma ci credete? La poesia di quel naso schiacciato, l’orgasmo di una palla troppo bassa per metterla giù con la nuca e troppo alta per un raffinato stop di petto. Un’opera dadaista, il sovvertire ogni regola del buon gusto calcistico. La Fontana di Duchamp in ogni minimo dettaglio. Un pisciatoio spacciato per opera d’arte. Presentarsi all’appuntamento con la Storia con una schifezza di controllo palla. Quando l’ho visto per la prima volta mi sono messo le mani nei capelli.
    Abbiamo scelto di essere questo, perché di questo c’era bisogno. Con quel nome non abbiamo mai voluto appropriarci del goal, ma di quel controllo di faccia e di quello che c’è dietro. Abbiamo scelto di parlare di, appunto, tutti gli stop di faccia del mondo del calcio. Storie di perdenti o storie di vincenti inadeguati, perché a nostro agio nella vittoria non ci siamo mai sentiti.
    Una triste abitudine, ma così è.
    Come la Germania Ovest che poi lo vincerà quel mondiale e noi che veniamo sbattuti fuori senza rispetto e riconoscimento per l’impresa compiuta qualche settimana prima. Così è ancora più bello.
    Quel che facciamo, scriviamo, raccontiamo ha però una prerogativa: l’antifascismo. La nostra linea politica, alla quale mai e poi mai rinunceremmo per qualche likes in più e per un pubblico più ampio, non viene da quella squadra, la Germania Est. Sparwasser quel muro lo salterà dando vita al leggendario aneddoto della spia della Stasi che, sconsolato, si lascia andare in uno “no, Spari no..”.

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  2. CONTINUA

    La nostra linea politica deriva dalla seconda volontà di questo blog: omaggiare il Dio del calcio.
    Non il Dio di Kakà e Legrottaglie. Un Dio che spezza ogni catena, ogni foglio di via e ogni muro. Il Dio di Mavuba, nato nel battello che lo portava dall’Angola alla Francia e diventato poi pedina fondamentale del centrocampo della nazionale francese. Il nostro Dio.

    Marenostro tu sai chi li guida

    è quel Dio che non ha frontiere

    che cammina sull’acqua e sul fuoco

    e che spezza tutte le catene

    è il Dio di tutti i colori

    che combatte la fame e la guerra

    e per lui nessuno è straniero

    come in cielo così come in terra

    Un calcio che non vi apparterrà mai ma nel quale siete la stramaggioranza. Un calcio pregno di sessismo, razzismo, machismo e maschilismo fin dall’ultimo livello per arrivare alla Serie A.
    Troppo facile regalarvelo, troppo facile tirare i remi in barca. Troppo facile fare il gioco di quella sinistra che non ha capito come funziona la società contemporanea e lascia nelle vostre sudicie mani questo splendore.
    Questo controllo di faccia.
    Cose che non avrete mai finché ci saremo noi perché, fino all’ultimo respiro che ci verrà concesso, non la smetteremo mai di raccontarvi quel che il calcio è e quello che non sarete mai voi.

    Al nostro calcio.

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  3. Gia' e' complicato avere amici in Italia, figuriamoci a Cuba. Giuseppe

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    1. A volte si definisce AMICO chi in realta' e tutta un'altra cosa.

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  4. a Cuba usano le parole hermano/socio/amigo con liberalità estrema, purtroppo la differenza economica rende difficile un rapporto alla pari dove ci si voglia davvero conoscere, ho oltretutto notato che i cubani che 'stanno bene' mediamente ci disprezzano...parere mio ovvio...parlo per esperienza personale..fa ridere anche a me che l'amica del cuore puntualmente diventa nemica per la pelle ma anche questo (e non solo) fa cubania..o no?
    buona settimana a tutti! !
    -10
    Andrea M.

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  5. Andrea dipende.
    Conosco cubani che stanno bene,disprezzano chi arriva da migliaia di km per hablar mierda e per vivere peggio dei cubani meno fortunati.

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  6. Dove ci sono interessi di mezzo,anche semplici, non potrà mai esserci amicizia, e questo vale in tutto il mondo,non solo a Cuba.

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  7. A volte è meglio,con gli amici perché restino tali,evitare di avere negocios o cose simili.
    Uguale con le tue donne.
    Mai mischiare rava e fava.

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  8. Ho chiesto, via mail, al box office, ufficio visti Torino, per curiosita', il costo di un visto per Cuba....risposta;

    Buongiorno, rilasciamo la targhetta turistica necessaria sul momento dietro presentazione del passaporto originale o della copia della pagina dei dati.
    Costa 50 € a persona competenze e diritti consolari inclusi.
    In caso possiamo ricevere la copia del passaporto via mail e rispedire l'originale della targhetta con corriere al costo ulteriore di 12 € + IVA
    Resto a disposizione
    cordialità

    MA CHE VADANO A CAGARE....

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    1. Io il visto lo pago 25 e di solito lo faccio insieme al biglietto.
      Dado

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  9. Certo Dado così costa anche in agenzia.
    Solitamente li prendo a 15 cuc all'aeroporto do Holguin ma li ho finiti
    La mia era solo curiosita.

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  10. Che amico è uno che non si fa in quattro anche per te se sparisce per dei mesi, ma la sua finestra è accesa e sai che c'è (F. Califano) P68

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  11. Tutto vero amico mio....peccato che dopo la sua morte il Califfo, con tutti gli amici che aveva, abbia faticato a trovare qualcuno che gli pagasse il funerale.
    Cosi' e' la vita....

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  12. Por primera vez un deportista en las circunstancias que aquejan hoy a la discóbola Yarelys Barrios desliza críticas públicas a autoridades deportivas de su país, Cuba.

    Eso es lo que se desprende de sus declaraciones difundidas este fin de semana por el periódico Guerrillero de Pinar del Río de donde ella es oriunda y reproducidas de inmediato por los medios oficiales de la Isla. La deportista ratificó que es “inocente” como ya se había reflejado en OnCuba hace varios días.

    ¿Cuáles fueron algunos “por qué” expuestos por la atleta y que pudieran propiciar aclaraciones de los funcionarios deportivos?

    1- Que no pudo asistir a la apertura de las muestras en Lausana.

    2- Que representantes de la embajada de Cuba en Ginebra se desplazaron hacia allí en su lugar y no llevaron el número de la muestra.

    3- Que hubo lentitud en el trámite para su asistencia a la audiencia en Suiza para su apelación en la cual su abogado apenas tuvo tiempo para prepararse (OnCuba supo de una fuente informada que una vez enterada de su “positivo” la atleta quería pagarse de su bolsillo si era necesario su viaje a Lausana, pero a la postre la Federación cubana cubrió esos gastos incluida la presencia del jurista.)

    4-Que solicitó se revisaran las muestras que se le han realizado por Cuba y no se pudo.

    5- Que debió enterarse ella primero que la opinión pública de la decisión del COI de retirarle la medalla de plata y que esa notificación no le llegó por el INDER. Se ha “sentido sola”, dijo.

    Quizás hasta los propios directivos de la Isla se enteraron también de la última palabra del COI por un comunicado de prensa del organismo mundial. Quizá sí, quizá no.

    Cuando se hizo público, como era lógico, muchas personas reaccionaron en las redes sociales con la solicitud de escuchar la opinión de la multimedallista mundial y olímpica. Y se determinó abrir las páginas a su voz.

    ¿Qué piensan las autoridades deportivas de este hecho? ¿Qué opina el Instituto de Medicina del Deporte? ¿Los lectores no quisieran conocer más sobre cómo el COI garantiza, desde el punto de vista científico y de seguridad las muestras almacenadas por ocho años?

    La noticia no debió sorprender. Como ella mismo dice, en mayo le llegó la notificación oficial. Estaba incluida en el listado de los 39 atletas que representarían a Cuba en el torneo de campo y pista de los Juegos Olímpicos de Río de Janeiro, pero a última hora no fue incluida… ¿Y nadie preguntó por qué?

    Realmente, Cuba no es un país donde el dopaje sea un problema. El último hecho sonado ocurrió en los Juegos Panamericanos de 1999 en Winnipeg con el polémico doping del saltador de altura Javier Sotomayor que desató una inédita campaña del gobierno cubano.

    Desde el 2001 con la creación del laboratorio antidoping en La Habana ningún suceso similar fue descubierto en delegaciones cubanas en juegos multidisciplinarios. Los directivos de esta instalación arguyen que ellos no difunden los casos de dopaje en casa como “escándalos mediáticos” como en otras partes del mundo.

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  13. Reconocieron que por lo general se detectan como promedio anual uno o dos casos pero que en 2015 se descubrieron siete positivos sancionados a cuatro años.

    Hubo un octavo, que trascendió a los medios internacionales al ser controlado positivo en el laboratorio de Montreal como parte de los análisis del Preolímpico de fútbol celebrado en los Estados Unidos. Fue Arturo Diz Pé, que había sido uno de los contratados en el ensayo con el fútbol mexicano, pero abandonó el país cuando estaba en el proceso de confirmar el contraanálisis.

    Antes de Yarelys Barrios el otro caso cubano suscitado en unos Juegos Olímpicos ocurrió en Atlanta-96, también por culpa de otro diurético, furosemida, con la judoka Estela Rodríguez, pero sólo recibió una reprimenda y mantuvo su presea de plata tras perder en la final superpesada con la china Sun Fuming, en la que las buenas relaciones con el entonces presidente del COI,Juan Antonio Samaranch, tuvieron su influencia favorable.

    En diciembre último Barrios había acariciado su bronce olímpico de Londres-12, en una ceremonia solemne en La Habana, que le llegó enviada por el presidente del COI Thomas Bach después de la descalificación por doping de la rusa Darya Pishchalnikova, segunda entonces, de la cita europea.

    No le pasaría por la mente que meses después pasaría de “heroína” a “villana” bajo estas mismas reglas de juego; perdería su plata de Beijing y otras que le siguieron se beneficiarán. Pero ella se defiende.

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  14. Amicizia...amore ma ancora ci credete?
    C'e' gente che e' riuscita nell'impresa titanica di farsi, su un forum, insultare e minacciare dalla propria moglie cubana.
    Lasciamo perdere.
    Marco

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    1. Ricordo...pare che non si sia ripreso e forse...non si riprendera' piu'...porello....

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