venerdì 30 dicembre 2016

YO SOY FIDEL



Concludo quest'anno di blog con un doveroso omaggio al nostro Comandante en Jefe.
Fra i tanti scritti che ho letto dopo la sua dipartita terrena questo, tratto dal blog di una fanciulla, mi sembra il piu' adatto per rendere onore ad un gigante della storia.
Hasta siempre Comandante!

Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì. Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio.  E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che non si trovano, che sono difficilissime da fare. L’embargo crea paesi logoranti dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu, straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina, caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci, non è una bella persona. Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”. E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte. A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm – apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.
Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà, all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre, lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano, che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità, l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e quelli che non hanno paura di nessuno.
E’ difficile, per una come me, arrivere all’aeroporto praticamente in fuga, pregustando il mondo normale che riabbraccerai entro un’ora, sopportare con odio le ultime angherie cubane prima di entrare nell’aereo (un assorbente dieci dollari di cui otto te li metti in tasca tu, negoziante cubana che abusa del mio stato di straniera in difficoltà?) e poi, nel momento esatto in cui l’odio ti trabocca da dentro, vedere gli sportelloni di un aereo angolano che si aprono e i passeggeri che cominciano a scendere: in sedia a rotelle, in barella, uno più sciancato dell’altro. Africani che vanno a curarsi a Cuba. Gente che noi, in Europa, lasciamo morire con indifferenza se non soddisfazione, e che la poverissima Cuba invece accoglie e cura. E tu che fai? Guardi, ti rendi conto, e che te ne fai più del tuo odio? Ti accorgi che sei una straniera viziata o, peggio, che non sei proprio nessuno. Che la Storia, da quelle parti, non sei tu, non passa per l’Europa. Tu sei lo spettatore pagante, se ti va bene, oppure aria, vattene. Cuba mette a fuoco altro da te.
L’Europa, in effetti, è lontanissima. Ed è straniante sentire gli europei che parlano di Cuba e dicono sempre, puntualmente, tutto il contrario di quello che vedi tu. Dai massimi sistemi a quelli minimi. Cominciamo dai primi: “E’ una dittatura, la gente vuole fuggire, gli omosessuali perseguitati, i dissidenti“. In realtà, l’immagine di dittatura cubana che si ha all’estero è quella dei primi anni 70, del cosiddetto “quinquenio gris” che la stessa ortodossia politica della Cuba di oggi definisce come “intento de implantar como doctrina oficial el Realismo socialista en su versión más hostil.” La definizione è diEcuRed (la Wikipedia cubana, per intenderci) ma io stessa ho sentito criticare, addirittura ridicolizzare quell’epoca nelle aule universitarie dell’Università dell’Avana. Sono passati 35 anni da allora, gente. Cuba non è quella cosa lì. I cubani fanno il diavolo che gli pare. E pure gli stranieri.
Diceva la mia padrona di casa: “Tre cose non si possona fare, a Cuba: le droghe, lo sfruttamento dei bambini e, se sei straniero, una smaccata propaganda antistatale. Per il resto, se vuoi camminare per strada nudo e a testa in giù nessuno ti dice niente.” I dissidenti? Avranno una dignità quelli legati alla Chiesa, suppongo, ma credo che tutti sappiano che le varie Damas en  Blanco, per non parlare poi della Sanchez, prendono soldi per ogni manifestazione che fanno (famoso un loro sciopero perché non erano pagate abbastanza). Io non ho conosciuto nessuno, letteralmente nessuno, che ne parlasse con un minimo di rispetto. E’ gente pagata, punto, chiusa la questione. Poi, certo, la gente parla di poltica, immagina il futuro, esprime idee. C’è chi ama (amava, gessù…) Fidel e chi lo detesta/detestava. E chi, la maggior parte, ha sentimenti ambigui, tra l’ammirazione e il rancore. Chi cambia idea ogni secondo. Perché, di fondo, i cubani sono orgogliosi delle loro conquiste. Sono orgogliosi di quello che hanno combinato. E fanno catenaccio, sono uniti, sono isolani. Ecco, sono isolani. Non capisci Cuba se non ti metti in testa questo: che sono isolani, e per loro il mondo è Cuba e tutto il resto c’è se serve, sennò può pure affondare. Vogliono scappare? In realtà vogliono viaggiare. Perché sono isolani, appunto. C’è tanto mondo che non hanno mai visto. E poi, certo, vogliono soldi. Vogliono comprare cose. Vogliono guadagnare, come è umano che sia. Ma poi vogliono tornare. I cubani muoiono di nostalgia, lontano da casa, dalla famiglia, dalla loro gente, dal loro riso e fagioli. Sono uniti da fare schifo, i cubani. E se si sentono minacciati, di più. Ne sanno qualcosa gli USA, che inasprirono l’embargo nel momento esatto in cui cessarono gli aiuti dall’URSS e a Cuba fecero, letteralmente, la fame. Speravano in una rivolta, gli USA. Si ritrovarono con un popolo che si rimboccò le maniche per l’ennesima volta e ne uscì in piedi, come sempre. Inventandosi cose come il pastrocchio di soia, ripugnante intruglio distribuito alla popolazione come “proteinas para el pueblo“. Perché poi sono pratici: il corpo ha bisogno di proteine, vitamine, carboidrati? In qualche modo li ingurgitavano. E nei parchi ci sono gli attrezzi per fare ginnastica, tipo palestra. E se non ci sono medicine, ricorrono alle piante, alla medicina naturale. Ne escono sempre. E si concedono pure il lusso di esportare i loro medici in Venezuela, come altri esporterebbero, chessò, rame, in cambio di petrolio venezuelano. Questo, hanno fatto i cubani: hanno esportato medici in cambio di petrolio. Perché questo è quello che hanno: la loro formidabile, benché odiosissima, gente. Suona retorico, lo so. Odio scriverlo, odio dirlo. Però è vero. Incredibilmente, è vero. Come, poi, questi medici, questi professionisti cubani riescano ad essere bravi nonostante ristrettezze di ogni genere (falla tu, ricerca, in un paese con internet a pedali) io non lo so e non l’ho capito. Ma ce la fanno.
Gli omosessuali, poi: a Cuba si celebra il Pride, per dire. Sono finiti gli anni 70, “Fresa y chocolate” fu girato con sovvenzioni statali, non scherziamo. Ma, soprattutto, ricordo una pubblicità progresso dello Stato, dei cartelloni esposti nelle farmacie che mi colpirono molto. Era una cosa sulla prevenzione dell’AIDS e c’era la foto di due gay che si baciavano. Ma a differenza dell’Europa, dove i due gay sarebbero stati giovani e bellissimi, nella foto cubana c’erano due signori di mezz’età, bruttini, normali. Due comuni cittadini, come li avresti potuti incontrare sul pianerottolo. Né giovani, né belli, né magri, niente. Due signori che si baciavano e un pacato invito all’amore che non escludeva la prevenzione. Sobrio. Rispettoso. Bello. Mi sembrò un esempio da seguire. Del resto, Cuba è molto poco patinata. Non ha neanche la pubblicità, se è per questo. Solo pubblicità progresso e grosse scritte motivazionali un po’ ovunque. E’ il buono dell’avere molto poco da comprare, nessuno cerca di convincerti a farlo.
Altrettanto stranianti mi paiono poi i discorsi degli stranieri che celebrano i cubani come un popolo di felici danzerini sempre di buon umore e simpatici, uh, che simpatici. Di buon umore? Io, gente stronza come all’Avana ne ho vista poca, in vita mia. Quando diventa chiaro che non li vuoi scopare, che non gli vuoi offrire da bere, che non ti caveranno una lira, tu diventi trasparente ma attorno a te si dispiega la realtà: gente affaticata, incazzosissima, arrogante o, semplicemente, con i cazzi suoi a cui pensare, come è giusto e normale che sia. No, non sono ciarlieri: puoi farti un’ora su un taxi collettivo strapieno senza che nessuno parli con nessuno. Puoi andare mille volte allo stesso bar senza scambiare una parola col barista. Ricevere una gentilezza gratis è rarissimo, ricevere un sorriso non interessato di più. Se sei in difficoltà attiri gli squali. E più è giovane, la gente, e più è stronza. Ecco, questa è una cosa importante: il divario tra i vecchi e i giovani, a Cuba. Con la crisi degli anni Novanta, il sistema scolastico cubano si ritrovò a piedi, come molte altre cose. Con il grosso dei maestri esportati in giro, ci si ritrovò con i ragazzi più grandi a fare lezione ai più piccoli, per dire, e a un generale decadimento dell’istituzione. Per questo e altri motivi, si percepisce uno stacco culturale importante tra i cubani da una certa generazione in giù. I giovani non valgono quanto i loro padri. E questo sarà un problema, in prospettiva. Poi, è vero, la gente fuori dall’Avana (o da Varadero, gessù) è meglio. Molto meglio. Ma i cubani sono, dicevo, isolani. Cocciuti, orgogliosi, quello che vuoi tu, ma non amichevoli. Ma manco per il cazzo, proprio. Se sono amichevoli, anzi, è meglio che ti preoccupi. Avranno i loro motivi, e sono motivi che non ti convengono. Esagero? Sì, un po’. Sintetizzare crea stereotipi, è ovvio. Però, ecco, stereotipo per stereotipo, quello dello stronzo mi pare più azzeccato di quello del felice danzerino. Fermo restando che ballano benissimo, è ovvio.
Ma siamo sempre lì: se da una parte io li detestavo – a un certo punto li detestavo proprio tutti, senza eccezioni – dall’altra, poi, mi accorsi in fretta che, nel resto dell’America Latina, potevo usare il mio status di residente a Cuba come un’onoreficenza, una cosa che mi distingueva in positivo dalla massa europea. Soprattutto in Nicaragua. In Nicaragua, quando la gente scopre che vivi a Cuba si emoziona. Manca solo che ti abbracci. Perché, in un modo o nell’altro, tutti debbono qualcosa ai cubani. “Io mi sono laureato a Cuba, gratis!” “Mio padre è stato salvato da un medico cubano!” Una folla. Il Nicaragua trabocca di gente che in gioventù è stata presa e spesata da Cuba per studiare, che ha avuto vitto e alloggio gratis per anni, che ha con l’isola un debito a vita. E se tu vivi a Cuba, pare che ce l’abbiano anche con te, il debito. Ti trattano bene. Ti rispettano. I cubani sono rispettati, in America Latina. Se lo sono guadagnato. E alla fine, è questo: li rispetti. Io li rispetto. Non li amo, ma li rispetto. E quando hai girato per tutto il Centro America, e non ne puoi più di vedere bambini coperti di stracci, bambini che in Chiapas vanno a lavorare trascinandosi zappe più grandi di loro, bambini che circondano il Ticabus a ogni sosta della Panamericana armati di stracci e si mettono a lavarlo in cambio di un’elemosina, finisce che non vedi l’ora di tornarci, a Cuba, e di vedere finalmente bambini normali (la normalità è un concetto molto mobile), con l’uniforme lavata e stirata, belli pettinati con la riga a lato o le treccine e che vanno, tutti, A SCUOLA. Oppure a giocare. E che non lavorano. Mai. Riatterri a Cuba che trabocchi di rispetto. Lo dici al taxista che ti riporta all’Avana e lui è contento, rincara la dose: “E’ vero, noi ci lamentiamo e ci dimentichiamo del buono, ma è proprio vero. Anche i nostri portatori di handicap, non c’è confronto. E che dire della delinquenza, del narcotraffico? Siamo fortunati, noi.” Sì, sono fortunati, loro. Perché è una questione di prospettiva: se nasci povero, malato, sfortunato, è meglio se nasci a Cuba. Molto meglio, proprio. Fuori da lì, muori e muori male. Un povero non vuole essere guatemalteco, haitiano, dominicano. Vuole essere cubano, credimi.
Cosa si può dire di Fidel nel giorno della sua morte? Questo, probabilmente: che ha dato un senso allo sfuggente concetto di “cubanità”. Concetto che i cubani inseguivano da un secolo, prima che arrivasse lui. Che ha preso un popolo che lottava per la sua indipendenza da cent’anni – prima contro gli spagnoli e subito dopo, come una grottesca beffa, contro gli USA che ne presero il posto – e lo ha reso, per la prima volta nella sua storia, indipendente. Parliamo un po’ di questo, di cosa è la “cubanità”. I cubani sono figli di due popoli entrambi sradicati, spagnoli e africani, piombati su un’isola dove gli indigeni erano scomparsi praticamente subito e senza quasi lasciare traccia. Sono il risultato dell’incontro/scontro e poi mescolanza di europei venuti a fare soldi e di africani trascinati come schiavi. Sarebbero un’accozzaglia di storie e culture diverse, di radici sradicate, di bianchi e neri, schiavisti e schiavi, violentatori e violentati, se tutte queste storie e queste culture non si fossero mischiate, se tutti non fossero andati a letto con tutti, se l’immenso meticciato che ne è derivato non si fosse unito, a un certo punto, nel nome della lotta per l’indipendenza. Cuba è giovane. Diceva uno dei suoi grandi intellettuali, Fernando Ortiz: “Tutto quello che in Europa è successo nell’arco di millenni, a Cuba è successo in soli quattro secoli“. Cuba non ha storia che non sia di appena ieri, non ha spiritualità come la intendono i popoli antichi, non ha religione che non sia un minestrone di riti mischiati, non ha un colore, una faccia, un’identità che non sia quella dell’essere cubani, appunto. Qualsiasi cosa ciò voglia dire. E diceva sempre Ortiz: “La cubanità non la dà la nascita, in un paese come il nostro, né la residenza, il colore, non te la dà nessun dato oggettivo. La cubanità te la dà la volontà di essere cubano“. E’ cubano chi ha voluto costruire Cuba. E Cuba, quindi, ha cominciato a nascere nel 1860, quando bianchi e neri insieme hanno cominciato a lottare contro la Spagna. Insieme, questo è importante. Lì è stato lo spartiacque. E l’hanno combattuta per 30 anni, fino al 1898. Quando sono arrivati gli USA, che fino ad allora se ne erano rimasti a guardare tifando per lo più Spagna, e hanno sfilato la vittoria ai cubani. Hanno dichiarato guerra a una Spagna ormai sfiancata, l’hanno sconfitta e si sono presi Cuba. I cubani, quindi, invece di una vittoria si sono trovati davanti a un passaggio di consegne. Invece della loro costituzione si sono ritrovati l’Enmienda Platt, e un padrone nuovo a cui obbedire.
Però i cubani sono cocciuti, come dicevo. Per i cinquanta anni successivi si sono rotti la testa studiando, protestando, guerreggiando – la rivoluzione fallita del ’30 – e ancora e ancora, tra due dittature e mille governi-fantoccio, mentre la loro economia dipendeva dagli USA, mentre persino il razzismo si accodava a quello degli USA impiantando l’apartheid che gli spagnoli mai avevano conosciuto, mentre sull’isola dilagavano il gangsterismo e la corruzione e le carceri erano piene – allora, mica oggi! – di oppositori politici. E poi è arrivato Fidel, la cui storia è talmente folle che sembrerebbe finta, se non fosse invece reale e documentabile. Si cita spesso “La Storia mi assolverà”, credo il più delle volte senza averlo letto. E’ l’autoarringa con cui lui, ben prima della Rivoluzione, spiegò ai giudici che lo avrebbero condannato il perché dell’assalto alla caserma Moncada, fatto da lui, il fratello piccolo Raul e un manipolo di studenti, studentesse, ragazzi vari, e finito malissimo. E’ la fotografia della Cuba sotto Batista e gli USA. E’ una dichiarazione di intenti – o, all’epoca, di sogni – ed è, soprattutto, l’autoritratto di un gigante. E’ molto difficile leggerlo, sapere che quell’uomo stava entrando in carcere e non sentire un rispetto immenso. Poi vennero l’uscita dal carcere, l’esilio in Messico, l’acquisto di una barchetta (Il Granma) con cui partire, stipandola all’inverosimile, all’assalto di Cuba, lo sbarco (su cui il Che disse: “Fu più che altro un naufragio”), la polizia di Batista che stermina i naufraghi, Fidel che alla fine si ritrova con – boh, vado a memoria – meno di venti superstiti e dice: “Ce l’abbiamo fatta, vinciamo sicuro.” E vince. Sul serio. E, per la prima volta nella sua storia, Cuba diventa uno Stato sovrano. Questo, è stato il punto.
E poi vince ancora, e ancora, e ancora. Contro gli USA. Prendendoli sempre, incessantemente, per il culo. Gli USA proiettano propaganda anticastrista sul loro palazzone all’Avana? Castro fa circondare il palazzone da bandiere più alte, una per ogni stato che all’ONU si è dichiarato contrario all’embargo, e così lo impacchetta rendendolo praticamente invisibile. Gli USA mandano navi al largo di Mariel per prendere dissidenti in fuga e mostrarli al mondo? Fidel fa svuotare tutte le carceri e i manicomi di Cuba e ne spedisce gli ospiti tutti da loro, riempiendo gli USA di matti e delinquenti comuni cubani. La lista è infinita, la vicenda umana di Fidel anche. Il rapporto tra USA e Cuba, alla fine, è strano. Ma strano forte.
Gli USA e Cuba si amano e si odiano, sembrano parenti in lite. I primi hanno sempre voluto mettere le mani sui secondi, prima cercando di comprare Cuba alla Spagna, poi prendendosela con le cattive. I secondi hanno sempre sofferto l’ingombrante ombra e le mire squalesche dei vicini, e hanno fatto tutto quello che un popolo può umanamente fare per farsi trattare alla pari. Cuba non ha voluta fare la fine di Puerto Rico, tutto qui. Non ha voluto essere una colonia. Ma, alla fine, la sua storia recente è stata comunque pesantemente condizionata dagli USA. Avrebbero chiesto aiuto all’URSS, virando fortemente sulle posizioni sovietiche, se non avessero dovuto difendersi dagli USA? Avrebbero avuto bisogno di un partito unico per 50 anni se non avessero avuto bisogno di essere tanto compatti dinanzi a un nemico tanto potente? E come sarebbe, oggi, Cuba, se non uscisse da 60 anni di embargo? Se è riuscita a dare cibo, salute e istruzione a tutti i suoi cittadini NONOSTANTE l’embargo, cosa avrebbe fatto senza il limite, l’impoverimento a cui è stata condannata? Voi lo sapete? Io no, francamente. Quello che so, è che l’embargo li ha compattati ancora di più. E, conoscendoli, non era difficile da capire.
Però ho visto un sacco di cittadini USA, a Cuba, e ben prima che Obama aprisse il paese. Col cappello in mano e colmi di ammirazione, li ho visti. Che arrivano per dei corsi di studio all’università, o da soli, passando per il Messico per non farsi scoprire dalle proprie autorità. Perché gli statunitensi non potevano andare a Cuba per ordine degli USA stessi, ma lo Stato cubano li ha sempre fatti entrare, facendo col visto lo stesso giochino che Israele fa con chi non vuole il timbro d’entrata sul passaporto: te lo dà su un pezzo di carta. E ho visto un sacco di cubani che desideravano andarci, negli USA, e fare soldi, vedere l’abbondanza, visitare i parenti. Sono talmente vicini, in linea d’aria, che sembra incredibile.
Io, alla fine – e concludo questa lunga riflessione che oggi mi era proprio necessaria – di Cuba ho capito questo: che la devi rispettare, sennò prendi calci in culo. Tiri fuori il peggio dai cubani, se li prendi contropelo. E che questo orgoglio infinito, cocciuto, cazzuto, fa parte del sentire dell’isola ma Fidel lo ha saputo compattare, dargli sfogo e direzione. Lui ha preso un popolo costretto a passare da una bandiera all’altra e ne ha fatto una cosa diversa: il popolo che ha vinto, quello che si è guadagnato l’indipendenza e l’ha difesa, quello che ha ottenuto le uniche, grandi conquiste sociali dell’America Latina, quello che più si è schierato contro il razzismo, quello che ha fatto sognare mezzo pianeta, quello che non si capisce come abbia fatto ma, in qualche modo, ce l’ha fatta. Ha preso una colonia e ne ha fatto uno Stato. Molto, molto orgoglioso di sé. Ha commesso errori? Certo. Avrebbe potuto fare di meglio? Sì. I cubani hanno sofferto? Sì, ma l’alternativa era essere Puerto Rico o peggio. E avevano combattuto troppo, e troppo a lungo, per potere accettare di essere Puerto Rico. So’ gente orgogliosa, che gli vuoi dire.
Per quanto possa sembrare paradossale, io non pensavo che Fidel potesse morire. Pensavo che avrebbe seppellito pure me. Mi fa proprio uno strano effetto, questa morte, ed essendo io una donna del Novecento penso che, stavolta, di giganti non ne rimane proprio nessuno. Ora: i cubani di oggi, i giovani cubani di oggi, saranno all’altezza della storia incredibile che gli lascia Fidel?  Io credo che lui abbia cercato anche, riuscendoci spesso, di tirare fuori il meglio dal proprio popolo. Di dargli disciplina, serietà, educazione, cultura. Di fare di un popolo caraibico il popolo serio per eccellenza di tutta l’area. Operazione non facilissima, va detto.
Lascia un popolo povero ma viziato, nonostante la cura da cavallo degli anni Novanta. Che non paga bollette, che ha la sopravvivenza assicurata, che si crede ‘sto cazzo. E che è umanamente e culturalmente in declino da un po’. Dove le differenze razziali, dagli anni novanta in poi, si sono accentuate. Da quando le rimesse dell’estero sono diventate vitali, e si dà il caso che il grosso dei cubani emigrati fosse bianco e abbia, quindi, mandato denaro alle famiglie bianche, mettendo loro e solo loro in condizione di partire con la piccola impresa. Un popolo che ha più aspettative che voglia di lavorare, e a cui il turismo – soprattutto quello italiano, e va detto a nostro disonore – ha fatto un gran male.
Non so cosa ne sarà di Cuba, se i suoi “difetti” la aiuteranno anche stavolta o se, senza il carisma del suo Padre della Patria, diventerà il paesello qualsiasi che tanti sperano che diventi. Temo la generazione cresciuta negli anni Novanta. Se Cuba va al macero, sarà per loro. Ma se questo dovesse accadere, sarebbe una gran perdita per il mondo intero. Sono degli stronzi, pensano solo agli affari loro, ti venderebbero al macello se solo potessero – e lo fanno appena possono – e tuttavia, pur di essere fighi, hanno dato tanto. Per un’italiana che non li regge ci sono cento cittadini del Terzo Mondo che devono loro qualcosa. Da sessanta anni, rendono il pianeta più vario e più vero.
Io credo che si sentano abbastanza male, oggi, i cubani. E che ne abbiano tutti i motivi.
Tocca invece invidiare un po’ il Padreterno, se c’è, ché finalmente se lo vede là, ‘sto famoso Fidel, e finalmente può farci due chiacchiere. Non ha aspettato poco, decisamente. E mi piace immaginare che, tra i due, il più curioso sia il Padreterno.
da Haramlik, il blog di Lia – http://www.ilcircolo.net/

M&S CASA PARTICULAR HA AGGIUNTO UNA CASA

giovedì 29 dicembre 2016

CHAO 2016



Questo 2016 che si chiude, secondo il sentido generale, e' considerato un'anno che e' bene finisca al piu' presto, non lo si puo' certo considerare un'anno che passera' alla storia.
Gli attentati di Nizza e Berlino, la guerra in Siria e la sanguinosa ma necessari presa di Aleppo da parte dei governativi e dei russi, che sono i soli a combattere seriamente il terrorismo.
Tutti gli efferati crimini compiuti da quei tagliagole dell'Isis, che hanno seminato l'odio in ogni parte del mondo.
I terremoti che hanno devastato alcune zone del nostro paese, le sciagure naturali che tante vittime hanno mietuto nel Caribe e nella zona confederata degli Stati Uniti.
La morte di grandi personaggi della musica e della cultura mondiale, rendono questo nostro pianeta un posto ancora peggiore da frequentare.
Quando muore un cantante o un attore le cui opere ci hanno accompagnato per un pezzo del nostro cammino, anche una parte di noi, tutto sommato, se ne va con lui.
L'ennesimo, inutile, cambio di governo in questa barzelletta di paese, i nuovi sindaci delle nostre grandi citta' che ne stanno combinando piu' di Bertoldo in Francia.
La lista delle nefandezze di questo 2016 sarebbe davvero infinita.
A Cuba, che e' poi cio' che davvero ci interessa, le aperture sono continuate con la possibilita' data a molti cittadini yankee di visitare l'isola, non a caso gli statunitensi sono stati, dopo gli acerini, il popolo che piu' ha fatto rotta verso la maggiore delle Antille.
Per la prima volta dagli anni 20, un presidente americano, Obama, e' stato ospite sull'isola, prima di lui era sbarcato Papa Francesco per la sua visita pastorale, poi tornato per l'incontro col Pope ortodosso.
Apertura di rispettive ambasciate fra Cuba e Usa, astensione di questi ultimi durante il voto Onu che condanna l'embargo decennale che gli Usa stessi attuano contro Cuba, da oltre mezzo secolo.
Con l'elezione di Trump, le cose potrebbero fare un brusco passo indietro, ma questo e' ancora concretamente da verificare.
E' mancato il Nostro Comandante en Jefe, ci ha lasciati Fidel.
Gia' solo questa notizia potrebbe catalogare il 2016 come un bell'anno di merda.
Pero' i grandi, alla fine, non muoiono mai, le loro opere, le loro gesta sopravvivono alla dipartita fisica.
Fidel e' sempre con noi.
Dal punto di vista personale questo 2016 e' stato discreto, niente di clamoroso ma tutto sommato le cose non sono andate affatto male.
Nel 2013 ho comprato casa a Cuba, nel 2014 nasce Grande Torino, nel 2015 acquisiamo la Fly Gym, nel 2016 prende vita il progetto M&S CASA PARTICULAR.
Grande Torino sta' facendo il suo e pare abbia davanti un 2017 importante, mentre la Fly Gym cresce e M&S inizia a dare le sue belle soddisfazioni.
Nel 2017, con ogni probabilita' tornero', con calma, in estate a fare stagione, dopo un 2016 in cui mi sono dedicato solo alla palestra, quindi prevedo un nuovo anno con tante cose da fare...ma del 2017 parlero' lunedi'....
La salute, che resta, amici miei, la cosa piu' importante perche' senza quella siamo davvero fottuti, regge abbastanza bene a parte qualche acciacco figlio dell'eta' del dattero maturo.
Questo 2016 si e' portato via anche alcune persone a me care, ma e' una cosa a cui, col passare degli anni, mi ci dovro' sempre piu' abituare.
I Villans hanno superato un'altro anno, cosa per nulla scontata vista l'eta', quest'anno ho giocato anche con altri scendendo in campo invece delle 15/16 volte solite, per ben 28 partite, quasi un campionato.
Sono stato a Cuba una cinquantina di giorni, meno di alcuni anni passati, ma ora ho una vita molto piu' piacevolmente impegnata, e poi 50 giorni a Cuba, in eta' di lavoro, sono un privilegio di pochi.
Il blog funziona bene, visto che tutto il web che aveva a che fare con Cuba e' estinto o vive di momenti occasionali, direi che il fare bene le cose paga sempre.
Il Toro e' passato dal catatonico Ventura allo spiritato Sinisa chiudendo il girone d'andata a 28/29 o 31 punti, mai era successo in era Cairo.
Tutto sommato il mio mondo ha funzionato, e' quello attorno che, invece, non gira piu' come dovrebbe.
Come e' stato il vostro 2016?
Buon 2017 a tutti, come diceva un mio vecchio Capo Villaggio l'importante e' che ci siano “Salute e Fimmine”, aggiungo “Piccioli” ed e' l'augurio perfetto.

M&S CASA PARTICULAR HA AGGIUNTO UNA CASA

mercoledì 28 dicembre 2016

ASILI E OSPIZI



Ci sono negocios che si stanno sviluppando sull'isola, negocios fatti esclusivamente da cubani, di cui noi culi bianchi non siamo a conoscenza.
A Cuba lo stato non fornisce i mezzi sufficienti per vivere, di conseguenza la gente deve sbattersi in qualche modo per mandare avanti il proprio negocio o per arrotondare il magro salario statale.
Quindi mentre da un lato c'e' una percentuale di popolazione sconosciuta ad altri lidi che, alle 10 del mattino, non fa una beata minchia, dall'altro c'e' gente che si ritrova col problema del tempo che non basta mai per fare fronte alle tante cose da fare durante una giornata.
Se una coppia lavora normalmente e ha figli piccoli ha il problema, ben noto da noi, di dove piazzarli durante la giornata, nel momento in cui la solita abuela di turno latita o non si rende disponibile.
Parlo di bimbi in eta' prescolare, come avviene da noi non e' semplice accedere all'asilo statale, occorrono requisiti e a volte occorre ungere le....rotelline giuste.
Per questa ragione sono nati e proliferano gli asili diciamo “domestici”.
Una sciura che si ritrova con una casa disponibile, tempo libero e magari una passione per le piccole creature, dietro compenso adeguato, si prende la briga di cuidarli mentre i genitori sono a lavorare.
Non ho idea di quanto costi questo servizio, di certo e' che ce ne sono parecchi in giro per Tunas.
Credo, ma non ne sono sicuro, che esista una licenza per poter fare questo lavoro, mi auguro che le persone a cui questa eventuale licenza sia concessa siano professionalmente preparate a un compito che facile non lo e' per nulla.
Suppongo che ogni famiglia che affidi il bimbo a queste persone si occupi di fornire anche la merenda e l'almuerzo, l'alternativa e' prenderli per poi riportarli nelle prime ore del pomeriggio.
Comunque e' un negocio che funziona.
Altro negocio analogo ma per il quale ancora, leggevo, non esiste una licenza, e' quello delle case private che ospitano anziani.
Lo stesso problema dei bimbi, parliamo di una famiglia che lavora e che non e' in grado di badare all'abuela, non fidandosi di lasciarla da sola in casa tutto il giorno.
Si parla di situazioni che vanno dal mattino alla sera, a Tunas ne ho vista una di queste case, in quel caso la duena si occupa anche di dar da mangiare ai vecchiarilli, tenendo conto delle diverse caratteristiche e condizioni di salute di ognuno di loro.
Le case de abuelos statali sono comuni a Cuba ma versano, nella maggior parte dei casi, in condizioni igieniche che definire deprecabili e' un'eufemismo.
Quindi chi ha avuto la pensata non ha fatto una cosa sbagliata.
Un'altra attivita', abbastanza vicina a una di quelle che mi da' da mangiare, e' l'istruttore di ginnastica privato, non proprio personal trainer ma...quasi...
Oltre alle fanciulle che manda lo stato, meritoriamente, nei vari barrios a tenere corsi di ginnastica 3 mattine la settimana alle vecchiarille, ci sono persone che vogliono un servizio piu' personalizzato, potendoselo permettere.
Quindi contattano la stessa fanciulla che fa loro la ginnastica al mattino chiedendole di tornare in altre ore della giornata, per un...supplemento di allenamento.
Quasi sempre si mettono insieme 3-4 “zie” per dividere la spesa.
Quindi non e' raro passare davanti a case con grandi portal dove un ristretto numero di vecchiarille (ma anche sciure meno stagionate) effettuano esercizi di ginnastica, sotto gli attenti occhi di una procace fanciulla.
Stiamo parlando di servizi che ha sempre erogato lo stato, che continua a fornire alla popolazione ma che non sempre riescono ad essere accessibili a tutti.
Chi puo' permetterselo, magari non avendo alternative vuole qualcosa di piu'.
Anche in questo Cuba si sta' avvicinando al resto del mondo.

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martedì 27 dicembre 2016

ANDARSENE



Oramai siamo alla follia piu' totale.
Capisco la voglia di vedere altri paesi, il desiderio di mettersi in gioco o anche soltanto il piacere di scoprire cosa c'e' al di la di quelle maledette 90 miglia marine, ma mi pare che si stiano un po' tutti giocando el cerebro.
Oggi, per andarsene in maniera legale dal paese, se non c'e' possibilita' di ricongiungimento famigliare con qualcuno che vive nelle terre confederate, ricongiungimenti che l'ambasciata statunitense rilascia con sempre piu' parsimonia e che rilascera' ancora piu' raramente sotto l'amministrazione Trump, occorrono almeno 10000 dollari.
Non parlo di balsa, gommoni, copertoni di camion o cose simili, parlo di un'organizzazione che fa le cose per benino, che ti impacchetta consegnandoti, legalmente, in territorio americano.
Lo dico sapendo bene di cosa parlo, 2 ragazzi, uno del familion e un'altro come se lo fosse hanno intrapreso, con successo, questa strada.
Quello vicino al familion e' figlio di un'amica di lunghissima data della moglie del boss.
Lei e' una del Partido dura e pura, senza troppi cazzi, Patria o Muerte e via di seguito.
Professionale della salute ha gia' 2 missioni alle spalle, eseguite con successo a cui ha fatto seguito un rientro in patria.
Il marito invece, entrenador de boxeo, a seguito di una missione in Equador, ha deciso di disertare ed oramai e' oltre 10 anni che e' fuori.
In questo caso ha funzionato il ricongiungimento famigliare, il ragazzo e' andato in Equador per vivere col padre, la cosa non ha funzionato e il ragazzo e' volato in Usa da degli zii che sono fuori da 20 anni, il tutto a spese degli stessi.
Gli zii hanno una ditta di trasporti, il ragazzo ha preso la patente e ora gia' guida il suo bilico mandando soldi a casa.
Figlio di gente che ha sempre lavorato si e' tirato su le maniche, ringraziando anche in questo modo chi gli ha consentito di cambiare vita.
L'altro e' proprio uno del familion, marito di una delle 4 cugine che sembrano fatte tutte con lo stampino.
Lavorava normalmente in citta', aveva una buona casa e tutto sommato male non sa la passava.
Ha venduto la casa, la moglie si e' trasferita dalla suegra pero' non hanno venduto lo scooter.
Ha pagato il deca per tutto il meccanismo.
Prima e' volato ad Haiti con un contratto di lavoro, poi da li' in Mexico e dal Mexico direttamente negli Usa.
Ovviamente soggiorno in hotel, rischio zero e risultato sicuro.
Non mi chiedete come funzioni la cosa perche' non lo so, sicuramente si tratta di una organizzazione internazionale che su questi viaggi si sara' costruita un impero.
Il ragazzo ora e' a Las Vegas, lavora da un meccanico, si occupa di lavare le macchine, fare le pulizie e, occasionalmente, di aggiustare qualche macchina.
Pare che il proprietario sia soddisfatto di lui, ogni mese arriva qualche soldo alla moglie e alla madre che stanno ristrutturando casa di quest'ultima.
Ovviamente, appena possibile e tutti los papeles saranno sistemati, cerchera' di fare uscire anche la moglie, che, detto per inciso, non ha mai lavorato un giorno in vita sua.
Resto dell'idea che con 10 mila cuc a Cuba di cose se ne possono fare parecchie, mettere in piedi dei discreti negocios, ma la voglia di uscire dal paese e' piu' forte di ogni discorso logico.
La canzone di Arajona e' un'augurio, che presto si crei un ponte immaginario che avvicini i protagonisti della diaspora cubana che la storia ha voluto, per cosi' tanto tempo, tenere lontani.

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lunedì 26 dicembre 2016

GLI ULTIMI EROI



Come ho gia' avuto modo di dire, a quest'ultimo viaggio, ho notato molti meno italiani in giro per Las Tunas.
Si tratta unicamente di un dato statistico, probabilmente la crisi economica ha colpito duro e la citta' non e' famosa per ospitare i Briatori di turno, categoria alla quale il vostro umile scriba non appartiene di sicuro.
Senza mai generalizzare, quando c'e' da fare qualche figura di merda, un italiano in zona lo si trova sempre, magari capita anche a cittadini di altri paesi e noi ci facciamo meno caso, ma la realta' e' questa.
Nel mio secondo giorno in citta' faccio un salto al ginnasyo, al mattino, incontro due italiani che si allenano, uno di loro e' un amico italo-norvegese, figlio di un vecchio bandolero pioniere dei turisti italiani a Tunas, anche lui amico di vecchia data.
Mi racconta di un'altro italiano che ha avuto la sua brava vicissitudine qualche giorno prima.
Ovviamente ometto dati specifici, puo' essere interessante la notizia molto meno il protagonista, per tutta una serie di ragioni.
Protagonista che chiamero' l'Eroe....perche' bisogna proprio essere degli eroi per fare simili cazzate.
L'eroe e' del nord Italia, lo conosco da anni, fa parte di un ex gruppetto che si e' un po' disperso senza che la cosa, in citta', abbia provocato dei suicidi di massa.
L'eroe e' pensionato con un'ottima pensione, dopo aver lavorato con un buon ruolo in una grande azienda, questo per dire che....sicuramente non vive col freddo ai piedi.
Ve la racconto, ovviamente, come me l'hanno raccontata senza aggiungere nulla di mio.
Arriva ad Holguin, aeroporto Frank Pais, sta' passando al metal, dopo di lui un'altro italiano che fa base in un altro centro della provincia.
Il tipo dopo fa passare al metal un tablet o comunque un movil di pregio.
L'eroe come e', come non e', visto che probabilmente al tipo dopo stavano revisando il bagaglio a mano, non trova niente di meglio che prendere l'apparato e ficcarselo nella borsa.
Dopodiché, fresco come una rosa, va a prendere il bagaglio, esce dall'aeroporto indirizzandosi verso il balcon sull'oriente cubano.
Il tipo a cui hanno revisato il bagaglio non trova piu' l'apparato e si mette, ovviamente e giustamente, a fare casino con la gente dell'inmigration, lui l'oggetto sul rullo trasportatore l'aveva messo....
L'aeroporto di Holguin, come ogni aeroporto che si rispetti, e' tutto una telecamera sopratutto in quella zona, sia ad uso esterno che...interno.
Guardano il filmato e vedono l'eroe, come in un film di terza serie, che si insacchetta l'apparato.
Ovviamente siamo tutti fotografati e ben schedati, risalire ad un nome e' un gioco da ragazzi.
La mattina dopo la duena della casa dove si e' sistemato l'eroe, va all'inmigration col suo bravo registro, in questo modo si viene a sapere dove il tipo e' andato ad alloggiare.
Lo pinzano davanti alla disco nel primo pomeriggio.
Lo portano in commissariato e convocano il tipo a cui aveva alleggerito l'apparato.
Qua' la cosa diventa nebulosa, comunque l'eroe caccia oltre 500 cuc sull'unghia al tipo o comunque in quella cifra e' compresa anche un eventuale multa, a quel punto, supposizione mia, la denuncia passa in cavalleria e l'eroe salva la ghirba.
Lo incontro spesso in giro per la citta', come dicevo ci salutiamo e capita di chiacchierare, ovviamente non entro in argomento facendomi rigorosamente i cazzi miei.
Una mattina mi incontra che sto' entrando in palestra, parliamo del costo di un qualcosa, mi dice che deve stare attento a quanto spende perche' all'arrivo aveva avuto una spesa inaspettata di 500 e passa cuc.
Ovviamente lascio cadere la cosa, ripeto non sono cazzi miei ma ho la conferma che quello che mi e' stato raccontato non era una cazzata.
A questo siamo amici miei....

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domenica 25 dicembre 2016

LATINO AMERICA



Come sempre accade, quando sono a Cuba, cerco di dare un'occhiata piu' equilibrata di quanto si riesca a fare da qua', a tutto cio' che avviene nel continente centro e sudamericano.
Inizierei col Venezuela, vista anche l'importanza che ha avuto ed ancora ha per Cuba questo paese.
C'e' stato un tavolo di trattative fra il governo e l'opposizione.
Probabilmente quest'ultima, certa di vincere le prossime elezioni, si e' accorta che piu' il paese va dal culo (in parte per colpa loro) piu' sara' dal basso che dovranno cercare di ripartire.
Di conseguenza e' palese il tentativo di “normalizzare” per quanto possibile la situazione.
Ora ce' il casino delle banconote da 100 Bolivar da mandare al macero ma per le quali non sono ancora arrivati i ricambi di taglio maggiore, un'altro caos evitabile.
In Nicaragua il Comandante Ortega ha vinto le elezioni col 72% dei consensi....cos'altro dire?
Non conosco la costituzione di quel paese, spero solo che Daniel non cada nella tentazione che ebbero Hugo e Evo di governare in eterno, subendo sonore sconfitte, le uniche, nei referendum che avrebbero dovuto dar loro l'immortalita'.
Quando vinci con quella percentuale c'e' poco da commentare.
In Equador c'e' stato un'altro referendum per fare in modo che i funzionari pubblici non possano avere conti bancari in paradisi fiscali, pena il gabbio.
Da noi ci sarebbe da ridere....
L'Argentina e' sempre piu' allo sbando.
Dopo il Venezuela e' il paese con il maggior tasso di inflazione al mondo, risultato sorprendente in solo un anno di nuovo governo.
Macri passa da un disastro all'altro; e' aumentata del 10%, in meno di un'anno, la popolazione che e' scesa al di sotto del livello di indigenza.
Tutto aumenta, elettricita' e gas al di sopra del 40%, un disastro che il vostro umile scriba aveva ampiamente previsto.
Si manifesta per un “fin de anno sin hambre”.
Intanto alcune Madri de plaza del Mayo sono state minacciate da non precisati elementi legati al governo macrista.
Queste rischiano in proprio altro che le ladronas en blanco...
Continuano a Cuba i colloqui fra le FARC e il governo colombiano, pare che si sia giunti ad un nuovo accordo, non molto differente dal precedente.
Una delle controversie e' stata quella di un'eventuale immunita' ai guerriglieri che si erano macchiati di un certo tipo di reati.
Il tutto mentre negli ultimi 45 anni sono spariti, per mano dell'esercito e degli squadroni della morte, 3 colombiani al giorno.
Anche dell'eventuale immunita' di questi assassini si parla.
In Brasile e' un casino.
Mentre un gruppuscolo di destra ha preso d'assalto il parlamento una grande manifestazione della sinistra ha percorso le strade di Rio.
La totale incapacita' di governare da parte dell'attuale inetto presidente ad interim sta' sprofondando il paese nel caos piu' totale.
I sondaggi parlano di Lula vincente alla prossime elezioni, speriamo davvero.
In Peru' sciopero generale degli insegnati a causa di stipendi ritenuti troppo bassi, chissa' cosa dovrebbero dire quegli italiani che passano di ruolo dopo 30 anni di precariato.
La Bolivia continua a far cagnara col Cile per questo benedetto sbocco al mare che, pare, ci fosse secoli indietro e che poi il Cile si fagocito'.
Il presidente, o comunque la massima carica di Porto Rico ha chiesto al governo statunitense di liberare l'intellettuale imprigionato da lustri soltanto perche' si e' battuto per un paese indipendente e libero dai tentacoli yankee.
Cuba intanto libera 787 dissidenti politici, pare sia stata una promessa fatta da Raul....o da Fidel a Papa Francesco.
Via!
Trovino un bel modo andarsene e di sistemarsi sul groppone di qualche altro popolo come accadde, qualche anno fa, con quelli emigrati in Spagna che poi, dopo due anni di mangiate a ufo, protestarono perche' il governo spagnolo si era rotto i coglioni di mantenerli a fare nulla.
787 fancazzisti in meno.
Questa settimana Arjona.
P.S. Guardate la tabella del cambio euro-cuc....

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giovedì 22 dicembre 2016

LA NOCHE BUENA

da “ Cuba en la memoria
( trad. Tio Gigi )

Poco dopo l'arrivo degli spagnoli , le tradizioni natalizie iniziarono ad integrare il patrimonio religioso e culturale di Cuba .
A Cuba si iniziò a celebrare la Noche Buena ( la Vigilia di Natale ) con successiva partecipazione alla Messa del Gallo ( di mezzanotte....non di Belotti ) . Dal 1969 le feste furono ufficialmente eliminate e si dovette attendere fino alla visita di Papa Giovanni Paolo II , e fino al dicembre del 1997 , perché nuovamente fosse proclamato il 25 dicembre come giorno festivo non lavorativo. Tuttavia in quei 28 anni in molte case di tradizione cristiana , privatamente , si festeggiava la nascita di Gesù, e venivano ricordati i Re Magi. Una cosa però che , in una maniera o nell'altra , non si lasciò di festeggiare , fu la Noche Buena. E i cubani , con fatica, in quella notte, mettevano in tavola tutto il meglio che potevano ottenere, regolarmente , o anche avvalendosi del mercato nero ... Il cibo tradizionale , sulle tavole il 24 dicembre , era il lechón asado ( l'arrosto di maiale ) , il congrì (riso e fagioli neri ), tuberi vari (manioca, malanga, patate dolci) con mojo criollo a base di arancia amara, grasso di maiale e un sacco di aglio. Come contorni insalate , banane fritte nelle versioni mariquitas e tostones . I dolci, con sciroppo dolce ( almivar ) ed occasionalmente con formaggio criollo , o le ciambelle a forma di otto ( buñuelos ), prodotti partendo da un impasto di farina, uova e diversi tuberi. Venivano serviti anche con sciroppo a base di zucchero e anice. La festa cominciava la notte del 23, le donne preparavano ( adobaban ) il maialino e mettevano a bagno i fagioli neri. La mattina del 24, molto presto, nel campo, o nelle case con patio, veniva cucinato allo spiedo o sopra una griglia metallica di fortuna. Il "forno" veniva preparato a terra e si iniziava ad arrostire . Il maiale si adornava con foglie di guavaba , e questo lavoro veniva quasi sempre espletato dal padrone di casa ( .. o spesso dal negrito di turno.. ) . E, naturalmente, si accompagnava questo lavoro con birra a fiumi.... Il maialino era la pietanza principale e cucinarlo era un rito. Si acquistava la coscia ( la pierna ) o l'intero animale a seconda delle possibilità economiche. Mentre si cucinava, veniva spennellato con mojo ( salsa ) per acquisire quel tipico gusto caratteristico , odore caratteristico della vigila cubana . E ogni famiglia aveva la sua salsa speciale dove i comuni ingredienti erano solo l'arancia amara , le spezie e il sale. Nella parte occidentale dell'isola, avevano una tipico modo per cucinarlo, " la caja cubana " ( la cassa cubana ) uno dei pochi modi dove il carbone era posto di sopra e non sotto la carne, chiusa quasi ermeticamente e sepolta nella cenere , tale da rendere la pelle del maialino croccante , un qualcosa di delizioso, e morbida la carne interna. In altri casi, il maialino veniva portato nei panifici, dove per pochi soldi veniva cucinato , a fianco del pane , in maniera perfetta . Però il piacere era davvero farlo in casa come parte della tradizione e celebrazione di quel giorno … Le tradizioni di Natale erano parte del patrimonio religioso e culturale del popolo cubano, e si radicarono nella loro memoria storica. Era questo il periodo festivo più atteso dai cubani. Per la sua universalità, il Natale , è l'unica celebrazione con regole identiche a persone di diverse culture, lingue e razze. Nonostante l'influenza nordamericana, il Natale a Cuba veniva celebrato alla maniera spagnola, grazie all'influenza degli antenati per la festa del Natale. Erano giorni magici , adatti per pianificare le spese , i regali per la famiglia e gli amici; l'invio delle cartoline; le decorazione natalizie nelle case, nei negozi, nelle strade e nelle città che erano piene di luci e di colori. Il pranzo di Natale era una delle più importanti celebrazioni della famiglia, : poteva essere una cena intima tra poche persone o una grande festa di famiglia Era l'occasione per riunire la famiglia, sedersi insieme, parlare, vedersi. E i ricordi sono impossibili da dimenticare ...
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Come ogni venerdi' diamo un occhiata a cio' che accade in giro, questo racconto mi e' stato inviato e tradotto da Tio Gigi.
Approfitto per fare i migliori auguri a voi del Blog e alle vostre famiglie.
Ci si ritrova martedi'.

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mercoledì 21 dicembre 2016

COME OGNI ANNO...

Risultati immagini per FUGA DAL NATALE

Come ogni anno mi ritrovo a fare questo pezzo natalizio e come ogni anno non trovo di meglio che intitolarlo come un libro minore di Grisham, da cui fecero anche un mediocre film.
Fuga dal Natale.
Mentre negli ultimi anni ero riuscito a fuggire trascorrendo le festivita’ a Cuba, a questo giro mi tocca "o’paese do sole"….che di sole, in questo periodo, ne ha ben poco.
Lo scorso anno, a Cuba, Natale passato praticamente come un giorno normale, S.Stefano inesistente e bel Capodanno passato col familion e qualche amico venuto a svuotare la dispensa.
Il Natale, malgrado le processioni dei baciapile attorno alla loro chiesa arroccata nel centro cittadino, a Las Tunas, e’ vissuto in modo molto distratto.
Non si lavora quel giorno, ma altre manifestazioni particolari non si notano.
Da qualche anno si vendono, nelle tiendas, gli alberi e gli addobbi ma i negozi stessi non si agghindano come da noi, per fortuna.
Non ci sono luminarie nel centro cittadino, la municipalita’, suppongo non abbia denaro da spendere in simili facezie.
E’ anche abbastanza raro scambiarsi gli auguri, il cubano vive questa festa in modo molto distaccato, quasi come se non lo riguardasse.
Discorso completamente differente per il fine anno.
C’e’ chi, anche per pagarlo di meno, acquista il maialino ad agosto, per poi nutrirlo a dovere in modo che sia bello grasso quando e’ il momento di fargli la festa.
La citta’, dal 31 mattina e’ tutto un girare di spiedi, incombenza che, solitamente, tocca al negro della compagnia o del familion.
Nell’aria, fin dalle prime ore del mattino c’e’ un aroma di maialino arrosto, chi ha un patio o uno spazio interno utilizza quello, chi invece vive in appartamento non si fa alcun problema a mettere in piedi il meccanismo fuori dalla porta di casa, spesso in societa’ e combutta coi vicini.
Adoro girare la citta' in scooter il 31....
Il fine anno e’ davvero la vera festa dei cubani, la borrachera inizia gia’ in tarda mattinata o nelle prime ore del pomeriggio e prosegue fino al giorno dopo.
Ovviamente allo scoccare della mezzanotte, momento tutto sommato trascurabile,  la maggior parte della gente e’ in avanzato stato di nota.
Mi manchera’, quest’anno il festeggiare in quel modo…al caldo.
E’ partita la mia socia, mi tocca presidiare il fortino.
Il 24 e il 31 si resta aperti fino alle 15.
Mi pare che sia la solita porcheria di ogni anno, il Natale e’ bello se sei bambino o hai bambini, per il resto mi sembra che la gente si stressi per delle autentiche cazzate.
Comunque sono qua’, quindi qualcosa con amici e parenti nella speranza che il tutto passi in modo rapido, anche perche’, per le palestre, dicembre non e’ esattamente un mese spettacolare, la gente ha la testa e il borsillo altrove.

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martedì 20 dicembre 2016

MESTIERI PERDUTI


Qualche giorno fa ero ad Avigliana, visita al commercialista con successivo attacco gastrico...
Vicino al mio tenedor de libri vedo un negozio, una specie di bottega d'altri tempi, con fuori un cartello “Si riparano scarpe”.
Dentro la bottega artigianale un ragazzo giovane, la cosa mi ha fatto un certo piacere.
Erano lustri che non vedevo un cartello simile, oramai nessuno ripara piu' niente, buttiamo via tutto.
Probabilmente, con questa maldida crisi torneranno di moda mestieri antichi e dimenticati nel tempo come l'arrotino, il riparatore di ombrelli, il calzolaio e via discorrendo.
A Cuba il discorso e' molto differente, come ben sappiamo non si butta via nulla.
Mi capita di vedere cose, in una famiglia discretamente benestante (per i canoni cubani) come la nostra, che riescono sempre a sorprendermi.
Tipo il non buttare il nylon con cui, all'aeroporto di partenza, avvolgo la maleta o il borsone di turno.
Confezioni di sugo per la pasta, bicchieri della Nutella, qualunque cosa possa avere una sua nuova utilizzazione viene messa da qualche parte per poi venire utilizzata nei modi piu' impensati.
Anche il cibo avanzato o non consumato trova la sua strada, il sancocho.
Se si hanno maiali in corral l'utilizzo e' scontato, altrimenti qualcuno viene sicuramente a prenderlo per quelli che, a sua volta, sta' tirando su nel suo patio.
I mestieri che da noi sono scomparsi da decenni che, come dicevo, stanno ritornando, a Cuba sono sempre stati parte della normalita'.
Ad esempio il tipo che ti riempie di gas l'accendino.
Da noi, con gli accendini a 50 centesimi o un euro nessuno si prende piu' la briga di fare un mestiere simile, mancherebbe la convenienza economica oltre che la domanda.
C'e' un tipo nella via principale di Tunas che si dedica a questo, in pochi attimi ti smonta e rimonta un' accendino e te lo ricarica.
Ci sono i riparatori di ombrelli.
L'ombrello a Cuba viene usato in minima parte per ripararsi dalla pioggia, in gran parte lo usano le donne per tenere lontano il sole in modo che chi ha la pelle chiara non si ritrovi, “drammaticamente”, ad avere qualche ombratura di colore.
La stessa per cui le italiane spendono in solarium decine di euro.
Gli ombrelli si rompono, di conseguenza, visto che costano, vengono riparati da qualcuno che si dedica a questo.
I calzolai sono numerosissimi, riparano di tutto, dal tacones, alla scarpa per tutti i giorni a quella da ginnastica.
Con le scarpe che costano da 15 cuc a chissa' quanto il paio e' logico che prima di buttarle si cerchi di tacconarle il piu' possibile.
Chi ti ripara piu' un orologio normale in Italia?
A Cuba e' un mestiere popolare, non tutti possiedono un'orologio e chi ha la possibilita' di averlo lo tratta con tutti i riguardi, ricorrendo al riparatore ogni volta che si manifesta un piccolo problema che da noi farebbe finire il tutto nella rumenta.
Da qualche anno sono diventati popolarissimi i riparatori di movil e pc, sono davvero in gamba.
Se per qualche ragione il tuo movil non prende il loro wi fi, con pochi cuc ci sono ragazzi giovani che ti risolvono il problema.
Sono bravissimi.
Per non parlare di quegli artigiani che, dietro ordinazione, ti fanno il materasso oppure i sarti che ti risolvono ogni problema tu possa avere con la ropa.
Dall'abuela mi sono fatto fare per la casa 3 di quei tappetini fatti col riciclo di stoffa usata, per Birillo sono perfetti.
Gente che si dedica a fare i dolci in casa, oramai si riesce ad andare anche oltre quelle cose colorate e iperglicemiche dove ti becchi il diabete solo a guardarle.
Tutto si aggiusta, tutto si ripara, niente si butta, tutto si ricicla.
Loro fanno cosi' da sempre, noi piano piano ci stiamo tornando.

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