mercoledì 1 febbraio 2017

RISPOSTE




Approfitto di questa occasione, per rispondere a Giuseppe del blog o a Biagio di Fossano che mi ha scritto, a inizio settimana, per avere suggerimenti sul come aprire una casa de renta.
Premetto che non amo in modo particolare dare consigli, anche perche' come diceva qualcuno “da buoni consigli chi non puo' piu' dare cattivo esempio”.
Posso soltanto indicare la strada che ho percorso io, strada che non e' stata esente da errori e che forse avrebbe potuto essere percorsa in meno tempo ma, visti i soddisfacenti risultati attuali, forse e' quella giusta.
Intanto occorre ricordarsi che Cuba deve restare un luogo di svago, se l'averci investito dei denari la trasforma in un qualcosa di dannoso per la vostra bile....meglio lasciare perdere.
Di sfigati biliosi, in giro per l'isola e nel bel paese, ce ne sono fin troppi.
Non entro e non entrero' mai nel merito sul chi deve essere l'intestatario dell'immobile, ognuno sa quello che fa e che deve fare, almeno questo e' cio' che presumo.
Le leggi cubane le conosciamo, quindi se accettiamo il gioco tanto vale....giocarlo fino in fondo.
Come scrivevo l'altro giorno...se vogliono incularti la casa te la inculano, residenza o non residenza.
Io ho attraversato un percorso abbastanza insolito, abbiamo una casa de renta (che ho ovviamente acquistato io) in societa' con una famiglia che conosco da quasi 15 anni.
Ho avuto tutto il tempo di frequentarla, capirne i pregi e i difetti, condividere con loro momenti belli e meno belli, insomma sapevo dove andavo a parare.
Per un breve periodo ho frequentato la figlia, non e' durata molto; differenza d'eta', distanza, io che non voglio figli, non faccio inviti e, geneticamente, non sono portato per i rapporti lunghi.
Alla fine abbiamo fatto un passo indietro, oltre 2 anni fa, siamo tornati ad essere buoni amici, non e' stato difficile visto che quando aveva 12/13 anni la scorrazzavo in giro per la citta' in scooter.
Anzi, decisamente siamo piu' in sintonia ora che prima.
Riesco molto meglio da tio che da novio....
Quindi messo da parte ogni coinvolgimento, e' rimasto il negocio.
Se potete mettere in piedi la cosa separando la rava e la fava allora siete gia' a buon punto.
Dovrete trattare il negocio come se foste in Italia, le regole del business sono uguali in tutto il mondo.
Una cosa funziona se fatta bene, nel luogo giusto, ben gestita e ancora meglio pubblicizzata.
Una volta acquisita la casa fate un lavoro ben fatto, curate bene i bagni che sono il tallone d'Achille di ogni casa de renta.
Sovraintendete voi a tutti i lavori, combattete con gli albanil e fate cadere, nei loro confronti, dall'alto ogni centesimo speso.
Non lesinate sul materiale, sarà quello che, al final, fara' la differenza.
Una volta messo in piedi il meccanismo ricordate, a chi lo gestira', che per far funzionare un'attivita' ci vorra' tempo.
Il problema grosso del cubano e' che si aspetta, il giorno dopo l'inizio dell'attivita', di guadagnare subito perche', normalmente, non ha i mezzi per sostenere un'avviamento fatto coi tempi necessari.
Se potete selezionate la clientela, non mettetevi in casa ogni rastraciancleta lungodegente che vi offre 8 cuc al giorno, promettendovi di fermarsi dei mesi.
Che uno paghi 8 o 25, sempre chi gestira' la casa dovra' fare lo stesso tipo di lavoro, per tenere il cuarto in ordine.
Buona clientela porta buona clientela, merda porta merda.
Spiegate che il cliente e' sacro, ma lo e' anche la fanciulla che lo accompagna che MAI, anche se fosse la piu' antica delle zoccole della citta', dovra' essere trattata come tale, se sta’ al suo posto.
E' un'ospite del vostro cliente.
Il cliente va seguito ma non assillato, quando siamo in vacanza non vogliamo troppa gente in mezzo ai coglioni, meno gente mette piede in casa e meglio e'.
Se avete una societa' simile alla mia dividete l'utile della renta ma lasciate a chi la gestisce eventuali guadagni da desajuno, gastronomia e lavanderia, non attaccatevi alle cazzate.
Lasciate a chi lo gestisce in prima persona la scelta della linea da seguire nei confronti delle fanciulle, se puntarle o meno, noi ce ne andiamo, loro restano e pagano, in modo salato, le conseguenze delle loro scelte.
Fidatevi entro certi limiti, ma controllate tutto cio' che potete, fate sempre sentire che voi ci siete anche quando siete lontani.
Se c'e' un problema risolvetelo in tempi rapidissimi, il rischio di perdere clienti e' altissimo nel momento in cui un guaio non viene risolto.
In questi giorni, ad esempio, abbiamo fatto qualche piccolo lavoretto di miglioria della casa, lavoretti pagati ovviamente meta' per uno.
La casa va pubblicizzata con ogni mezzo, un sito personale, fb, whatsapp, agenzie come M&S ecc.
Ci sarebbe molte altre cose da dire, al limite fatemi domande qua' sopra o in privato.
Ultima cosa....i soldi per mettere in piedi la faccenda non  devono essere sottratti dalla spesa all'Esselunga....voglio dire che se decidete di farlo...fatelo e chiusa li'.
Se va bene puo' essere una cosa divertente, che integra il budget della vostra vacanza e fa rosicare gli sfigati e quelli che....vorrebbero ma non ce la faranno mai.
Se dovesse andare male non giocatevi l'organo epatico, alla fine sono solo soldi.
Comunque, pare che il 2017 sara’ un anno importante per Grande Torino….ma riparliamone a dicembre.

M&S CASA PARTICULAR HA AGGIUNTO UNA CASA

32 commenti:

  1. DAL BLOG MINUTO SETTANTOTTO

    Diego Armando Maradona appare invecchiato, fuori forma. Solo qualche settimana prima, stava perdendo la sfida contro se stesso nel modo peggiore: un po’ alla volta. Tuttavia, la sua anima in fiamme viene tenuta su questo pianeta – ripetutamente – da coloro che, nella sua vita, ci sono da sempre. È la calda estate del 2005, il Boca ha vinto il Clausura dopo aver dominato anche l’Apertura, scrivendo il suo nome – di nuovo – nella storia del campionato argentino, eguagliando il record del River, fino a quel momento l’unica squadra ad aver vinto sia l’Apertura che il Clausura. L’8 giugno, al Monumental, l’albiceleste di Juan Román Riquelme, Javier Alejandro Mascherano e Hernán Jorge Crespo ha battuto il Brasile dello Joga Bonito al suo apice, in una sfida fondamentale nel girone di qualificazione ai mondiali in Germania, che si sarebbero giocati l’estate seguente. Diego era felice anche solo di averla vista, quella partita. Se non altro, perché qualche mese prima, a febbraio, era in stato di ricovero a Cartagena de Indias, in Colombia, alla ricerca del suo “io imprigionato in un corpo-involucro fuori controllo” che rigettava la vita come fosse un organo trapiantato con troppa fretta. L’aveva vinta quella sfida, riuscendo a perdere oltre cinquanta chili. Questa volta non per il suo paese, ma per Dalma e Gianinna, le sue due figlie. Si era ripreso, di nuovo, ed era ritornato in campo, ma non quello verde di forma rettangolare. A ferragosto, prendendo la stampa in contropiede, debutta come conduttore di un programma televisivo che sembra autocelebrativo ma, in un certo senso, non lo è: La Noche del 10. Verso la fine del mese di agosto, durante una diretta, annuncia senza indugio che «chi ruba a un ladro ha cent’anni di perdono». Sorrido. Gli avevano chiesto se si fosse pentito di aver segnato di mano contro gli inglesi, all’estadio Azteca, al mondiale dell’86, in Messico. Illusi. Maradona non conosce pentimento. napoli
    A pensarci bene, quelle sono esattamente le parole che ognuno di noi avrebbe detto, se si fosse trovato nei suoi panni. Non esattamente dei panni comodi da indossare, quelli di Diego Maradona. Del resto, non lo sono mai stati nemmeno per lui, né da bambino, né da calciatore, né da allenatore, né da politico, né da divinità meta-terrena. Con una frase semplice, breve e diretta, un uomo come lui è stato in grado di liberarsi da ogni giudizio che ammorbava la sua coscienza. Almeno fino a quel momento. Chi ruba a un ladro, ha cent’anni di perdono. Chi è il ladro? Quanto conta il perdono? Cosa significa quella frase? Bisogna fare una necessaria digressione, fino al 2 aprile 1982. L’Argentina è sotto la dittatura militare dei generali. Leopoldo Gualtieri, massone e fascista, aveva partecipato, nel 1976, al colpo di stato per rovesciare il governo di Isabelita Peròn e ora, aprile dell’82, è a capo della nazione. Il regime, però, è agli sgoccioli. Il popolo è stanco di anni di desaparecidos e offese alla libertà in senso lato. La leadership ha un disperato bisogno di riacquistare anche solo un briciolo di fiducia e credito del popolo che comincia a stare stretto in un paese fasullo che non gli appartiene da troppo tempo. Il 2 aprile dell’82, allora, il General autorizza l’invasione dell’arcipelago delle Falkland. Le isole, in verità, non sono altro che un agglomerato di scogli, spuntati dalle profondità marine qualche epoca prima, figlie dello scontro di placche oceaniche. Poco importa. Sono pur sempre territori emersi, pur sempre conquiste nazionali.

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  2. Il problema reale è che le Falkland, o Malvinas – dipende da quale latitudine si guarda la storia – sono un possedimento inglese e, caso vuole che in Inghilterra, Margaret Thatcher stia perdendo consensi e popolarità, a ridosso delle elezioni. Le Falkland sono poco più che scogli in mezzo all’Oceano anche per Sua Maestà, ma perderli in silenzio significherebbe svanire nel dimenticatoio generazionale e veder cancellato il proprio nome dalla storia della Terra di Albione. Navi da guerra, piene di inglesi carichi di odio verso gente che è troppo lontana da Buckingham Palace per averla mai vista prima, vengono dirette a largo dell’arcipelago. Addirittura un sottomarino nucleare. Forse troppo, ma il fallimento non è un’opzione accettabile, soprattutto ad aprile dell’82 e soprattutto avanti le coste del Sud America. È una strage. Mille ragazzi non ancora militari veri vengono assediati in una guerra lampo che ha due obiettivi raggiunti come unici risultati: la riconquista inglese di rocce emerse in mezzo all’oceano e mille madri che piangono i loro figli. Diego, in quei giorni, ha 22 anni. Non sa che sta per passare dal Boca al Barcellona, perché il regime dei militari ha ridotto all’osso anche il calcio e gli xeneizes hanno bisogno di fare cassa. Ha solo 22 anni e sta per lasciare la sua terra ma ha una promessa da mantenere. Una promessa fatta alla sua gente 12 anni prima, in un campo fatto di polvere e speranze, a Villa Fiorito: «jugar y ganar el Mundial». Solo che ora, la sua classe stupefacente si irradia attraverso il dissenso, attraverso la sua anima che brucia di disprezzo. Quel giorno maledetto, il 2 aprile del 1982 è una corrente ascensionale, quella che fa librare nell’aria gli aquiloni. Gli aquiloni più belli.
    Una corrente che soffia lentamente, spazzando il cielo sopra Buenos Aires, prima, e quello sopra Barcellona, poi. Soffia, costantemente, alimentando il fuoco fatuo di Diego che intanto non è più un bambino. Ha scelto cosa essere ma, prima ancora, è il destino ad averlo abbracciato, come fosse un soffio di vento che gli accarezza la pelle e i capelli, liberando la corsa di un brivido lungo la sua schiena. Le luci scintillanti e lo sfarzo freddo della grande città capitalista sono come aghi che gli lacerano la mente. Almeno fino al 5 luglio del 1984. La lingua d’asfalto che si presenta avanti la prua del suo volo, partito da El Prat, sembra liquefarsi sotto il sole che assedia Capodichino. La nuvola di fumo bianco che accompagna la frenata dell’aereo si dissolve velocemente, spinta in alto dalla corrente. La stessa che spinge in alto gli aquiloni. La stessa che sta spingendo in alto quello che Victor Hugo Morales, due anni dopo, definirà «aquilone cosmico», in uno stato di trance mistica, spettatore della materializzazione di qualcosa che sta in mezzo, tra storia, vendetta e i sogni. Napoli è la tartassata, è l’offesa, la sminuita, l’insultata, la derubata. Napoli è l’Argentina sotto il regime dei militari “neri”, Napoli è l’interminabile lista di desaparecidos, Napoli sono le Malvinas. Diego non può più controllare l’espansione del suo ego. Il suo petto sembra rigonfiarsi troppo ad ogni respiro, colmo di qualcosa che è nato nella Villa, che è cresciuto alla Boca e che è cominciato a bruciare a Barcellona. Il 5 luglio dell’84, allo stadio San Paolo ci sono più di sessantamila persone accorse per acclamare Diego. È qualcosa che senti e che non riesci a spiegare, qualcosa che ti porta a pensare che ‘devi esserci, perché lui è quello che porterà il giusto sopra tutte le cose’.

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  3. Disse che voleva «diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires».
    Così sarebbe stato. Ma prima di Napoli, c’è l’Argentina. Al Mondiale in Messico dell’86, l’Albiceleste, la Nuestra, non è tra le favorite. Ci sono Jorge Luis Burruchaga e Jorge Alberto Valdano Castellano che hanno “qualcosa” in più degli altri. Troppo poco per competere con chi detiene il potere nel mondo allegorico che è il calcio. Troppo poco, se non ci fosse stato in squadra Diego Maradona. In ogni partita, el Diez è letteralmente un’entità superiore, qualcosa che si contrae e si espande, sconfinando dal rettangolo di gioco. Diego osa, spinge, arremba, a denti stretti, senza paura. È stato sempre così, sin dai tempi delle cebollitas, all’Argentinos Junior, quando col pallone rubava le coordinate nella storia del calcio giovanile argentino ai più forti, ai più ricchi, per regalare la gloria a chi era come lui, a chi veniva dalle villas, dai campi in terra battuta dove l’erba, forse, non è mai cresciuta davvero. È stato sempre così, anche nella sua seconda vita, quella che gli dei del pallone gli hanno concesso per ringraziarlo per il Fùtbol, quando scelse di schierarsi apertamente contro il regime militare, riassunto con disprezzo nella persona di Jorge Rafael Videla Redondo, definito «vergogna nazionale». È stato sempre così, come quando al Vertice dei Popoli, a Panama – organizzato come forma di boicottaggio al Vertice delle Americhe di Mar de la Plata – era al fianco dei leader rivoluzionari anti capitalisti e anti americani di tutto il Sud America. Mentre Evo Morales, Hugo Chávez, Silvio Rodríguez, Adolfo Pérez Esquivel e le Madri di Plaza de Mayo urlavano il loro dissenso, Diego ‘alientava’ la folla mandandola in delirio, indossando una maglietta con su scritto “Stop Bush”.
    È sempre stato così e lo fu soprattutto il 22 giugno dell’86, nel regalo che il destino fece a Maradona, sotto forma di quarto di finale. Contro l’Inghilterra. La partita del riscatto riassume perfettamente cosa è stato e cosa continua ad essere Diego Armando Maradona. Impossessato dai fantasmi argentini, Diego carica i compagni di squadra tanto da trasformarli in demoni. Lui pretende la vittoria e se non qualcuno non se la sente, non fa alcuna differenza, perché lui gli verrà in aiuto, lui verrà a portare ordine in mezzo caos. La “Mano de Dios” e gli “Undici Tocchi del Barrilete Cosmico” sono la vendetta e il superamento delle paure. Sono Diego che alza il pugno al cielo per i desaparecidos e per las Malvinas. Sono Diego al fianco di Fidel e dei leader al Vertice dei Popoli di Panama. Sono i mezzi che giustificano il fine. Poco importa se l’arbitro Ali Bennaceur non ha visto il tocco di mano, poco importa se il mondo che stava a guardare ha poi sfoderato la sua artiglieria di falso buon senso e costruita moralità di facciata. Non esiste una sola strada prestabilita per sopraffare chi sopraffà. Lo avrebbe detto, anni dopo, che «chi ruba ad un ladro, ha cent’anni di perdono», quasi prendendosi gioco di tutti quelli che avevano già scritto un finale che non avrebbero mai letto. Maradona contro l’Inghilterra a Messico 86 è lo stesso che ha ribaltato la leadership del calcio italiano. Lo ha fatto a Napoli, maledetta città lontana dall’italianità preimpostata, portandola sul tetto d’Europa.

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  4. Diego Armando Maradona è lo sgambetto ai «cattivi del mondo». È l’uomo che è andato in Paradiso e all’Inferno nella stessa vita, per far ritorno da entrambi. È l’aquilone cosmico che vola alto, incantando i bambini e gli adulti, perché il tempo non esiste nel mondo del Diez. Diego Maradona è la maglia numero 10 senza colore e senza nazione che ognuno di noi ha sognato di indossare. Lui è la soluzione, la via d’uscita, la salvezza, l’alternativa. Maradona è ognuno di noi col cuore che pompa sdegno per ciò che non è giusto. È ognuno di noi che mastica amaro, immaginando il sapore dolce del riscatto, che arriverà. Oh, potete contarci che arriverà! Maradona è Buenos Aires, è la Villa, è l’Argentina in lagrime che guarda tutti dall’alto e che prega col fiato sospeso durante le notti cubane. Diego è Napoli, è il meridione d’Italia, è il sud di ogni nord del mondo. È il sorriso di chi dimentica di non aver niente, perché grazie a lui, per qualche secondo, ha avuto tutto. Diego è «ne mettemmo cinque all’avvocato Agnelli». Diego è «Bush hijo de puta!» ma è anche «Platinì, que quieres?». Maradona è chiunque riesca a prenderti per mano lungo il tuo cammino, perché fuori è buio e, in compagnia, fa meno paura. Maradona siamo noi che riusciamo a fare i nostri piccoli miracoli quotidiani. Siamo noi che sorridiamo, senza soldi e senza santi in paradiso. Diego Maradona è la volontà fortissima che prevale sopra ogni cosa. Diego Armando Maradona è il sangue e la carne, il cuore che batte e lo stomaco che si chiude. Diego siamo noi che rubiamo a chi ruba. Diego siamo noi con cent’anni di perdono.
    di Saverio Nappo

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    1. Un giornalista che lo conosce molto , ma molto bene , parlando di Diego mi disse : Lui è il faro nella notte , con lui ti senti sicuro perchè sai che non ti abbandonerà mai....è il catalizzatore della povera gente , la speranza che si fa realtà.
      In questo mi ricorda un altro argentino che venne da Rosario..

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    2. Magari il giornalista è anche tifoso del Toro...

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    3. ....amico personale di Fidel e Alì....

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    4. ...a volte la strada delľ eccesso porta alla saggezza o quasi...

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  5. Ottimo articolo Milco!!! Confermo che se seguite queste indicazioni siete già al 90% dell'opera, il restante 10% è la suerte che non deve mai mancare!!!

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  6. Andrea se hai voglia potresti scrivere della tua esperienza di proprietario di renta.

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  7. Importante creare anche un "network" di case in altre città diverse dalla propria con le quali scambiarsi reciprocamente i turisti che spesso sono in tour per ľ Isla Grande...(senza voler togliere lavoro a M&S...jajaja)

    Curare i dettagli della casa in modo maniacale...porto un esempio banale: il bollitore in camera molto apprezzato da turismo anglosassone...come uova, bacon e pepinos per colazione...

    Poter garantire un servizio taxi di fiducia almeno da/per aeroporto.

    Preoccuparsi della manutenzione delľ aire per evitare che si trasformi nel motore di un Boeing ammuffito...

    Rendere accogliente ľ ambiente ad esempio prevedendo dei libri, musica, un' amaca in giardino o nel patio...

    Piccole cose che però fanno la differenza e soprattutto rimangono nella mente degli ospiti...i quali saranno i primi a far buona pubblicità...

    Ľ asticella si é alzata anche a Cuba...aggiungo per fortuna!

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    1. Questi sono contorni inevitabili di cui prendersi cura, di cui deve occuparsi chi gestisce la renta.

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    2. Chi gestisce la renta e chi....ha permesso che esistesse.

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    3. Walter...ma non così scontati...

      non parlerei di contorni ma di indispensabili ingredienti...che forniscono gusto alla pietanza...

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  8. Non a caso Grande Torino ha una piccola biblioteca con una cinquantina di libri...

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  9. Grazie per le sempre precise dritte. Giuseppe

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  10. A 40 anni fece la scelta: lasciare il mestiere di veterinario, vendere le proprietà ed andare a vivere in un Paese caldo. Ma non lasciò mai Boves, la sua città, dove trascorreva i mesi estivi in un piccolo appartamento di piazza Borelli. Non lontano dalla sede dell’Anpi, di cui era ancora il presidente e dove portò avanti l’attività anche in nome del padre, Bartolomeo, storico partigiano comandante della brigata Valle Ellero.
    Sergio Giuliano, 60 anni, è morto a Nueva Gerona, la capitale amministrativa dell’Isla de la Juventud (Isola della Gioventù), a Cuba. Un infarto l’ha colpito mentre rientrava a casa, in bicicletta, da una gita al mare, dove aveva trascorso alcune ore di relax sulla spiaggia preferita. I passanti l’hanno soccorso, poi l’arrivo dell’ambulanza, ma i tentativi di rianimazione sono risultati vani.
    Originario di Boves, figlio unico di insegnanti, si laureò in Veterinaria a Torino e lavorò a lungo per l’Asl di Cuneo. Abbandonata la professione, si trasferì a Cuba nell’abitazione della moglie, Zucel Suarez, che lascia con il figlio Marco, ottimo chef cuneese.
    La salma non sarà riportata in Italia: ieri è stata trasferita all’Habana per l’esame medico indispensabile per ottenere i permessi alla sepoltura che avverrà a Cuba.
    A Boves Sergio Giuliano era conosciuto e stimato. «Grande il suo impegno per la sezione bovesana, sempre presente alle manifestazioni partigiane - ricorda Diego Berra dell’Anpi -. Sportivo, appassionato di bicicletta, eccellente nuotatore. Mancherà a tanti».
    «Un caro amico, con cui ho sempre mantenuto ottimi rapporti, al di là delle differenti posizioni politiche - dice il sindaco, Maurizio Paoletti -. Impeccabile nell’organizzazione degli eventi in memoria dell’eccidio del 19 settembre 1943 a Boves, era un piacere incontrarlo e parlare con lui».

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  11. hola! l'iter è corretto come anche conoscere i rischi a propri, con le condizioni odierne potrei farlo solo se ci fosse di mezzo un figlio mio intestandogli la casa in difetto continuo a fare lo yuma gozando e dal 2004 ad oggi en gozadera ho lasciato una buona casa in "emozioni". chao Enrico

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    1. Infatti nessun protocollo terapeutico obbliga a fare un simile passo amico mio.

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    2. Con un figlio anche io Enrico comprerò casa a Cuba per intestarla e lasciarla a lui, e penso che entro un paio d'anni questo progetto vada in porto...però mai mi sognerò di rentare cuarti...a meno che non voglia farlo la mia compagna a tempo pieno come lavoro per lei e per l'eventuale nostra famiglia, soprattutto per l'eventuale figlio, altrimenti ni muerto.

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    3. Ti ricordo che....solo 2 anni fa la pensavi in modo differente.
      E' normale cambiar idea.

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    4. Si Milco...l' età e soprattutto le esperienze aiutano ad ampliare l'orizzonte di veduta...certe cose non fanno per me, non ci sono portato, ma ciò non toglie che debba negare ad altri quello di cui non sono capace io.

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  12. A margine della presentazione di Torino Channel, il presidente granata, Urbano Cairo, ha risposto alle domande dei giornalisti presenti sul calciomercato appena concluso. Ecco le sue parole:
    E’ appena terminata la campagna acquisti. Come mai, dopo alcuni tentativi, non si è portato a casa un centrocampista, che forse sarebbe stato utile? In assoluto, che cosa pensi di questi ultimi risultati del Torino, non in linea con una buona partenza?

    “Per quanto riguarda il centrocampista, noi abbiamo sette centrocampisti. Abbiamo dato a giocare Aramu e Vives, perchè in nove poi non giocavano. Abbiamo Lukic e Gustafson che abbiamo visto poco. Abbiamo poi i titolari: Valdifiori, Baselli, Benassi, Acquah che tornerà dalla Coppa d’Africa, così come Obi, giocatori che hanno dimostrato qualità. Il mercato di gennaio è particolare. In Serie A sono state fatte poche operazioni: tutti hanno capito che i giocatori importanti, che hanno giocato nel girone di andata molto bene, le squadre non li cedono a meno di offerte molto importanti. Avete visto come è andato il mercato e dove i valori si sono concentrati. Insomma: i giocatori buoni le squadre non li cedono. I giocatori disponibili sono quelli che hanno giocato poco e hanno bisogno di tempo per mettersi in forma e per entrare nei meccanismi. Io ricordo che di non aver mai visto cose migliorative, in generale, a gennaio. E’ un mercato che serve a poco. Comunque abbiamo speso circa dieci milioni per Iago Falque e per Carlao, del quale mi parlano molto bene e di cui era contento anche Mihajlovic. E poi abbiamo preso un giovanissimo e altissimo portiere, che gioca in Polonia nella squadra prima in classifica, Milinkovic-Savic. Era stato acquistato dallo United, poi ci sono stati problemi legati al tesseramento. Per non stare fermo ha preferito andare in Polonia. C’era il Benfica su di lui, ma altre squadre importanti. C’è chi mi dice sia il Donnarumma serbo. Vicino a lui in foto, Petrachi sembrava piccolo… Questi sono gli acquisti che mi interessa fare. Io ho letto tanti nomi, è giusto così perchè i giornali devono scrivere, a cui non abbiamo mai pensato. Ma lo capisco, anche se a volte un po’ di prudenza non sarebbe male. Sicuramente, andare a prendere giocatori maturi, nati negli Anni Ottanta ma anche nei primi anni Novanta, che hanno un valore importante, non mi interessano. Oggi bisogna pensare dai classe 1996 in giù. Non voglio parlare male di alcun giocatore, ma quando sento di un giocatore del 1989 che viene valutato dieci milioni, che tra l’altro non ha cambiato la realtà della sua squadra, non si può fare. Dieci milioni li avrei speso per un 1996 di cui mi parlò Petrachi ma che purtroppo non hanno venduto. Per lui sì, perchè ha un potenziale straordinario. Recentemente si è parlato di Imbula. Era un’ipotesi ma non è che siamo arrivati a pensarci l’ultimo giorno, Petrachi lo segue da anni. C’è una rete di osservatori con a capo Petrachi. Lui ha sottomano una lista infinita di calciatori. Per Imbula il costo di prestito e riscatto era circa di 1.750.000 Euro. Io ho detto “Bene, facciamolo”. Poi il costo di un tratto è lievitato a 15 milioni e per il diritto di riscatto: si può spendere quella cifra per un giocatore dal buon potenziale, ma che attualmente non sta giocando allo Stoke City? Lo abbiamo trattato insomma, ma non se ne è fatto nulla perchè le cose sono cambiate d’improvviso”.

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  13. “Baselli era richiesto da squadre importanti. Ma io non l’ho voluto cedere. Io ci credo. Quest’anno ha già fatto 4 gol e 3 assist. E’ un buonissimo giocatore e credo abbia tutte le qualità per fare bene con noi, così come Benassi, Valdifiori, Lukic che è un classe 1996 di grandi prospettive. Così come Obi e Acquah che hanno sempre dato buona prova di seè. Quindi dico: comprare per comprare non è giusto, specie a gennaio e specie per giocatori in età avanzata come giocatori di 28 anni. Sono errori che io ho già fatto. Nel 2006 ricordo che acquistai Simone Barone, reduce da un Mondiale eccellente. Aveva 28 anni e ho speso 4 milioni che per me allora erano cifre importanti. Oggi non lo rifarei, anche se Barone era un giocatore che prima aveva fatto benissimo in altre squadre. Oggi le idee sono completamente diverse. Gli investimenti ci sono e sono importanti: tra agosto e gennaio abbiamo speso 34 milioni rispetto ai 26 dell’anno prima e dei 21 degli anni passati. Quello che voglio fare è cercare giocatori di prospettiva, con i nostri Petrachi, Cavallo e tutti gli altri osservatori”.

    Sui risultati attuali della squadra: “Alla ventesima partita quello di quest’anno era il miglior risultato ottenuto dal Toro dal 1984/1985, considerando il conto della differenza tra due e tre punti. Avevamo tre punti in più rispetto al 1991/1992 quando eravamo terzi. Poi abbiamo avuto qualche pareggio di troppo, anche rocambolesco. Col Milan, se la rigiochiamo, quel rigore lo segniamo e sul 3-0 non ci rimontano più. A Sassuolo abbiamo avuto un numero di occasioni incredibili. Ci sono momenti in cui le cose vanno così. Abbiamo fatto male a Bologna, contro l’Atalanta bene solo in alcuni momenti. Il mister ha giocatori di qualità e credo che il Toro di questa stagione sia il miglior Toro della mia gestione. L’attacco di oggi ha fatto 39 gol. Io credo ci siano tutte le possibilità per riprendere un buon cammino. Sicuramente il mercato di gennaio, con tutti questi rumors, non fa bene alle squadre. Quando ci sono distrazioni e spifferi i giocatori soffrono perchè sono ragazzi giovani e sensibili”.

    “Abbiamo subito preso Iturbe, che è finito subito in campo. Nel 2013/2014 ha fatto cose straordinarie e la Roma ha speso 28 milioni per lui. Ha grandi qualità, ma avendo giocato pochissimo negli ultimi due anni ha bisogno di tempo per entrare in forma. Ma è una cosa umana. Deve ritrovare la condizione fisica, le distanze. E’ un intervento che ho fatto subito perchè Petrachi mi ha parlato di questa opportunità. Per prendere il giocatore ho dovuto riscattare Iago Falque, facendolo volentieri, ma le due cose erano collegate, per un esborso anticipato rispetto a quanto era stato preventivato. Abbiamo fatto subito Iturbe, però poi ci vogliono dei tempi. E’ fisiologico”.

    “Milinkovic-Savic l’abbiamo preso per il futuro. E’ uno dei portieri, classe 1997, di cui si parla di più in Europa”.

    Domanda: non sarebbe stato opportuno fare uno sforzo per Donsah e per un centrale, per restare agganciati al treno europeo?

    “Poteva essere opportuno Donsah, ma il Bologna non lo ha voluto cedere. Ne abbiamo parlato con loro e con il so agente, che conosciamo bene, ma non erano interessati. E a livello di centrali non è che avessimo chissà quali alternative. I giocatori che vengono proposti magari sono anche buoni, ma hanno bisogno di tempo. Castro? Non penso avrebbe cambiato magicamente i risultati della squadra. A Sassuolo abbiamo avuto 17 occasioni e non abbiamo fatto, altre volte abbiamo fatto cinque gol. Le cose vanno così”.

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  14. “Vi dico un’altra cosa: nell’anno 13/14, quando facemmo 57 punti, alla 28° avevamo 36 punti. Non è mai detto. L’obiettivo Europa ce lo siamo dati per quanto riguarda questo biennio. Continuiamo a fare bene, lavorando sui giocatori che abbiamo, cercando di capire il perchè dei cali nei secondi tempi. Noi andiamo a prendere le squadre alte nella prima mezzora, poi caliamo. Ne abbiamo parlato con Petrachi e Mihajlovic. Ci sono accorgimenti che il mister farà e sono fiducioso che saranno utili”.

    Ha parlato con Mihajlovic dopo la fine del mercato?

    “Io non ho parlato ancora con lui, ma ci ha parlato Petrachi, era assolutamente contento e tranquillo. Non ci sono state richieste aggiuntive”.

    Che idea si è fatto dei cali nei secondi tempi?

    “E’ chiaro che se la classifica dei primi tempi dice che sei secondo o terzo, la qualità c’è. Mi dicono non sia un problema fisico. Quello che mi ha detto Petrachi, dopo un confronto con Mihajlovic, è che probabilmente si deve fare un qualcosa di diverso per andare a contrastare l’avversario anche nella propria metacampo. Sono accorgimenti che il mister sta studiando e credo che le cose miglioreranno. Comunque abbiamo 31 punti. Ci teniamo al confronto con l’annata 13/14, quando arrivammo settimi, e possiamo ancorra fare meglio. C’è sicuramente modo di essere positivi e di vedere le cose in maniera positiva. E comunque stiamo già lavorando per avere giovani forti per il futuro. Quest’anno abbiamo fatto gli investimenti più importanti della mia vita da presidente. Dobbiamo avere, tutti insieme, l’obiettivo di fare un buon girone di ritorno. Se facessimo meglio dell’andata, vorrebbe dire fare almeno 59 punti, più di quelli che ci hanno portati in Europa. Sarebbe qualcosa di molto importante. Poi comunque davanti le altre squadre stanno rallentando. Noi, più che dire “punto a questa cosa o all’altra” dobbiamo pensare a metterci a punti e a risolvere i problemi”:

    Il discorso Europa è rinviato alla prossima stagione?

    “Vediamo, ci sono ancora tante partite”.

    “Io sono contento di aver presto Ljajic. Ci ha dato grandi soddisfazioni (ricordo i gol a Palermo e Udine) e ce ne darà altre. E poi non è che abbiamo solo giovani promesse. Abbiamo Valdifiori, Rossettini, De Silvestri, Hart che è un 1987, un 1992 come Acquah, Baselli e Zappacosta, un 1989 come Avelar che è tornato in lista perchè spero possa ritornare a giocare presto. E’ stato un dispiacere vederlo infortunato per così tanto tempo. Abbiamo Moretti, un 1981 che sta facendo prestazioni eccellenti. Abbiamo Falque, un classe 1990, non certo vecchio e con tanta qualità da dare. Poi abbiamo i giovanissimi come Lukic, Boyè, lo stesso Belotti, Barreca… Un buon mix di giocatori esperti e molto giovani. Ovviamente nell’andare a prendere i giocatori la preferenza nostra è dal 1995 in su. Poi, se ci sono giocatori esperti che possono dare qualcosa, ben vengano. Si è parlato di Vida: l’avremmo preso ma il presidente non l’ha più ceduto.

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  15. Situazione impianti: quale è la situazione di Filadelfia e Robaldo?

    “Per il Robaldo dovreste sentire il Comune. Non so come mai sia tutto fermo e non so come mai. E’ una cosa che sarebbe bene sbloccare. Il sindaco l’ho incontrato e mi aveva dato disponibilità. Poi forse hanno altre priorità: è una cosa da sistemare perchè ci abbiamo messo dei soldi per poterlo avere. Per il Filadelfia ho un incontro tra qualche giorno: sicuramente troveremo un punto di incontro e procederemo”.

    L’arrivo di Milinkovic-Savic è una conferma del fatto che Hart partirà?

    “Non è detto nulla. Quando scadrà il prestito dovremo parlare col City. Milinkovic è un 1997, se il mister vede in lui il Donnarumma serbo potrebbe anche decidere di puntare su di lui come titolare. Ma con Joe Hart nulla è detto. Ragioneremo con lui, con la società, vedremo quali sono le condizioni. Non c’è niente di definito da questo punto di vista”.

    Non sente un po’ di delusione della piazza dopo questo mercato? Gli stessi dovranno abbonarsi a Torino Channel.

    “E’ un bene che la piazza sia esigente. Siamo a 31 punti, ne avevamo 36 tre anni fa alla 28° ed andammo in Europa. I numeri parlano. Abbiamo una squadra che ha fatto divertire molto, per lunghi tratti del campionato. Ci sta che ci siano momenti in cui si ottiene di meno, anche per un pizzico di sfortuna. Dobbiamo cercare di fare bene nelle prossime partite. Perchè nulla è detto. Dove arriveremo lo dirà il campionato”.

    Belotti è il giocatore più amato e di conseguenza più chiaccherato. C’è chi teme che potrebbe partire in caso di mancata qualificazione all’Europa League. Lei cosa può dire per rassicurare la piazza?

    “Che con Belotti abbiamo un contratto fino al 2021 e la clausola rescissoria dice che parte se arrivano 100 milioni. Non c’è nessun accordo scritto o orale per cui lo venderemo se non dovesse arrivare la qualificazione europea. Lui è un’ottima persona, oltre che un grande calciatore, e sarà protagonista del nostro raggiungimento dell’Europa League, in quest’anno o il prossimo. Poi se vogliamo fare chiacchere, facciamole pure, ma i fatti sono questi.

    Tra due anni si giocherà il mondiale in Russia. Quante possibilità che Belotti ci arrivi come giocatore del Torino?

    Non sono un indovino. Partirà se qualcuno dall’estero si presenta con 100 milioni e la sua volontà di partire. Questo è l’impegno che mi sono preso.

    E’ vero che gli accordi per Maksimovic al Napoli e Bruno Peres alla Roma c’erano già un anno prima della loro cessione?

    Assolutamente no.

    Quando il Toro smetterà di essere una realtà che i giocatori più forti li vende a peso d’oro invece che tenerseli?

    Io penso che se guardiamo le altre realtà, praticamente tutti cedono prima o poi giocatori eccellenti. Il mercato è così. L’unica bandiera rimasta è Totti.

    Ma le altre società i soldi di reinvestono.

    “Ma io non sono obbligato a reinvestire tutto e subito anno per anno. Io reinvesto quando c’è la possibilità e l’utilità, non ‘alla carlona’. Non dobbiamo reinvestire tanto per fare, ma solo per giocatori giusti e occasioni giuste. E noi non è che prendiamo i giovani solo per fare plusvalenze, ma perchè è cambiata la filosofia di base: perchè vogliamo giocatori che il meglio ce l’hanno davanti e non dietro”.

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  16. Milco però permettimi di aggiungere che non tutti sono portati per fare negocio...io ad esempio mai e poi mai aprirei una casa de renta per fare business, anche fosse solo un business soft o per "passatempo", lavoro nelle forze dell'ordine da 25 anni, e mai e poi mai saprei da dove cominciare, perchè qualcuno che ha sempre fatto tutto l'opposto con la crisi in Italia potrebbe farsi prendere la mano, più per disperazione che per altro, e i suoi guai aumenterebbero...io la penso così.

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    1. Perche' tu hai sempre avuto lo stipendio garantito mentre io gli stipendi...li ho sempre pagati e continuo a farlo.

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    2. Vedi Milco più che stipendi direi di professioni e attitudini diverse...ma quello che volevo dire è che certe cose non sono adatte a tutti, uno deve anche esserci portato, o avere un minimo d'esperienza...non credo che un inesperto domani svegliandosi riuscirebbe a fare un lavoro che non ha mai fatto in vita sua, per questo dico che la disperazione di non avere un lavoro potrebbe giocare (finti) sogni e finte speranze...come dice il detto, a ognuno il suo.

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  17. Su questo non ci sono dubbi ma a volte la predisposizione naturale viene aiutata dalle circostanze.
    Tu torni da Cuba e trovi lo stipendio, io altre a quanto spendo devo sommare quanto non guadagno...
    Per questo giusto oggi, oltre a stare dietro a chi ho in sala pesi ho inviato 50 presentazioni per l'estate e una decina di peticion de reserva per le case a Cuba...
    Se non entrano dalla porta devono entrare dalla finestra.

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