venerdì 17 novembre 2017

CALCIO A CUBA

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ALESSANDRO ZARLATTI/ IL BELLO DELL'AVANA
Il calcio. Sembra un fenomeno incontenibile. Da sempre mi domando quale sia il suo segreto. Perchè un pianeta intero lo giochi, perchè riesca a sradicare in un lampo abitudini profonde, tradizioni, per imporsi con tutta la sua semplicità, con tutta la sua forza.
La semplicità, senz'altro è un elemento. Per fare una partita basta un pallone di stracci e quattro persone disposte a corrergli dietro. Ma non è sufficiente. Allora sarebbero più semplici ancora le gare di corsa. I pugni. La lotta. Forse dipende dall'accessibilità. Per correre e vincere devi avere il fisico. Per fare a pugni fisico e coraggio. Per la lotta, idem. Il calcio è diverso. Il più grande calciatore di tutti i tempi, Maradona, era un nano tracagnotto, che si allenava poco. Però aveva piedi. Messi, il più forte giocatore attuale è piccolo, stortarello, eppure nasconde la palla a gente alta il doppio di lui, infinitamente più forte. Ma c'è anche Cristiano Ronaldo, l'opposto, alto, muscoloso. Il calcio è possibilità aperta a tutti. È arte pura. Non serve il fisico, serve maggiore o minore distanza dall'ispirazione. Tutta questa menata per dire che a Cuba il calcio ha soppiantato totalmente il baseball. Forse l'ho già detto precedentemente ma confermo un processo già quasi giunto a destinazione. Il cubano gioca a calcio, moltissimo. Così come gli italiani giocavano per strada fino a 30/40 anni fa. Io ogni tanto mi fermo a guardare qualche partita. Un italiano non guarda una partita per passare il tempo. Per un italiano il calcio è una cosa seria. La più seria. Vedo talenti, accenni di talenti, prospettive. Già qualche tempo fa ho vaticinato che nei prossimi 15 anni qui a Cuba uscirà fuori un giocatore bravo.  È inevitabile. Giocano molto, giocano per strada, chiudono il passaggio di vicoli, mettono due porte e giocano. Ma... Ma c'è un ma. Un italiano lo sa. Per diventare calciatore non basta il talento. I diamanti grezzi, senza un bravo tagliatore restano sassi. Il grande limite dell'intero movimento calcistico cubano sta proprio in un detto che i cubani usano quando parlano di se stessi. Dicono: "el cubano si no llega se pasa...". Che vuol dire? Letteralmente: il cubano se non arriva ad una cosa la supera. In qualche modo il riconoscimento della propria immodestia genetica. Credo che l'immodestia sia nettamente migliore del suo opposto ma credo anche che sviluppare la capacità di mettersi in ascolto, di sospendersi momentaneamente sia un'altra utile facoltà. Un paio d'anni fa mi trovavo a riparare un televisore in Vedado. Mentre il tecnico stava smontando la scocca posteriore inizia a conversare con me. Italiano. Sì italiano. Io sono appassionato di Umberto Eco. Il migliore scrittore italiano, vero? La risposta era no ma non ascoltava. Poi la conversazione è scivolata sul calcio. Mi ha chiesto due o tre sciocchezze sul tifo e subito ha iniziato a spiegarmi il calcio. Spiegarmi. Mezz'ora di cazzate allucinanti. Presunte regole tattiche, presunte formule del successo, algoritmi della vittoria. Io ho retto un sorrisetto complice per venti minuti, poi, temendo la paresi, ho chiuso la comunicazione dicendo: "sì, per noi italiani il calcio è un'altra cosa...". Non era curioso di sapere come funzionano le cose in un paese grande come un bilocale che ha vinto quattro campionati del mondo? Non era curioso di sapere, di imparare, che da quando abbiamo tre anni ci straziamo le giornate sulla migliore posizione in campo di Amenta, sui movimenti giusti di un centravanti di manovra come Musiello, sull'arte di chiamare il fuorigioco, di dirigere una difesa, di marcare uno veloce, sul 433, sulle virtù del 352, del 442, sull'arte del fallo tattico. Non era curioso di sapere che da quando avevo tre anni fino ad oggi avrò visto cinquemila partite, le avrò commentate, tutte, con esperti di alto livello, le avrò vivisezionate, smontate, rimontate. Non era curioso di sapere che noi italiani regoliamo la nostra vita sul calendario di serie a, che giochiamo a calcio da quando abbiamo tre anni e allenatori eccellenti (perchè gli italiani sono storicamente i migliori allenatori del mondo) ci spiegano come marcare, come fare i tagli se sei una punta, come fare l'elastico, come e quando alzare la testa, come perdere tempo, quando fare le sovrapposizioni, quando anticipare, quando aspettare. Non era curioso di sapere che abbiamo genitori (non i miei per fortuna) che da quando abbiamo tre anni ci gridano oscenità dalla rete dei campi di pozzolana, insultano gli arbitri, ci seguono a Montelanico, a Vicovaro, a Tor Tre Teste. Non era curioso di sapere che il calcio per noi è vita? Un tratto del nostro codice genetico, un filtro attraverso cui guardiamo il mondo? No, non era curioso. Lui sapeva tutto, e me lo spiegava... Ecco, no, Cuba ha messo in piedi una settore tecnico per gestire questo fenomeno che, usando un eufemismo, potremmo definire non all'altezza. Mi raccontano di vicende esilaranti. Di "intuizioni tattiche", diciamo, creative. Riunioni di aggiornamento in cui vengono proposti testi che un italiano di terza categoria ha letto, riletto e superato dal 1970. Uno spettatore qualunque di uno stadio italiano potrebbe tenere qui classi magistrali sul calcio. Non è una battuta. L'anno passato mi sembra che il campionato lo abbia vinto a mani basse Santiago e solo perché era allenato da un italiano qualunque di cui non so il nome. Immagino abbia sistemato due o tre cose, messo giocatori nei giusti ruoli, obbligato a passare la palla e ha vinto lo scudetto. Ecco, non sapere non è una colpa. Io per esempio non ho mai capito il baseball. Se ne sentissi la necessità andrei da un cubano e mi metterei in ascolto. Muto in ascolto. Riguardo al calcio auguro a Cuba di fare lo stesso. Uscire dalla dittatura del "si no llego me paso". Io chiamerei un team di una trentina di allenatori di prima e seconda categoria italiana e li metterei a lavorare qui. A fare scuola calcio. A insegnare il calcio ai bambini e agli adulti. In pochi anni il calcio cubano decollerebbe, ne sono sicuro.
Nel frattempo io ogni tanto mi dedico ad una delle cose più serie che so fare: mi attacco alle reti dei campetti di Playa, prendo nota di tutto, soffoco la voglia di gridare qualcosa al terzino che non torna mai, di elogiare il taglio di una punta. Io che mi vanto con gli amici di aver scoperto Ibrahimovich, Verratti, Arsavin, Quintero (in realtà è stato il mio fallimento, ero sicuro che sarebbe diventato più forte di Messi, l'hanno preso in Portogallo e poi è scomparso. Qualcuno ha notizie di Quintero?), prima o poi lo scoprirò anche qui il talento. Ne sono sicuro. È una cosa seria. Il calcio. La cosa più seria che c'è.
In un simile frangente, mentre Tavecchio, S-Ventura e quella banda di incapaci mi hanno privato di splendide serate estive di amici, pizza, birra e rutto libero guardando i mondiali della nostra nazionale, ancora una volta prendo spunto da uno scritto di Alessandro Zarlatti.
Credo di essere stato una sorta di pioniere nel calcio a Cuba.
Quasi 20 anni fa era raro trovare gente che giocasse a calcio a Cuba, imperava ovunque la pelota.
Nelle strade cubane era molto facile trovare ragazzini che, magari con un bastone e un sasso, imitavano le gesta dei campioni della pelota, sport che, francamente mi annoia a morte, forse perche' proprio, con tutta la buona volonta', non riesco a capirlo.
Esisteva pero' un ristretto gruppo di “deviati”, quasi tutti negher, che gia' allora si dedicavano al calcio.
Ne conobbi uno che mi porto', nel vecchio campo della pelota, dove si ritrovavano, e si ritrovano i giovani calciatori tuneri.
Mi ritrovai in una sorta di campaccio di periferia con erba alta, in compagnia di una banda di esagitati che correvano tutto dietro al pallone senza un minimo di logica..
Nessuno che passasse la palla, nessuno che giocava in difesa, nessun concetto di squadra, una banda di veneziani come non avevo mai visto.
Mi piazzai in mezzo al campo, come faccio da una vita, cercando di mettere un po' d'ordine in quel casino, invano, correvano tutti come pazzi menando come fabbri...io ero in vacanza.
Regole del calcio applicate con molta fantasia, porte piccole, 3-4 squadre da 4/5 giocatori ciascuna, quando una squadra segnava l'altra usciva e veniva sostituita.
Cosi' per ore ed ore.
Negli anni mi capito' altre volte di giocare, ricordo anche una volta in spiaggia a Puerto Padre con altri italiani.
Ho visto negli anni il movimento crescere, ho visto arrivare palloni decenti, magliette griffate, ho visto persino gente passarsi la palla.
Per alcuni anni l'Inter ha avuto una scuola di calcio in citta', vedevo i ragazzini con le magliette neroazzurre girare recarsi nei campi improvvisati per l'allenamento.
In questi ultimi anni ho visto decine di allenamenti della squadra tunera di seria A (diciamo...) al campo di calcio al centro della pista di atletica, allenamenti veri con allenatori a tutto tondo, che non hanno portato a molto visto che la squadra cittadina non e' certo una delle migliori del paese.
Enormi potenzialita' fisiche, tecnica anche decorosa ma il gioco del calcio e' fatto di tattica e della capacita' di giocare insieme, da questo punto di vista sono un disastro.
Poi ho visto adulti usare le maglie del calcio come t-shirt in giro per la citta'.
Nella maggior parte dei casi maglie del Barcellona e del Real ma non e' raro vedere degli sventurati girare con una maglia a strisce di altri colori.
Come se non avessero gia' abbastanza problemi....
Oggi, e' vero, i bambini e i ragazzini cubani hanno sostituito la pelota col calcio anche perche' la pelota cubana, diciamocelo, e' ai minimi storici.
Come avviene da noi e come ha ben descritto Alessandro, l'isola si e' anche riempita di esperti di calcio da poltrona.
Il Boss del mio familion ne e' l'esempio piu' calzante.
Arriva dal lavoro, si piazza sul suo balance preferito e inizia a guardare qualunque partita passi la televisione cubana o Telesur.
Sa tutto di ogni giocatore, ogni schema, ogni partita ed ogni risultato.
E' inutile spiegargli le cose, anche per chi come me gioca a calcio da 50 anni e ha visto migliaia di partite oltre che essere stato 4 volte campione del mondo.
Sanno tutto loro, hanno capito tutto loro.
Lo dico simpaticamente perche' le nostre discussioni sul calcio sono davvero divertenti.
Adesso che mi vedra' non ho idea di quanto mi predera' per il culo col fatto che ci hanno sbattuto fuori dalla possibilita' di partecipare ai mondiali.
Grazie anche di questo, S-Ventura e Tavecchio.

24 commenti:

  1. DAL BLOG MINUTO SETTANTOTTO

    Il 13 novembre del 2017 non dovrà mai essere dimenticato. L’Italia viene sconfitta nel playoff dalla Svezia e non si qualifica per il Mondiale, per la prima volta dopo sessant’anni, anche se è impossibile paragonare quel flop con l’attuale. È stato il più grosso fallimento di una nazionale italiana, probabilmente non solo nel calcio. Si è trattato di un’umiliazione, senza giri di parole. Il problema è che al risultato del campo si sono aggiunti i commenti del post-partita, un post-partita che durerà almeno otto mesi.
    Non ci addentriamo in analisi tattiche o tecniche, non è quello che ci interessa al momento. La cosa che più rattrista è notare come, a cadavere ancora caldo, ci sia chi ha avuto il coraggio di vilipendiare la Nazionale e l’Italia intera dando la colpa del tracollo ai troppi stranieri. Per quanto la stampa sportiva italiana sia deprecabile, stavolta c’entra il giusto, salvo qualche sparuto episodio. A gettare la croce su chi arriva dall’estero sono stati politici e giornali che normalmente non dovrebbero occuparsi di pallone. Siamo in campagna elettorale, è evidentemente tempo di sciacallaggio.
    Ci sono due livelli di lettura della colpa per il fallimento azzurro. Un primo, intuibile, è scaricare tutto addosso a Ventura e indirettamente a Tavecchio (ma più Ventura che Tavecchio, mai i giocatori). Un secondo, strumentale, è dare contro agli stranieri.
    «Troppi stranieri in campo, dalle giovanili alla Serie A, e questo è il risultato. #STOPINVASIONE e più spazio ai ragazzi italiani, anche sui campi di calcio». Ormai questa frase la conoscete tutti, è di Matteo Salvini. Per chi non lo sapesse, quest’uomo è leader della Lega Nord e appassionato di pallone. Appassionato non significa esperto, su questo siamo tutti d’accordo.
    Giorgia Meloni invece è a capo di Fratelli d’Italia e, anche se non sembra, scrive editoriali a proposito di calcio. Il suo pensiero è preciso, il che non significa che per forza sia razionale: il problema del calcio italiano è dato dai troppi stranieri, sia nelle prime squadre sia nelle giovanili. Va capita, è ancora euforica per la vittoria di domenica a Marzabotto.
    Il Tempo si definisce quotidiano indipendente, ospita le opinioni di Giorgia Meloni e pubblica in prima pagina la foto di Buffon e Totti assieme alla coppa del mondo e allo striscione “Fieri di essere italiani“. È lo stesso striscione che tanto clamore suscitò nel 2006 per la presenza di una croce celtica. Questo piccolo dettaglio è stato tolto dalla prima pagina, ma sarebbe passato comunque in secondo piano, dato che il titolo è “L’Italia agli italiani“. «Della debacle del calcio italiano va incolpato il grande nemico del nostro calcio: i troppi stranieri» scrivono, utilizzando per altro un concetto non italiano (“debacle” è francese).
    Abbiamo scelto tre esempi, tutti e tre calzanti, ma ce ne sono a bizzeffe. Fatevi un giro tra i social e leggete le opinioni di quelli che credono di contare qualcosa: se di calcio se ne occupano solo in campagna elettorale e non hanno mai messo piede in uno stadio, state sicuri che danno la colpa agli stranieri. Perché? Perché è facile, comodo, gratuito e non dà diritto di replica. Chissà come mai, sospettiamo che con “stranieri” non intendano Dybala, Kalinic o Mertens, forse più Asamoah, Kessié o Diawara. Ma forse siamo noi che la pensiamo male, ecco.
    Dire che la nazionale non andrà al Mondiale perché ci sono troppi stranieri è come ammettere che la politica italiana è migliorata da quando Salvini e Meloni sono scesi in campo, oppure che il giornalismo può beneficiare di prime pagine argute e ragionate come quella de Il Tempo.

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  2. La squadra di profughi azzurri non ha deragliato per colpa di Jorginho o Eder. Lo ha fatto perché la guida tecnica si è mostrata non all’altezza del compito richiesto, quando il gioco si è fatto duro. In più la vecchia guardia ha voluto prendere il sopravvento e ha fatto quello che è stata in grado di fare negli ultimi dieci anni quando si è spostata dai patri confini: perdere.
    Prendete i 27 convocati dell’Italia per la doppia sfida con la Svezia. L’unico ad aver vinto un trofeo continentale è Darmian, l’anno scorso in Europa League con il Manchester United. Buffon, Barzagli, Chiellini, Bonucci e Rugani hanno giocato nella Juventus finalista in Champions League per due volte (Rugani una) e sconfitta in entrambi i casi. Ammesso e non concesso che alcuni ancora nel fiore degli anni, ben 26 su 27 non hanno mai vinto niente in carriera in ambito europeo (l’unico ad aver vinto lo ha fatto con un’inglese, se si allarga il discorso a prima del 2007 Buffon ha una Coppa UEFA col Parma); in 21 su 26 non si sono nemmeno mai avvicinati a una semifinale. Colpa degli stranieri? Non proprio.
    E allora di chi è la colpa? Chi glielo va a dire a Salvini, a Meloni, a Il Tempo, che se la prendono con l’obiettivo sbagliato? Chi fa loro presente che l’Italia è in media con le altre grandi leghe europee in quanto a stranieri in campo? Chi è disposto a prendere un almanacco e mostrare loro la quantità di non italiani nel 2005-06? Chi fa vedere a questi soggetti il calcio del Sassuolo tutto italiano, tutt’altro che un gioco spumeggiante?
    Addirittura c’è chi – Salvini – ha preteso di ripartire come a suo tempo fece la Germania, oppure la Francia. La Germania è una nazionale multiculturale modello, quelli che Salvini chiama tedeschi in Germania sono quelli che gente come lui si rifiuta di chiamare italiani in Italia. La Francia ha vinto il Mondiale ’98 e Euro 2000 quando ha capito che bisognava aprirsi.
    Una volta per tutte, la colpa non è degli stranieri, neppure nei settori giovanili. Semmai, se vengono fuori nazionali così scarse e indolenti, è colpa della maleducazione. Nei vivai non ci sono tecnici specializzati, nella maggior parte delle volte. Questo non significa che lo Staffoli o la Casa Culturale San Miniato Basso debbano per forza essere allenati da Oddo o Adani. Ma è vero anche che sarebbe l’ora di non affidarsi più a personaggi che insegnano a vincere in maniera subdola, a ingannare, a insultare. Gente che arrotonda insegnando ai ragazzini come atteggiarsi e non come giocare.
    Prendete una tv locale qualsiasi, ha sicuramente una trasmissione calcistica: lì troverete l’ex professore di educazione fisica o l’ex collaboratore di Tizio che vorrà insegnarvi come si tirano su i ragazzini. Sono persone che la sanno lunga, vedono il calcio com’era cinquant’anni fa quando bastava una pasticca nel caffè per vincere. Nessuno educa al calcio, nessuno dà un dettame tattico a dei ragazzetti.
    Sono gli stessi personaggi che aggiustano le partite dei 13enni e chiamano “goliardate” le discriminazioni. Anche gli insulti a sfondo razziale sono per colpa degli stranieri? Indirettamente sì, se non ci fossero gli stranieri non ci sarebbero gli insulti. Battute a parte, i “ne*ro di merda” fioccano sulle bocche di ragazzi, allenatori e genitori alle partite dei più piccoli. Mancanza di educazione, ecco qua.
    E poi ci sono gli stranieri comprati per interesse, perché costano meno. Chi vede nel calcio ancora un modo per arricchirsi se ne frega del vivaio, si affida ai procuratori che prendono una vagonata di stranieri a buon prezzo e li rivendono come campioni. Ma anche in questo caso la colpa non è di un giocatore che arriva dall’estero, è del faccendiere o del procuratore che fa la tratta.
    In Federazione che dicono, è colpa degli stranieri? Ci mancherebbe solo una loro accusa. Tavecchio era un impresentabile e ha vinto due elezioni. Ha fatto come Berlusconi, è riuscito a far coesistere sotto la sua ala i comunisti e la destra. Ha fatto cambiare idea all’irreprensibile Agnelli, ha sostenuto Infantino e Ceferin, ha appoggiato qualsiasi cambiamento.

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  3. Ora è impossibile dargli torto, si passerebbe da voltagabbana. Eppure lui resta lì, fermo, stranieri o non stranieri. Un cambiamento totale senza un cambio di nomi totale non è un cambiamento totale, ma ci siamo abituati.
    Sia ben chiaro, per quanto possa sembrare strano il futuro è roseo. Abbiamo giovani interessanti (Chiesa, Donnarumma, Bernardeschi) e altri giocatori in erba importanti, peraltro figli di migranti: Claud Adjapong è un esterno di belle speranze, Moise Kean non sarà simpaticissimo ma già segna. Basta solo concentrarsi su quanto di buono abbiamo, tornare a tirar su i nostri giocatori e imparare davvero dalla Germania e dalla Francia, non solamente a parole. Ventura cadrà nell’oblio, Tavecchio non sarà ricordato come Artemio Franchi, i giocatori in campo in Italia-Svezia passeranno alla storia come le vittime del ct-mostro, e tra quattro anni probabilmente andremo in Qatar da favoriti.
    Ma, per favore, non ci venite a dire che la colpa del tracollo sono gli stranieri. Così facendo, rendete ufficiale una cosa: la colpa è solamente vostra.

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  4. Sono appassionati del calcio europeo sopratutto quello spagnolo. Giuseppe

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    1. Anche perche' quello di casa loro....non si puo' guardare.

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  5. Ci fosse stata la Var, quello scudetto farebbe bella presenza nella bacheca del Toro e questo libro non sarebbe mai stato pubblicato. «Lo scudetto “rubato”» dei giornalisti torinesi Francesco Bramardo e Gino Strippoli, edito da Priuli&Verlucca, invece è un documento prezioso dove poter ripercorrere uno dei più grandi misteri e misfatti del calcio italiano. Quello del campionato 1971-1972, vinto dalla Juventus con un solo punto di vantaggio su Torino e Milan. Tutto ruota attorno alla famosa e famigerata partita del 12 marzo 1972, quando i granata perdono 2-1 a Genova contro la Sampdoria e l’arbitro Barbaresco di Cormons non convalida il pareggio di Agroppi, respinta sulla linea da Marcello Lippi. Già questo intreccio sembra un romanzo, ma la verità di un errore svelato decenni dopo dallo stesso arbitro («Ho rivisto le immagini su internet e in televisione: il pallone era entrato completamente e avevano ragione i giocatori del Torino. Mi dispiace») non lenisce la rabbia e i dubbi del mondo granata per quello scudetto.
    La polemica è ancora forte a distanza di 35 anni e questo libro lo dimostra, con testimonianze dirette, ricordi e racconti dei protagonisti in campo, oltre ad un’ampia rassegna stampa dove ripercorrere un campionato “stregato” per il Toro: la squadra di Giagnoni aveva riportato il granata di nuovo in vetta alla Serie A, dove mancava dai tempi del Grande Torino, ma fu beffata da errori arbitrali clamorosi. Compreso lo scontro diretto con il Milan del 23 aprile 1972, diretta dall’arbitro Toselli di Cormons (solo coincidenze?) che di fatto costò il primo posto a favore della Juve. «Lo scudetto ’rubato’» è un libro di verità storica che si mischia ad un intreccio epistolare tra Marco e la modella-prostituta B.: tra romanzo e realtà si raccontano partite e uno spaccato dell’Italia Anni Settanta, con una storia che corre parallela a quel campionato e ad un possibile scandalo del calcio-scommesse e intrecci con il doping.

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  6. hola! infatti è l'unico paese della zona caribeña dove non domina la pelota. chao Enrico

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  7. Giusto per capire il mio amore per questo sport.
    Ieri sera partita dei Villans.
    Arrivato al fischio di inizio, avevo la palestra piena e sono riuscito a sganciarmi all'ultimo.
    Male alle spalle oramai cronico, mal di schiena quasi e ieri sera pure una contrattura alla coscia.
    Al primo scatto ho capito che era da lasciare perdere ed andarmene.
    Invece ho lasciato la mediana e mi sono piazzato davanti a fare il centravanti boa....correndo poco.
    Alla fine si e' vinto 4-3 con 2 pere dello scriba.
    Se non amavo questo sport dopo 5 minuti ero nello spogliatoio.

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  8. MARCO MORETTI

    Habana Vieja, il più esteso centro coloniale dell’America Latina, regala alla capitale cubana il titolo di regina dei Caraibi. Una città sensuale, bellissima, degradata, scandalosa, piena di colore, petulante, demodé: sono solo alcuni degli aggettivi che si addicono a l’Avana. Chiusa tra l’oceano Atlantico e un ventaglio di miti che spaziano dai libri di Ernest Hemingway - con avventure di mare, donne seducenti e drink inebrianti - fino alle imprese di Che Guevara, dai migliori sigari del mondo ai cocktail a base di rum.

    PRIMO GIORNO

    Mattino

    Perdetevi tra strade, piazze e bar di Habana Vieja, strappata al degrado dall’Unesco che l’ha dichiarata patrimonio dell’umanità. Un mosaico di chiese barocche, case colorate e fortezze spagnole. Una griglia di strade percorsa dai conga, le orchestre seguite da cortei danzanti. Un borgo portuale dove gli sguardi a mandorla di marinai bianchi e gli occhi verdi di giovani mulatte evocano storie d’amore interpretate da conquistadores, pirati, indio, portatori cinesi e schiavi africani. Da plaza das Armas percorrete tutta calle Obispo, l’affollatissima via dello struscio con bar musicali, ristoranti, negozi e alberghi. Non mancate una sosta in plaza Vieja: la più bella con i portici, gli edifici coloniali ben restaurati e i giochi dei bambini.

    Pranzo

    Per la pausa pranzo mangiate un piatto accompagnato da un mojito (miscuglio di rum bianco, succo di lime, zucchero, yerbabuena, poca soda e molto ghiaccio) in uno dei bar nella plaza de la Catedral animata da band di vecchi musicisti.

    Pomeriggio

    Habana Vieja è chiusa a est da Paseo de Martì, detto il Prado, dove si trovano il Parque Central e alcuni monumentali edifici ottocenteschi. Gli hotel Plaza e Inglaterra (il più antico dell’isola). Il Teatro Garcia Lorca del 1838 con la facciata decorata da statue, guglie e frontoni. E il neoclassico Capitolio National, copia del Campidoglio di Washington edificato a inizio Novecento: prima della rivoluzione era sede del Parlamento, ora ospita l’Academia de Ciencias de Cuba. Davanti al Capitolio sono parcheggiate decine di fiammanti auto americane degli anni Cinquanta, se ne può noleggiare una con autista per fare un singolare giro della città.

    Cena

    La Bodeguita del Medio (calle Empredrado 207) era il bar preferito da Hemingway per bere il mojito; oggi è un ristorante che serve cucina tradizionale cubana, con menu di carne di maiale, avocado, riso, fagioli neri e chicarrones (ciccioli di maiale), e piatti di mare.

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  9. SECONDO GIORNO

    Mattino

    Raggiungete il Castillo de la Punta e da lì camminate sul Malecon, l’infinito lungomare, coglierete la forza dell’Atlantico e la decadenza di Habana Centro con i portici ombrosi e le facciate corrose dalla salsedine, fermatevi a chiacchierare con i pescatori, i jogger e la variegata e amichevole fauna umana che popola il lungomare. Tornate in centro attraverso il Vedado, la collina dove negli anni Venti del Novecento la borghesia locale fece costruire splendide ville liberty e moderniste; oggi è la parte più moderna della città.

    Pomeriggio

    In centro visitate il Museo de la Revolución, allestito nell’ex palazzo presidenziale, dove - a fianco di armi e manufatti - ci sono molte foto dell’evento storico in cui sono ritratti Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e gli altri leader della rivoluzione cubana. Per restare sul tema,
    raggiungete in taxi la sterminata Plaza de la Revolutión, quella degli interminabili discorsi di Fidel Castro: è dominata dal più elegante monumento a Che Guevara, il cui volto è stilizzato col ferro sopra la scritta ’Hasta la victoria siempre’.

    Tramonto

    Passeggiate lungo il canale, in riva alla baia - tra il rientro delle navi e i baci degli innamorati – per capire quanto è romantica Cuba. Poi tornate a Habana Vieja e a metà di calle Obispo fate una tappa al Café de Paris, dove fin dal pomeriggio si alternano band di tutti i generi caraibici. Per l’aperitivo andate a bere un daiquirì (due parti di rum, una di succo di lime e sciroppo di zucchero) al Floridita, a capo del bancone del bar c’è lo sgabello di Hemingway, per il quale il Floridita .

    Cena

    La Guarida (calle Concordia 418) è uno dei migliori paladares (cucine in case private) in un palazzo surreale, usato anche come scenografia di film: menu creoli con a scelta pollo, maiale, pesce o aragosta.

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  10. Hai mai visto una partita di calcio a Cuba, allo stadio se vanno 1000 paganti e un miracolo, vai vedere la pelota più o meno è tutto esaurito, zio poporco

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    1. Paganti è una parola grossa....ma molto
      Andrea M.

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    2. Lo sai che Aleardo patisce l'argomento quattrini...:-)
      Ricorderai quando nel gruppo fece le pulci alla duena che oso' chiedergli 2 cuc per il desajuno...
      Oggi, a La Habana le case con cui collaboriamo per meno di 5 cuc neanche affrontano l'argomento.

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  11. Peccato che alla tele si vedano gli stadi della pelota vuoti per tre quarti...

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  12. A testimonianza di ciò che dico e penso da sempre e cioè che la bellezza dell'isla è fatta di piccole cose e sensazioni ricordo una caldissima sera di aprile, credo fosse il 2 aprile del 2009 , ero col mio amico Pedro , botero con fisicità a metà tra Tomas Milian e l'attore riccioluto porno della 100x100(non ricordo il nome), la sua compagna bionda e appariscente , la mia futura moglie, eravamo al har del pernik ad holguin di ritorno da una notte al cabaret , l'Argentina di Maradona aveva perso 6-1 inBolivia e lui cercava di spiegarmi in ogni modo e con piena convinzione gli errori fatti da Diego nel mettere la squadra in campo...né è passata di acqua sotto i ponti..Lei non è più la mia lei, Pedro fa il mantenuto di una canadese a Montreal o giù di li , la bionda chissà , io sono più vecchio etc etc ...una sola cosa non è cambiata evidentemente:non vogliono imparare niente da nessuno, neanche ascoltare sanno tutto e si credono piu furbi , non credo Cuba sfornera' mai un campione né una nazionale decente perché. ....come scrivi? ...ah già 'el cubano ne llega se pasa...'...nel calcio e nella vita
    Buona domenica a tutti
    Andrea M.

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    1. Il vantaggio, oggi, dopo tanti anni, e' che sappiamo che sono cosi'...
      Sapere chi si ha davanti e' sempre un grande vantaggio, in ogni campo della vita.

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  13. Ci deve essere qualcosa nel mondo che mi sfugge.
    Ledezma, fugge dal Venezuela, inseguito da un mandato di cattura ma viene accolto in Spagna....
    La stessa Spagna chiede che il suo mandato di cattura per il presidente catalano venga messo in atto dal governo belga, paese dove il presidente catalano si trova.....
    Qualcosa non quadra...

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  14. Torino (4-3-3): Sirigu; De Silvestri, N’Koulou, Burdisso, Ansaldi; Rincon, Valdifiori, Baselli; Iago Falque, Belotti, Ljajic. All. Mihajlovic

    Chievo (4-3-1-2): Sorrentino; Cacciatore, Cesar, Tomovic, Gobbi; Castro, Radovanovic, Hetemaj; Birsa; Inglese, Meggiorini. All. Maran

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  15. Gallo non sta in piedi, perche' fargli tirare il rigore quando hai lo Zingaro e Yago?

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  16. Altri punti buttati nel cesso.
    Credo che sara' un altro campionato da 8/9 posto, altro che Europa.

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