ALESSANDRO ZARLATTI/ IL BELLO DELL'AVANA
Il calcio.
Sembra un fenomeno incontenibile. Da sempre mi domando quale sia il
suo segreto. Perchè un pianeta intero lo giochi, perchè riesca a
sradicare in un lampo abitudini profonde, tradizioni, per imporsi con
tutta la sua semplicità, con tutta la sua forza.
La
semplicità, senz'altro è un elemento. Per fare una partita basta un
pallone di stracci e quattro persone disposte a corrergli dietro. Ma
non è sufficiente. Allora sarebbero più semplici ancora le gare di
corsa. I pugni. La lotta. Forse dipende dall'accessibilità. Per
correre e vincere devi avere il fisico. Per fare a pugni fisico e
coraggio. Per la lotta, idem. Il calcio è diverso. Il più grande
calciatore di tutti i tempi, Maradona, era un nano tracagnotto, che
si allenava poco. Però aveva piedi. Messi, il più forte giocatore
attuale è piccolo, stortarello, eppure nasconde la palla a gente
alta il doppio di lui, infinitamente più forte. Ma c'è anche
Cristiano Ronaldo, l'opposto, alto, muscoloso. Il calcio è
possibilità aperta a tutti. È arte pura. Non serve il fisico, serve
maggiore o minore distanza dall'ispirazione. Tutta questa menata per
dire che a Cuba il calcio ha soppiantato totalmente il baseball.
Forse l'ho già detto precedentemente ma confermo un processo già
quasi giunto a destinazione. Il cubano gioca a calcio, moltissimo.
Così come gli italiani giocavano per strada fino a 30/40 anni fa. Io
ogni tanto mi fermo a guardare qualche partita. Un italiano non
guarda una partita per passare il tempo. Per un italiano il calcio è
una cosa seria. La più seria. Vedo talenti, accenni di talenti,
prospettive. Già qualche tempo fa ho vaticinato che nei prossimi 15
anni qui a Cuba uscirà fuori un giocatore bravo. È
inevitabile. Giocano molto, giocano per strada, chiudono il passaggio
di vicoli, mettono due porte e giocano. Ma... Ma c'è un ma. Un
italiano lo sa. Per diventare calciatore non basta il talento. I
diamanti grezzi, senza un bravo tagliatore restano sassi. Il grande
limite dell'intero movimento calcistico cubano sta proprio in un
detto che i cubani usano quando parlano di se stessi. Dicono: "el
cubano si no llega se pasa...". Che vuol dire? Letteralmente: il
cubano se non arriva ad una cosa la supera. In qualche modo il
riconoscimento della propria immodestia genetica. Credo che
l'immodestia sia nettamente migliore del suo opposto ma credo anche
che sviluppare la capacità di mettersi in ascolto, di sospendersi
momentaneamente sia un'altra utile facoltà. Un paio d'anni fa mi
trovavo a riparare un televisore in Vedado. Mentre il tecnico stava
smontando la scocca posteriore inizia a conversare con me. Italiano.
Sì italiano. Io sono appassionato di Umberto Eco. Il migliore
scrittore italiano, vero? La risposta era no ma non ascoltava. Poi la
conversazione è scivolata sul calcio. Mi ha chiesto due o tre
sciocchezze sul tifo e subito ha iniziato a spiegarmi il calcio.
Spiegarmi. Mezz'ora di cazzate allucinanti. Presunte regole tattiche,
presunte formule del successo, algoritmi della vittoria. Io ho retto
un sorrisetto complice per venti minuti, poi, temendo la paresi, ho
chiuso la comunicazione dicendo: "sì, per noi italiani il
calcio è un'altra cosa...". Non era curioso di sapere come
funzionano le cose in un paese grande come un bilocale che ha vinto
quattro campionati del mondo? Non era curioso di sapere, di imparare,
che da quando abbiamo tre anni ci straziamo le giornate sulla
migliore posizione in campo di Amenta, sui movimenti giusti di un
centravanti di manovra come Musiello, sull'arte di chiamare il
fuorigioco, di dirigere una difesa, di marcare uno veloce, sul 433,
sulle virtù del 352, del 442, sull'arte del fallo tattico. Non era
curioso di sapere che da quando avevo tre anni fino ad oggi avrò
visto cinquemila partite, le avrò commentate, tutte, con esperti di
alto livello, le avrò vivisezionate, smontate, rimontate. Non era
curioso di sapere che noi italiani regoliamo la nostra vita sul
calendario di serie a, che giochiamo a calcio da quando abbiamo tre
anni e allenatori eccellenti (perchè gli italiani sono storicamente
i migliori allenatori del mondo) ci spiegano come marcare, come fare
i tagli se sei una punta, come fare l'elastico, come e quando alzare
la testa, come perdere tempo, quando fare le sovrapposizioni, quando
anticipare, quando aspettare. Non era curioso di sapere che abbiamo
genitori (non i miei per fortuna) che da quando abbiamo tre anni ci
gridano oscenità dalla rete dei campi di pozzolana, insultano gli
arbitri, ci seguono a Montelanico, a Vicovaro, a Tor Tre Teste. Non
era curioso di sapere che il calcio per noi è vita? Un tratto del
nostro codice genetico, un filtro attraverso cui guardiamo il mondo?
No, non era curioso. Lui sapeva tutto, e me lo spiegava... Ecco, no,
Cuba ha messo in piedi una settore tecnico per gestire questo
fenomeno che, usando un eufemismo, potremmo definire non all'altezza.
Mi raccontano di vicende esilaranti. Di "intuizioni tattiche",
diciamo, creative. Riunioni di aggiornamento in cui vengono proposti
testi che un italiano di terza categoria ha letto, riletto e superato
dal 1970. Uno spettatore qualunque di uno stadio italiano potrebbe
tenere qui classi magistrali sul calcio. Non è una battuta. L'anno
passato mi sembra che il campionato lo abbia vinto a mani basse
Santiago e solo perché era allenato da un italiano qualunque di cui
non so il nome. Immagino abbia sistemato due o tre cose, messo
giocatori nei giusti ruoli, obbligato a passare la palla e ha vinto
lo scudetto. Ecco, non sapere non è una colpa. Io per esempio non ho
mai capito il baseball. Se ne sentissi la necessità andrei da un
cubano e mi metterei in ascolto. Muto in ascolto. Riguardo al calcio
auguro a Cuba di fare lo stesso. Uscire dalla dittatura del "si
no llego me paso". Io chiamerei un team di una trentina di
allenatori di prima e seconda categoria italiana e li metterei a
lavorare qui. A fare scuola calcio. A insegnare il calcio ai bambini
e agli adulti. In pochi anni il calcio cubano decollerebbe, ne sono
sicuro.
Nel frattempo io ogni tanto mi dedico ad una delle cose
più serie che so fare: mi attacco alle reti dei campetti di Playa,
prendo nota di tutto, soffoco la voglia di gridare qualcosa al
terzino che non torna mai, di elogiare il taglio di una punta. Io che
mi vanto con gli amici di aver scoperto Ibrahimovich, Verratti,
Arsavin, Quintero (in realtà è stato il mio fallimento, ero sicuro
che sarebbe diventato più forte di Messi, l'hanno preso in
Portogallo e poi è scomparso. Qualcuno ha notizie di Quintero?),
prima o poi lo scoprirò anche qui il talento. Ne sono sicuro. È una
cosa seria. Il calcio. La cosa più seria che c'è.
In un simile frangente,
mentre Tavecchio, S-Ventura e quella banda di incapaci mi hanno
privato di splendide serate estive di amici, pizza, birra e rutto
libero guardando i mondiali della nostra nazionale, ancora una volta
prendo spunto da uno scritto di Alessandro Zarlatti.
Credo di essere stato una
sorta di pioniere nel calcio a Cuba.
Quasi 20 anni fa era raro
trovare gente che giocasse a calcio a Cuba, imperava ovunque la
pelota.
Nelle strade cubane era
molto facile trovare ragazzini che, magari con un bastone e un sasso,
imitavano le gesta dei campioni della pelota, sport che, francamente
mi annoia a morte, forse perche' proprio, con tutta la buona
volonta', non riesco a capirlo.
Esisteva pero' un
ristretto gruppo di “deviati”, quasi tutti negher, che gia'
allora si dedicavano al calcio.
Ne conobbi uno che mi
porto', nel vecchio campo della pelota, dove si ritrovavano, e si
ritrovano i giovani calciatori tuneri.
Mi ritrovai in una sorta
di campaccio di periferia con erba alta, in compagnia di una banda di
esagitati che correvano tutto dietro al pallone senza un minimo di
logica..
Nessuno che passasse la
palla, nessuno che giocava in difesa, nessun concetto di squadra, una
banda di veneziani come non avevo mai visto.
Mi piazzai in mezzo al
campo, come faccio da una vita, cercando di mettere un po' d'ordine
in quel casino, invano, correvano tutti come pazzi menando come
fabbri...io ero in vacanza.
Regole del calcio
applicate con molta fantasia, porte piccole, 3-4 squadre da 4/5
giocatori ciascuna, quando una squadra segnava l'altra usciva e
veniva sostituita.
Cosi' per ore ed ore.
Negli anni mi capito'
altre volte di giocare, ricordo anche una volta in spiaggia a Puerto
Padre con altri italiani.
Ho visto negli anni il
movimento crescere, ho visto arrivare palloni decenti, magliette
griffate, ho visto persino gente passarsi la palla.
Per alcuni anni l'Inter ha
avuto una scuola di calcio in citta', vedevo i ragazzini con le
magliette neroazzurre girare recarsi nei campi improvvisati per
l'allenamento.
In questi ultimi anni ho
visto decine di allenamenti della squadra tunera di seria A
(diciamo...) al campo di calcio al centro della pista di atletica,
allenamenti veri con allenatori a tutto tondo, che non hanno portato
a molto visto che la squadra cittadina non e' certo una delle
migliori del paese.
Enormi potenzialita'
fisiche, tecnica anche decorosa ma il gioco del calcio e' fatto di
tattica e della capacita' di giocare insieme, da questo punto di
vista sono un disastro.
Poi ho visto adulti usare
le maglie del calcio come t-shirt in giro per la citta'.
Nella maggior parte dei
casi maglie del Barcellona e del Real ma non e' raro vedere degli
sventurati girare con una maglia a strisce di altri colori.
Come se non avessero gia'
abbastanza problemi....
Oggi, e' vero, i bambini e
i ragazzini cubani hanno sostituito la pelota col calcio anche
perche' la pelota cubana, diciamocelo, e' ai minimi storici.
Come avviene da noi e come
ha ben descritto Alessandro, l'isola si e' anche riempita di esperti
di calcio da poltrona.
Il Boss del mio familion
ne e' l'esempio piu' calzante.
Arriva dal lavoro, si
piazza sul suo balance preferito e inizia a guardare qualunque
partita passi la televisione cubana o Telesur.
Sa tutto di ogni
giocatore, ogni schema, ogni partita ed ogni risultato.
E' inutile spiegargli le
cose, anche per chi come me gioca a calcio da 50 anni e ha visto
migliaia di partite oltre che essere stato 4 volte campione del
mondo.
Sanno tutto loro, hanno
capito tutto loro.
Lo dico simpaticamente
perche' le nostre discussioni sul calcio sono davvero divertenti.
Adesso che mi vedra' non
ho idea di quanto mi predera' per il culo col fatto che ci hanno
sbattuto fuori dalla possibilita' di partecipare ai mondiali.
Grazie anche di questo,
S-Ventura e Tavecchio.
DAL BLOG MINUTO SETTANTOTTO
RispondiEliminaIl 13 novembre del 2017 non dovrà mai essere dimenticato. L’Italia viene sconfitta nel playoff dalla Svezia e non si qualifica per il Mondiale, per la prima volta dopo sessant’anni, anche se è impossibile paragonare quel flop con l’attuale. È stato il più grosso fallimento di una nazionale italiana, probabilmente non solo nel calcio. Si è trattato di un’umiliazione, senza giri di parole. Il problema è che al risultato del campo si sono aggiunti i commenti del post-partita, un post-partita che durerà almeno otto mesi.
Non ci addentriamo in analisi tattiche o tecniche, non è quello che ci interessa al momento. La cosa che più rattrista è notare come, a cadavere ancora caldo, ci sia chi ha avuto il coraggio di vilipendiare la Nazionale e l’Italia intera dando la colpa del tracollo ai troppi stranieri. Per quanto la stampa sportiva italiana sia deprecabile, stavolta c’entra il giusto, salvo qualche sparuto episodio. A gettare la croce su chi arriva dall’estero sono stati politici e giornali che normalmente non dovrebbero occuparsi di pallone. Siamo in campagna elettorale, è evidentemente tempo di sciacallaggio.
Ci sono due livelli di lettura della colpa per il fallimento azzurro. Un primo, intuibile, è scaricare tutto addosso a Ventura e indirettamente a Tavecchio (ma più Ventura che Tavecchio, mai i giocatori). Un secondo, strumentale, è dare contro agli stranieri.
«Troppi stranieri in campo, dalle giovanili alla Serie A, e questo è il risultato. #STOPINVASIONE e più spazio ai ragazzi italiani, anche sui campi di calcio». Ormai questa frase la conoscete tutti, è di Matteo Salvini. Per chi non lo sapesse, quest’uomo è leader della Lega Nord e appassionato di pallone. Appassionato non significa esperto, su questo siamo tutti d’accordo.
Giorgia Meloni invece è a capo di Fratelli d’Italia e, anche se non sembra, scrive editoriali a proposito di calcio. Il suo pensiero è preciso, il che non significa che per forza sia razionale: il problema del calcio italiano è dato dai troppi stranieri, sia nelle prime squadre sia nelle giovanili. Va capita, è ancora euforica per la vittoria di domenica a Marzabotto.
Il Tempo si definisce quotidiano indipendente, ospita le opinioni di Giorgia Meloni e pubblica in prima pagina la foto di Buffon e Totti assieme alla coppa del mondo e allo striscione “Fieri di essere italiani“. È lo stesso striscione che tanto clamore suscitò nel 2006 per la presenza di una croce celtica. Questo piccolo dettaglio è stato tolto dalla prima pagina, ma sarebbe passato comunque in secondo piano, dato che il titolo è “L’Italia agli italiani“. «Della debacle del calcio italiano va incolpato il grande nemico del nostro calcio: i troppi stranieri» scrivono, utilizzando per altro un concetto non italiano (“debacle” è francese).
Abbiamo scelto tre esempi, tutti e tre calzanti, ma ce ne sono a bizzeffe. Fatevi un giro tra i social e leggete le opinioni di quelli che credono di contare qualcosa: se di calcio se ne occupano solo in campagna elettorale e non hanno mai messo piede in uno stadio, state sicuri che danno la colpa agli stranieri. Perché? Perché è facile, comodo, gratuito e non dà diritto di replica. Chissà come mai, sospettiamo che con “stranieri” non intendano Dybala, Kalinic o Mertens, forse più Asamoah, Kessié o Diawara. Ma forse siamo noi che la pensiamo male, ecco.
Dire che la nazionale non andrà al Mondiale perché ci sono troppi stranieri è come ammettere che la politica italiana è migliorata da quando Salvini e Meloni sono scesi in campo, oppure che il giornalismo può beneficiare di prime pagine argute e ragionate come quella de Il Tempo.
La squadra di profughi azzurri non ha deragliato per colpa di Jorginho o Eder. Lo ha fatto perché la guida tecnica si è mostrata non all’altezza del compito richiesto, quando il gioco si è fatto duro. In più la vecchia guardia ha voluto prendere il sopravvento e ha fatto quello che è stata in grado di fare negli ultimi dieci anni quando si è spostata dai patri confini: perdere.
RispondiEliminaPrendete i 27 convocati dell’Italia per la doppia sfida con la Svezia. L’unico ad aver vinto un trofeo continentale è Darmian, l’anno scorso in Europa League con il Manchester United. Buffon, Barzagli, Chiellini, Bonucci e Rugani hanno giocato nella Juventus finalista in Champions League per due volte (Rugani una) e sconfitta in entrambi i casi. Ammesso e non concesso che alcuni ancora nel fiore degli anni, ben 26 su 27 non hanno mai vinto niente in carriera in ambito europeo (l’unico ad aver vinto lo ha fatto con un’inglese, se si allarga il discorso a prima del 2007 Buffon ha una Coppa UEFA col Parma); in 21 su 26 non si sono nemmeno mai avvicinati a una semifinale. Colpa degli stranieri? Non proprio.
E allora di chi è la colpa? Chi glielo va a dire a Salvini, a Meloni, a Il Tempo, che se la prendono con l’obiettivo sbagliato? Chi fa loro presente che l’Italia è in media con le altre grandi leghe europee in quanto a stranieri in campo? Chi è disposto a prendere un almanacco e mostrare loro la quantità di non italiani nel 2005-06? Chi fa vedere a questi soggetti il calcio del Sassuolo tutto italiano, tutt’altro che un gioco spumeggiante?
Addirittura c’è chi – Salvini – ha preteso di ripartire come a suo tempo fece la Germania, oppure la Francia. La Germania è una nazionale multiculturale modello, quelli che Salvini chiama tedeschi in Germania sono quelli che gente come lui si rifiuta di chiamare italiani in Italia. La Francia ha vinto il Mondiale ’98 e Euro 2000 quando ha capito che bisognava aprirsi.
Una volta per tutte, la colpa non è degli stranieri, neppure nei settori giovanili. Semmai, se vengono fuori nazionali così scarse e indolenti, è colpa della maleducazione. Nei vivai non ci sono tecnici specializzati, nella maggior parte delle volte. Questo non significa che lo Staffoli o la Casa Culturale San Miniato Basso debbano per forza essere allenati da Oddo o Adani. Ma è vero anche che sarebbe l’ora di non affidarsi più a personaggi che insegnano a vincere in maniera subdola, a ingannare, a insultare. Gente che arrotonda insegnando ai ragazzini come atteggiarsi e non come giocare.
Prendete una tv locale qualsiasi, ha sicuramente una trasmissione calcistica: lì troverete l’ex professore di educazione fisica o l’ex collaboratore di Tizio che vorrà insegnarvi come si tirano su i ragazzini. Sono persone che la sanno lunga, vedono il calcio com’era cinquant’anni fa quando bastava una pasticca nel caffè per vincere. Nessuno educa al calcio, nessuno dà un dettame tattico a dei ragazzetti.
Sono gli stessi personaggi che aggiustano le partite dei 13enni e chiamano “goliardate” le discriminazioni. Anche gli insulti a sfondo razziale sono per colpa degli stranieri? Indirettamente sì, se non ci fossero gli stranieri non ci sarebbero gli insulti. Battute a parte, i “ne*ro di merda” fioccano sulle bocche di ragazzi, allenatori e genitori alle partite dei più piccoli. Mancanza di educazione, ecco qua.
E poi ci sono gli stranieri comprati per interesse, perché costano meno. Chi vede nel calcio ancora un modo per arricchirsi se ne frega del vivaio, si affida ai procuratori che prendono una vagonata di stranieri a buon prezzo e li rivendono come campioni. Ma anche in questo caso la colpa non è di un giocatore che arriva dall’estero, è del faccendiere o del procuratore che fa la tratta.
In Federazione che dicono, è colpa degli stranieri? Ci mancherebbe solo una loro accusa. Tavecchio era un impresentabile e ha vinto due elezioni. Ha fatto come Berlusconi, è riuscito a far coesistere sotto la sua ala i comunisti e la destra. Ha fatto cambiare idea all’irreprensibile Agnelli, ha sostenuto Infantino e Ceferin, ha appoggiato qualsiasi cambiamento.
Ora è impossibile dargli torto, si passerebbe da voltagabbana. Eppure lui resta lì, fermo, stranieri o non stranieri. Un cambiamento totale senza un cambio di nomi totale non è un cambiamento totale, ma ci siamo abituati.
RispondiEliminaSia ben chiaro, per quanto possa sembrare strano il futuro è roseo. Abbiamo giovani interessanti (Chiesa, Donnarumma, Bernardeschi) e altri giocatori in erba importanti, peraltro figli di migranti: Claud Adjapong è un esterno di belle speranze, Moise Kean non sarà simpaticissimo ma già segna. Basta solo concentrarsi su quanto di buono abbiamo, tornare a tirar su i nostri giocatori e imparare davvero dalla Germania e dalla Francia, non solamente a parole. Ventura cadrà nell’oblio, Tavecchio non sarà ricordato come Artemio Franchi, i giocatori in campo in Italia-Svezia passeranno alla storia come le vittime del ct-mostro, e tra quattro anni probabilmente andremo in Qatar da favoriti.
Ma, per favore, non ci venite a dire che la colpa del tracollo sono gli stranieri. Così facendo, rendete ufficiale una cosa: la colpa è solamente vostra.
Sono appassionati del calcio europeo sopratutto quello spagnolo. Giuseppe
RispondiEliminaAnche perche' quello di casa loro....non si puo' guardare.
EliminaCi fosse stata la Var, quello scudetto farebbe bella presenza nella bacheca del Toro e questo libro non sarebbe mai stato pubblicato. «Lo scudetto “rubato”» dei giornalisti torinesi Francesco Bramardo e Gino Strippoli, edito da Priuli&Verlucca, invece è un documento prezioso dove poter ripercorrere uno dei più grandi misteri e misfatti del calcio italiano. Quello del campionato 1971-1972, vinto dalla Juventus con un solo punto di vantaggio su Torino e Milan. Tutto ruota attorno alla famosa e famigerata partita del 12 marzo 1972, quando i granata perdono 2-1 a Genova contro la Sampdoria e l’arbitro Barbaresco di Cormons non convalida il pareggio di Agroppi, respinta sulla linea da Marcello Lippi. Già questo intreccio sembra un romanzo, ma la verità di un errore svelato decenni dopo dallo stesso arbitro («Ho rivisto le immagini su internet e in televisione: il pallone era entrato completamente e avevano ragione i giocatori del Torino. Mi dispiace») non lenisce la rabbia e i dubbi del mondo granata per quello scudetto.
RispondiEliminaLa polemica è ancora forte a distanza di 35 anni e questo libro lo dimostra, con testimonianze dirette, ricordi e racconti dei protagonisti in campo, oltre ad un’ampia rassegna stampa dove ripercorrere un campionato “stregato” per il Toro: la squadra di Giagnoni aveva riportato il granata di nuovo in vetta alla Serie A, dove mancava dai tempi del Grande Torino, ma fu beffata da errori arbitrali clamorosi. Compreso lo scontro diretto con il Milan del 23 aprile 1972, diretta dall’arbitro Toselli di Cormons (solo coincidenze?) che di fatto costò il primo posto a favore della Juve. «Lo scudetto ’rubato’» è un libro di verità storica che si mischia ad un intreccio epistolare tra Marco e la modella-prostituta B.: tra romanzo e realtà si raccontano partite e uno spaccato dell’Italia Anni Settanta, con una storia che corre parallela a quel campionato e ad un possibile scandalo del calcio-scommesse e intrecci con il doping.
hola! infatti è l'unico paese della zona caribeña dove non domina la pelota. chao Enrico
RispondiEliminaPelota intesa come calcio?
RispondiEliminano pelota come baseball. Enrico
EliminaGiusto per capire il mio amore per questo sport.
RispondiEliminaIeri sera partita dei Villans.
Arrivato al fischio di inizio, avevo la palestra piena e sono riuscito a sganciarmi all'ultimo.
Male alle spalle oramai cronico, mal di schiena quasi e ieri sera pure una contrattura alla coscia.
Al primo scatto ho capito che era da lasciare perdere ed andarmene.
Invece ho lasciato la mediana e mi sono piazzato davanti a fare il centravanti boa....correndo poco.
Alla fine si e' vinto 4-3 con 2 pere dello scriba.
Se non amavo questo sport dopo 5 minuti ero nello spogliatoio.
MARCO MORETTI
RispondiEliminaHabana Vieja, il più esteso centro coloniale dell’America Latina, regala alla capitale cubana il titolo di regina dei Caraibi. Una città sensuale, bellissima, degradata, scandalosa, piena di colore, petulante, demodé: sono solo alcuni degli aggettivi che si addicono a l’Avana. Chiusa tra l’oceano Atlantico e un ventaglio di miti che spaziano dai libri di Ernest Hemingway - con avventure di mare, donne seducenti e drink inebrianti - fino alle imprese di Che Guevara, dai migliori sigari del mondo ai cocktail a base di rum.
PRIMO GIORNO
Mattino
Perdetevi tra strade, piazze e bar di Habana Vieja, strappata al degrado dall’Unesco che l’ha dichiarata patrimonio dell’umanità. Un mosaico di chiese barocche, case colorate e fortezze spagnole. Una griglia di strade percorsa dai conga, le orchestre seguite da cortei danzanti. Un borgo portuale dove gli sguardi a mandorla di marinai bianchi e gli occhi verdi di giovani mulatte evocano storie d’amore interpretate da conquistadores, pirati, indio, portatori cinesi e schiavi africani. Da plaza das Armas percorrete tutta calle Obispo, l’affollatissima via dello struscio con bar musicali, ristoranti, negozi e alberghi. Non mancate una sosta in plaza Vieja: la più bella con i portici, gli edifici coloniali ben restaurati e i giochi dei bambini.
Pranzo
Per la pausa pranzo mangiate un piatto accompagnato da un mojito (miscuglio di rum bianco, succo di lime, zucchero, yerbabuena, poca soda e molto ghiaccio) in uno dei bar nella plaza de la Catedral animata da band di vecchi musicisti.
Pomeriggio
Habana Vieja è chiusa a est da Paseo de Martì, detto il Prado, dove si trovano il Parque Central e alcuni monumentali edifici ottocenteschi. Gli hotel Plaza e Inglaterra (il più antico dell’isola). Il Teatro Garcia Lorca del 1838 con la facciata decorata da statue, guglie e frontoni. E il neoclassico Capitolio National, copia del Campidoglio di Washington edificato a inizio Novecento: prima della rivoluzione era sede del Parlamento, ora ospita l’Academia de Ciencias de Cuba. Davanti al Capitolio sono parcheggiate decine di fiammanti auto americane degli anni Cinquanta, se ne può noleggiare una con autista per fare un singolare giro della città.
Cena
La Bodeguita del Medio (calle Empredrado 207) era il bar preferito da Hemingway per bere il mojito; oggi è un ristorante che serve cucina tradizionale cubana, con menu di carne di maiale, avocado, riso, fagioli neri e chicarrones (ciccioli di maiale), e piatti di mare.
SECONDO GIORNO
RispondiEliminaMattino
Raggiungete il Castillo de la Punta e da lì camminate sul Malecon, l’infinito lungomare, coglierete la forza dell’Atlantico e la decadenza di Habana Centro con i portici ombrosi e le facciate corrose dalla salsedine, fermatevi a chiacchierare con i pescatori, i jogger e la variegata e amichevole fauna umana che popola il lungomare. Tornate in centro attraverso il Vedado, la collina dove negli anni Venti del Novecento la borghesia locale fece costruire splendide ville liberty e moderniste; oggi è la parte più moderna della città.
Pomeriggio
In centro visitate il Museo de la Revolución, allestito nell’ex palazzo presidenziale, dove - a fianco di armi e manufatti - ci sono molte foto dell’evento storico in cui sono ritratti Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e gli altri leader della rivoluzione cubana. Per restare sul tema,
raggiungete in taxi la sterminata Plaza de la Revolutión, quella degli interminabili discorsi di Fidel Castro: è dominata dal più elegante monumento a Che Guevara, il cui volto è stilizzato col ferro sopra la scritta ’Hasta la victoria siempre’.
Tramonto
Passeggiate lungo il canale, in riva alla baia - tra il rientro delle navi e i baci degli innamorati – per capire quanto è romantica Cuba. Poi tornate a Habana Vieja e a metà di calle Obispo fate una tappa al Café de Paris, dove fin dal pomeriggio si alternano band di tutti i generi caraibici. Per l’aperitivo andate a bere un daiquirì (due parti di rum, una di succo di lime e sciroppo di zucchero) al Floridita, a capo del bancone del bar c’è lo sgabello di Hemingway, per il quale il Floridita .
Cena
La Guarida (calle Concordia 418) è uno dei migliori paladares (cucine in case private) in un palazzo surreale, usato anche come scenografia di film: menu creoli con a scelta pollo, maiale, pesce o aragosta.
Hai mai visto una partita di calcio a Cuba, allo stadio se vanno 1000 paganti e un miracolo, vai vedere la pelota più o meno è tutto esaurito, zio poporco
RispondiEliminaPaganti è una parola grossa....ma molto
EliminaAndrea M.
Lo sai che Aleardo patisce l'argomento quattrini...:-)
EliminaRicorderai quando nel gruppo fece le pulci alla duena che oso' chiedergli 2 cuc per il desajuno...
Oggi, a La Habana le case con cui collaboriamo per meno di 5 cuc neanche affrontano l'argomento.
Peccato che alla tele si vedano gli stadi della pelota vuoti per tre quarti...
RispondiEliminaA testimonianza di ciò che dico e penso da sempre e cioè che la bellezza dell'isla è fatta di piccole cose e sensazioni ricordo una caldissima sera di aprile, credo fosse il 2 aprile del 2009 , ero col mio amico Pedro , botero con fisicità a metà tra Tomas Milian e l'attore riccioluto porno della 100x100(non ricordo il nome), la sua compagna bionda e appariscente , la mia futura moglie, eravamo al har del pernik ad holguin di ritorno da una notte al cabaret , l'Argentina di Maradona aveva perso 6-1 inBolivia e lui cercava di spiegarmi in ogni modo e con piena convinzione gli errori fatti da Diego nel mettere la squadra in campo...né è passata di acqua sotto i ponti..Lei non è più la mia lei, Pedro fa il mantenuto di una canadese a Montreal o giù di li , la bionda chissà , io sono più vecchio etc etc ...una sola cosa non è cambiata evidentemente:non vogliono imparare niente da nessuno, neanche ascoltare sanno tutto e si credono piu furbi , non credo Cuba sfornera' mai un campione né una nazionale decente perché. ....come scrivi? ...ah già 'el cubano ne llega se pasa...'...nel calcio e nella vita
RispondiEliminaBuona domenica a tutti
Andrea M.
Il vantaggio, oggi, dopo tanti anni, e' che sappiamo che sono cosi'...
EliminaSapere chi si ha davanti e' sempre un grande vantaggio, in ogni campo della vita.
Ci deve essere qualcosa nel mondo che mi sfugge.
RispondiEliminaLedezma, fugge dal Venezuela, inseguito da un mandato di cattura ma viene accolto in Spagna....
La stessa Spagna chiede che il suo mandato di cattura per il presidente catalano venga messo in atto dal governo belga, paese dove il presidente catalano si trova.....
Qualcosa non quadra...
Torino (4-3-3): Sirigu; De Silvestri, N’Koulou, Burdisso, Ansaldi; Rincon, Valdifiori, Baselli; Iago Falque, Belotti, Ljajic. All. Mihajlovic
RispondiEliminaChievo (4-3-1-2): Sorrentino; Cacciatore, Cesar, Tomovic, Gobbi; Castro, Radovanovic, Hetemaj; Birsa; Inglese, Meggiorini. All. Maran
0-1 Cominciamo bene.....
RispondiEliminaGooooooollll Baselli!
RispondiEliminaGallo non sta in piedi, perche' fargli tirare il rigore quando hai lo Zingaro e Yago?
RispondiEliminaAltri punti buttati nel cesso.
RispondiEliminaCredo che sara' un altro campionato da 8/9 posto, altro che Europa.