sabato 28 novembre 2020

DIEGO, CHAVEZ E GLI ALTRI

Secondo ed ultimo pezzo sulla morte di Diego Maradona, un doveroso omaggio personale e di questo blog al piu' grande calciatore (non solo...) che abbia mai calcato un campo di calcio. Nel pezzo precedente vi ho parlato del rapporto fra El Pibe e Cuba, in special modo con Fidel e di tutto il processo di disintossicazione che effettuo' sull'isola nell'anno 2000. Oggi parliamo di lui e dei grandi leader latino americani con cui ha condiviso molti momenti importanti per il continente. Dopo Fidel il leader con cui lego' di piu' fu sicuramente Hugo Chavez, il rapporto era diverso rispetto a quello con Fidel che Diego considerava un secondo padre, ma ugualmente intenso. Del resto nel 2000 Fidel era over 70, aveva tutto il carisma del Padre Nobile mentre Chavez era nel pieno del suo percorso storico, credo fosse normale che gli approcci siano stati differenti. Chavez ad esempio non era un grande amante della pelota che considerava uno sport yankee, quindi si accosto' al calcio, anche grazie a Diego, piu' facilmente. Chavez, con l'aiuto fattivo di Maradona investi' molto denaro nella costruzione di campi da calcio nel paese per i bambini meno fortunati. In uno storico comizio del 2009 Diego si presento' alla destra di Chavez con una maglietta “Con Chavez si allo sport”. Forse gli incontri fra i due sono meno documentati rispetto a quelli con Fidel ma Diego ando' varie volte in Venezuela tanto che nel 2010 Chavez gli fece una sorpresa presentandosi senza preavviso durante una conferenza stampa, dopo la morte del leader Maradona ha visitato la sua tomba insieme a Maduro. Di Chavez diceva;”Ha liberato il Sudamerica dalle grinfie degli Stati Uniti, ci ha presi per mano e ci ha fatto alzare la testa, rendendoci orgogliosi di essere latini e camminare da soli”. Lo scorso anno, mentre Trump minacciava di invadere militarmente il Venezuela Maradona disse; “Saremo Chavisti fino alla morte, quando Maduro me lo ordinera' combattero' come un soldato per un Venezuela libero, contro ogni imperialismo e contro chi vuole toglierci la nostra bandiera, la cosa piu' sacra che abbiamo”. Ha sotenuto Djilma e Lula in Brasile, Ortega in Nicaragua lo ha insignito dell'Ordine Sandinista, ha sostenuto la Kirchner nelle elezioni argentine criticando a muso duro quell'incapace di Macri. Quando Nestor Kirchner mori' si presento' alla Casa Rosada alle esequie con Evo Morales l'allora presidente boliviano con cui aveva giocato una partita di calcio in cui partecipo' anche Ahmadinejad al quale Diego regalo' la sua maglia n.10. Amava l'idea antiamericana dell'Iran, il gesto fece scoppiare un vespaio di polemiche in tutto il mondo con la comunita' ebraica di Argentina che pretese le scuse dal Pibe, mai pervenute. Era grande amico di Pepe Mujica, l'ex presidente uruguaiano che si taglio' del 90% lo stipendio da capo dello stato e che andava in giro con un vecchio maggiolone ed i sandaletti. Stimava molto Correa ex presidente dell'Ecuador, meno estremista dei suoi colleghi Socialisti, che aveva studiato in Belgio e negli Stati Uniti e per questo, secondo Maradona, aveva una visione piu' allargata dei problemi. Quando venne elettro Bergoglio disse “De ahora en adelante soy el capitan del equipo de Francisco”, Diego considerava il pontefice una sorta di Comunista d'altri tempi, tesi sempre smentita dal Vicario di Dio, anche se chi conosce i filosofi “rossi” ha rivisto tracce di un certo passato “mancino” del Papa, non a caso odiato da tutta quella frangia conservatrice che pervade parte della chiesa. Gia' nel 1992 Maradona espresse la volonta' di lottare per il popolo Palestinese, spesso lo si vedeva anche in simposi importanti girare con su scritto nella maglietta “Viva Palestina!”. Due anni fa e' stato vicinissimo ad essere allenatore della nazionale palestinese, gratis, ma poi non se ne fece piu' nulla. Maradona e' stato uno che ha spostato gli equilibri geopolitici, come lui solo in ambito sportivo Muhammad Ali'. Non a caso Diego riteneva Ali' uno dei piu' grandi uomini che abbiano calcato questa terra. Essere di sinistra per lui e' stato molto di piu' di un tatuaggio del Che o di Fidel, era una militanza convinta, appassionata, pagata alcune volte con l'isolamento. Evo in questi giorni ha detto;” E' con un dolore all'anima che ho saputo della morte di mio fratello Diego, una persona che lottava per gli umili, grande amico della Bolivia”. Lula;”La sua intensita' nella vita ed il suo impegno per la sovranita' del Sudamerica hanno marcato la nostra epoca”.

Diario DI BORDO

29/11/2020

16 commenti:

  1. Il re è morto, abbasso il re. Nella Repubblica Indipendente di Villa Fiorito l’unica libertà è andarsene, l’unica egualità è la povertà, l’unica fraternità è la gang. E l’unico murale dedicato a re Maradona è scontato, pittato secoli fa sulla casetta natale al 523 di strada Azamor, zona di Lanus: la testa capelluta che riempie il cortiletto, dove il divino mosse i primi piedini, i tifosi pellegrini che addobbano il cancello di cuoricini («la tua vecchia scuola Ep63») e fotomontaggi («nessuno ti eguaglierà») e magliette blu col 5 del Boca de Fiorito. Un santuario alla bell’e buona ad uso tifosi, in un deserto che non ha nemmeno la sua degna cattedrale. Non ci sono striscioni per le vie del quartiere, bandiere a lutto alle finestre, spray commossi sui muri scalcinati, qui l’Argentina non piange come all’Obelisco, a Rosario, negli studi tv. Nada de nada.
    C’è un certo Cristian Montes in canotta arancio e ciabatte che s’offre alla stampa come vicino affranto. O un ex calciatore del Cordoba, «mi chiamo Matias Rodríguez e ho fatto 600 km per essere accanto al mio eroe», che veglia un po’ e ciao, poi se ne torna subito a casa. Mitomani che s’inginocchiano. Cantanti che intonano inascoltabili funiculì-funiculà in spagnolo. Poeti che lasciano odi a penna su carta, «nascesti a Lanus umile come Evita/ col tuo piede fosti l’artista…».

    Dalle case a pollaio tutt’intorno, solo silenzio. Occhi torvi. Qualche sassata sulle troupe. Una macchina della polizia controlla che nessuno scleri, o magari si freghi le telecamere: «Oggi Villa Fiorito è il centro del mondo, ci siamo noi e vi lasciano stare. Ma se tornate fra due mesi, prima dovete chiedere il permesso ai clan». Il re è morto, viva noi: la Mano de Dios non ci ha dato neanche un mignolo delle sue fortune, dicono i capibanda, e allora perché mai la repubblica indipendente di Villa Fiorito, come la chiama il rapper Martín Spagnolo, per i ragazzini un idolo locale più di Maradona, perché mai la povera gente di strada Azamor dovrebbe piangere un sovrano che non ha mai avuto?

    Vedi Villa Fiorito e capisci Diego che si sentiva di casa a Gaza o a Soweto. Una striscia di rabbia, un apartheid di miseria nera. Le case senza fogne, le strade senza luce. Le macchine più lustre delle scarpe. L’asfalto qua e là, e solo per gentile concessione di qualche benefattore. La spazzatura, l’unico oro per i pibe. Il vecchio Iginio Lima, 88 anni, non rammenta la lanugine del Pelusa — «È una vita che me lo chiedono, ma come faccio, allora a correre in queste vie avevamo più bambini che gatti!» —, però si ricorda bene di quando non c’era l’acqua potabile e toccava pure ai bimbi, e pure a Maradona, prendere le taniche e andare a riempirle ai pozzi d’Ingeniero Budge. Oggi, molti di quei piccoli fanno i corrieri della droga nei quartieri ricchi di Buenos Aires, oltre il rio e le cataste d’auto rottamate.

    Uno solo è corso in altri campi: «Se Dieguito non fosse nato qui, Villa Fiorito non sarebbe nulla», ne va fiera Gloria Cristaldo, dirimpettaia del 523. Anche se qui non l’ha più visto nessuno: a 15 anni era già una promessa delle primavere, a 18 passò per l’Azamor e trascinò con sé papà, mamma, sorelle, cognati, tutt’e venti pigiati in un appartamento nuovo di zecca, tutti via da Villa Fiorito e da quella povertà e dalle risse di strada.

    «Non è vero che Diego s’era dimenticato di noi», lo difende il sindaco, ed elenca il bendidio consegnato ad agosto in pieno lockdown: «Una volta ha visto com’era conciato il campetto e s’è arrabbiato: “I bambini non possono giocare in un posto simile! È una vergogna!”. Poi quest’estate ha mandato Jana, la figlia, a consegnarci 1.300 chili di cibo, duemila mascherine, 500 litri d’alcol in gel, 200 kit per sanificare le case, guanti, attrezzature sportive…». Non è venuto di persona? «Stava già male. Era anche in quarantena Covid. S’è collegato via smartphone dalla sua villa di Brandsen».

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  2. LUNGO ARTICOLO DEL CLARIN

    Diego Armando Maradona murió este miércoles 25 de noviembre de 2020 como consecuencia de una insuficiencia cardíaca aguda, que le generó un edema de pulmón, en el barrio San Andrés, en el partido bonaerense de Tigre, donde se había instalado días atrás luego de la operación en la cabeza a la que fue sometido por un hematoma subdural. El 30 de octubre había cumplido 60 años.
    Clarín confirmó su fallecimiento en una primicia mundial. Maradona se descompensó mientras dormía y alrededor de las 11.30, cuando fueron a despertarlo, ya no reaccionó a los intentos de reanimación, indicó la Fiscalía General de San Isidro en base a los testimonios tomados en su entorno.
    La misma fuente detalló que la última vez que lo vieron con vida fue a las 23 horas del martes. El campeón mundial en México 1986 había sido operado de un coágulo en la cabeza a principios de noviembre.
    Según el resultado preliminar de la autopsia difundido en la misma noche de ese miércoles, sufrió una "insuficiencia cardíaca aguda, en un paciente con una miocardiopatía dilatada, e insuficiencia cardíaca congestiva crónica que generó edema agudo de pulmón".
    En los últimos días, su familia y entorno habían notado a Maradona "muy ansioso y nervioso", por lo que se había reflotado la idea de trasladarlo a Cuba para su rehabilitación, donde ya había pasado unos años luchando contra su adicción a la cocaína.
    La autopsia se realizó entre las 19.30 y las 22 en el Hospital de San Fernando. Minutos antes de las 23, una ambulancia con el cuerpo de Maradona dejó ese lugar en la zona Norte del Conurbano y lo trasladó con custodia policial hasta una funeraria del barrio porteño de La Paternal.
    Durante el extenso recorrido, muchos vecinos salieron a las calles para despedir al ídolo con aplausos. Lo mismo hicieron automovilistas que se detuvieron en las banquinas de la autopista y de la General Paz.
    Al mismo tiempo, el presidente Alberto Fernández decidió decretar tres días de duelo nacional a partir de este mismo miércoles.
    Los restos del Diez llegaron a la casa velatoria Tres Arroyos cerca de la medianoche, en medio de una masiva presencia de vecinos e hinchas que lo esperaba con cantos y clima de cancha.
    Había muchos seguidores de Argentinos Juniors con sus camisetas puestas y se registraron forcejeos y momentos de tensión con los policías que le abrieron paso a la unidad de traslado entre la gente.

    El acondicionamiento del cuerpo en la funeraria duró menos de una hora. Con la misma ambulancia, el féretro fue llevado hasta la Casa Rosada, adonde llegó alrededor de la 1.30 de la madrugada del jueves para el adiós final.

    La primera parte del velatorio, reservada para familiares y amigos, comenzó de inmediato. Claudia Villafañe y sus hijas Dalma y Gianinna fueron de las primeras en arribar a la explanada de Casa de Gobierno. Poco después se los vio a Sergio Goycochea, varios campeones del mundo en México 86, Guillermo Cóppola y otros allegados.

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  3. Mientras tanto, en Plaza de Mayo una multitud había iniciado una larga vigilia hasta la apertura al público del velatorio, prevista para las 6 de la mañana. La barra de Boca se hizo presente con bombos, cantos y fuegos artificiales. Varios integrantes de La Doce incluso se subieron al Monumento al General Belgrano y colgaron del mismo banderas xeneizes.

    Si bien en un momento había trascendido que la despedida al ídolo en la Casa Rosada podía prolongarse durante 48 horas, la familia se mantuvo firme en su postura de tener una ceremonia más corta, con un horario inicial de finalización de las 16 del jueves.

    Sin embargo, con el correr de las horas, quedó en evidencia que el tiempo no iba a alcanzar para que los miles y miles de fanáticos que llegaron hasta la Casa de Gobierno pudieran despedir a su ídolo. Por eso, en un primer momento se acordó una extensión de velorio hasta las 19 horas. Pero la tensión creciente derivó en serios incidentes que llegaron incluso dentro de la Rosada, luego de que un número importante de personas superara el deficiente operativo policial e ingresara sin control.

    A raíz de eso, y luego de momentos inéditos dentro mismo de la sede gubernamental del gobierno argentino, la familia de Maradona y las autoridades decidieron dar por finalizada la ceremonia.

    Así, a las 17:42 del jueves 26 de noviembre, el féretro salió de la Casa Rosada para iniciar una caravana multitudinaria hacia el cementerio de la localidad bonaerense de Bella Vista. Exactamente una hora y 18 minutos tardó en llegar al lugar de descanso final de quien fuera el futbolista más importante de toda la historia.

    Fue íntimo y silencioso el entierro de Maradona. Y fue, de todos los momentos que sucedieron desde que se conoció su fallecimiento, el primero en paz. Estuvieron sus familiares y sus amigos de siempre. El féretro fue llevado hasta su morada final por dos de las hijas del ídolo, Dalma y Jana; su hermano Lalo; su sobrino Daniel López Maradona y Guillermo Coppola. Entre otros integrantes de su círculo más cercano, también lo acompañaron Gianinna y Claudia Villafañe, a quien se la vio abrazar a una de las hermanas del Diez. También se lo vio a Sergio Berni, ministro de Seguridad bonaerense, cercano a Verónica Ojeda, ex pareja de Diego.

    Horas y horas de homenajes
    Las homenajes a Maradona habían comenzado por la tarde del miércoles. apenas un par de horas después de que se conociera la triste noticia. Miles de hinchas se congregaron el miércoles en la zona de La Boca, el Obelisco, la cancha de Argentinos Juniors, en La Paternal, y en los alrededores del barrio privado San Andrés de Tigre, donde murió Maradona.

    La cita del “pueblo maradoniano” para dar el último adiós al mejor jugador del mundo fue a las 18 en el Obelisco y se difundió a través de las redes sociales.

    En la cancha de Boca Juniors, apenas se conoció la noticia de la muerte de Maradona, los hinchas armaron un santuario con flores y velas en la puerta del estadio. El club difundió en horas de la noche una imagen de la Bombonera a oscuras con el palco que habitualmente usaba el Diez como único punto iluminado.

    Además, una gran cantidad de simpatizantes de Argentinos Juniors se acercaron al estadio Diego Maradona para dejar flores en su memoria.

    En Villa Fiorito, lugar donde creció el Diez, se juntaron muchos vecinos espontáneamente para compartir sus vivencias y cantar por Diego. Mientras que en Rosario, los hinchas de Newell's se acercaron al Estadio Marcelo Bielsa con flores, carteles y mensajes en homenaje a Diego como: "Gracias Diego"; "Gracias D10S"; "Simplemente gracias Diego".

    En tanto en La Plata, los hinchas de Gimnasia se autoconvocaron en el Bosque platense y también lo transformaron en un santuario con fotos, banderas y velas para inmortalizar la figura del Diez.

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  4. Una historia sin igual
    Y un día ocurrió. Un impacto mundial. Una noticia que marca una bisagra en la historia. La sentencia que varias veces se escribió pero había sido gambeteada por el destino ahora es parte de la triste realidad: murió Diego Armando Maradona.

    Villa Fiorito fue el punto de partida. Y desde allí, desde ese rincón postergado de la zona sur del Conurbano bonaerense se explican muchos de los condimentos que tuvo el combo con el que convivió Maradona. Una vida televisada desde aquel primer mensaje a cámara en un potrero en el que un nene decía soñar con jugar en la Selección. Un salto al vacío sin paracaídas. Una montaña rusa constante con subidas empinadas y caídas abruptas.

    Nadie le dio a Diego las reglas del juego. Nadie le dio a su entorno (un concepto tan naturalizado como abstracto y cambiante a la lo largo de su vida) el manual de instrucciones. Nadie tuvo el joystick para poder manejar los destinos de un hombre que con los mismos pies que pisaba el barro alcanzó a tocar el cielo.

    Quizá su mayor coherencia haya sido la de ser auténtico en sus contradicciones. La de no dejar de ser Maradona ni cuando ni siquiera él podía aguantarse. La de abrir su vida de par en par y en esa caja de sorpresas ir desnudando gran parte de la idiosincrasia argentina. Maradona es los dos espejos: aquel en el que resulta placentero mirarnos y el otro, el que nos avergüenza.

    A diferencia del común de los mortales, Diego nunca pudo ocultar ninguno de los espejos.

    Es el Cebollita que solo tenía un pantalón de corderoy y es el hombre de las camisas brillantes y la colección de relojes lujosos. Es el que le hace cuatro goles a un arquero que intenta desafiarlo y al mismo tiempo el entrenador que intenta chicanear a los alemanes y termina humillado. Es el que se va bañado de gloria del estadio Azteca y el que sale de la mano de una enfermera en Estados Unidos.

    Es el que arenga, el que agita, el que levanta, el que motiva. El que tomaba un avión desde cualquier punto del mundo para venir a jugar con la camiseta de la Selección. El del mechón rubio y el que estaciona el camión Scania en un country. Es el gordo que pasa el tiempo jugando al golf en Cuba y el flaco de La Noche del Diez. El que vuelve de la muerte en Punta del Este.

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  5. Es el novio de Claudia y es también el hombre acusado de violencia de género. Es el adicto en constante lucha. El que canta un tango y baila cumbia. El que se planta ante la FIFA o le dice al Papa que venda el oro del Vaticano. El que fue reconociendo hijos como quien trata de emparchar agujeros de su vida.

    Un icono del neoliberalismo noventoso y el que se subió a un tren para ponerse cara a cara contra Bush y ser bandera del progresismo latinoamericano. Es cada tatuaje que tiene en su piel, el Che, Dalma, Gianinna, Fidel, Benja… Es el hombre que abraza a la Copa del Mundo, el que putea cuando los italianos insultan nuestro himno y el que le saca una sonrisa a los héroes de Malvinas con un partido digno de una ficción, una pieza de literatura, una obra de arte.

    Porque si hubiera que elegir un solo partido sería ese. Porque no existió ni existirá un tramo de la vida más maradoneano que esos cuatro minutos que transcurrieron entre los dos goles que hizo el 22 de junio de 1986 contra los ingleses. El mejor resumen de su vida, de su estilo, de lo que fue capaz de crear. Pintó su obra cumbre en el mejor marco posible. Le dijo al mundo quién es Diego Armando Maradona. El tramposo y el mágico, el que es capaz de engañar a todos y sacar una mano pícara y el que enseguida se supera con la partitura de todos los tiempos.

    Barrilete cósmico. Y la pelota no se mancha. Y las piernas cortadas. Y que la sigan chupando. Y la tortuga que se escapa. Y el jarrón en el departamento de Caballito, el rifle de aire comprimido contra la prensa, la Ferrari negra que descartó porque no tenía estéreo, la mafia napolitana y toda una ciudad que elige vivir en pausa, rendida a su Dios. Es el de las canciones, el de los documentales a carne viva y las biografías siempre desactualizadas. El que levanta el teléfono y llama cuando menos lo esperás y más lo necesitás. El que jugó partidos a beneficio sin que nadie se enterara. El que pasa del amor al odio con Cyterszpiler, con Coppola o con Morla. El que siempre vuelve a sus orígenes y le presta más atención a los que menos tienen.

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  6. Es el abuelo baboso y el papá inabordable.

    Es antes que todo y por sobre todas las cosas el hijo de Doña Tota y de Don Diego.

    Y Maradona es en presente pese a que de los que mueren haya que escribir en pasado. Es el que en Dubai se codeaba con jeques y contratos millonarios y el que en Culiacán y con 40 grados a la sombra pedía un guiso a domicilio. El que internaron en un neuropsiquiátrico. El que pudo dejar la cocaína. El que hizo jueguitos en Harvard. Es el que como entrenador de Gimnasia vivió un postergado homenaje del fútbol argentino. Aquel que había dirigido a Racing y a Mandiyú no era este último Diego de las rodillas chuecas, las palabras estiradas y las emociones brotando sin filtro.

    Es también Maradona el hombre que se fue apagando. Se resquebrajó su cuerpo y empezó a sacar a la luz tantos años de castigo físico, de desbordes, de excesos, de patadas, de infiltraciones, de viajes, de adicciones, de subibajas con su peso, de andar por los extremos sin red de contención.

    Y el alma se fue apagando al compás del cuerpo. En el último tiempo ya no quería ser Maradona y ya no podía ser un hombre normal. Ya nada lo motivaba. Ya no servía el paliativo de los antidepresivos ni las pastillas para dormir. Y la combinación con alcohol aceleraba la cinta. Cada vez menos cosas encendían su motor: ni el dinero, ni la fama, ni el trabajo, ni los amigos, ni la familia, ni las mujeres, ni el fútbol. Perdió su propio joystick. Y perdió el juego.

    Lo llora Fiorito, escenografía inicial de esta historia de película y pieza fundacional para comprender al personaje. Lo lloran los Cebollitas donde se animó a soñar en grande. Lo llora Argentinos Juniors donde no solo es nombre del estadio sino el mejor ejemplar de un molde que genera orgullo. Lo llora Boca y toda la pasión que unió a un vínculo que fue mutando pero conservó el amor genuino. Lo llora Nápoles, su altar maravilloso en el que con una pelota cambió la vida de una ciudad para siempre. Lo lloran también Sevilla, Barcelona y Newell’s, que infla el pecho por haberlo cobijado.
    Y lo llora la Selección porque nadie defendió los colores celeste y blanco como él. En definitiva, lo llora el país entero y el mundo.

    Entre tantas cosas que hizo en su vida, Maradona hizo una particularmente exótica: se entrevistó a sí mismo. El Diego de saco le preguntó al de remera de qué se arrepentía. “De no haber disfrutado del crecimiento de las nenas, de haber faltado a fiestas de las nenas… Me arrepiento de haber hecho sufrir a mi vieja, mi viejo, mis hermanos, a los que me quieren. No haber podido dar el 100 por ciento en el fútbol porque yo con la cocaína daba ventajas. Yo no saqué ventaja, yo di ventaja”, se contestó en una sesión de terapia con 40 puntos de rating.

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    El día que Diego Maradona se entrevistó a sí mismo
    En ese mismo montaje realizado en 2005 en su programa “La noche del Diez”, el Diego de traje le propuso al de remera que deje unas palabras para cuando a Diego le llegue el día de su muerte. “Uhh, ¿qué le diría?”, piensa. Y define: “Gracias por haber jugado al fútbol, gracias por haber jugado al fútbol, porque es el deporte que me dio más alegría, más libertad, es como tocar el cielo con las manos. Gracias a la pelota. Sí, pondría una lápida que diga: gracias a la pelota”.

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  7. Questo pezzo è stato pubblicato in INTOPIC CUBA
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  8. Il programma di dicembre è stato pubblicato in INTOPIC CUBA
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  9. hola! politicamente si è sempre schierato. Stupenda la foto de la habana, di solito la seconda vacanza la facevo in questo periodo. chao Enrico

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  10. Nel 2019 in questi giorni partivo per il quarto viaggio dell'anno...
    Torneremo a viaggiare!💪👍

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  11. lunedì 30 marzo 2015
    Diego Maradona, De zurda, Telesur: alcune riflessioni.

    ALESSANDRO ZARLATTI
    BLOG IL BELLO DELL'AVANA
    La nuova trasmissione De Zurda e quello che resta di Maradona
    Telesur è una delle più belle televisioni del pianeta. Ti fa pensare che la tv possa anche non essere un mezzo obbligatoriamente idiota. A volte basta svincolarlo da un'idea di mercatino dove vendere monnezza e piazzare una zoccola seminuda per attrarre consumatori e il gioco è fatto. Nella programmazione di Telesur la trasmissione di gran lunga migliore sotto vari punti di vista (estetico, antropologico, medico e narcotico) è De zurda. De zurda (letteralmente "di mancina" alludendo alla gamba e alla posizione politica) è una trasmissione calcistica che parla di calcio latinoamericano in prevalenza e di calcio più in generale attraverso la pimpante conduzione di Diego Maradona e del giornalista Victor Hugo qualcosa.
    Andiamo indietro di sei mesi circa. Nasce De zurda in occasione dei mondiali di calcio di Brasile 2014. Un Diego svuotato in tutta fretta di grassi polinsaturi in qualche clinica svizzera, invita in studio una serie di ceffi amici suoi conosciuti nel corso della carriera, come noto votata alla sobrietà, e rievoca vicende mostruose accennando solo a tratti a buchi neri che si intuiscono profondissimi. Passano personaggi del calibro di Stoichkov, Careca, Rivelinho, Valderrama, Romario, altri latinoamericani sconosciuti ai più, forse il suo carrozziere, fannulloni, parrucchieri, falliti. Ogni tanto qualche scheggia impazzita come De Piero che sembra Don Mazzi nel centro dell'inferno e poi di nuovo compari suoi. Lo schema è sempre lo stesso: lodi senza ragione all'ospite; rievocazione di qualcosa di inedito che avrebbe fatto meglio a rimanerlo; momenti di commozione chimica; abbracci interminabili fuori copione; Victor Hugo impietrito ed appeso ad un sorriso che lo tiene in vita; nero; sipario; altro ospite. Ovviamente non ho perso una puntata. Sembrava una telecamera nascosta sul salotto di casa Cutolo, un misto tra il Processo del lunedì ed il processo al mago Alexander.
    Comunque passano sei mesi. Torna De zurda. Grande attesa. Di nuovo l'accoppiata Diego-Victor Hugo. Ne faranno delle belle. Parte la diretta ed è cambiato tutto. Tutto. Diego in sei mesi sembra essersi mangiato Del Piero a trance, e poi Rivelinho e poi chiunque altro gli abbia chiesto un autografo. Cerca, attraverso improbabili occhiali da sole vasti come un parabrezza della Vespa 50 special, di non far notare la tragedia. In sei mesi un morfing veloce per una transizione da Pippo Santoanastaso ad Aldo Fabrizi. Spennellate di tinta nera rendono la sua testa come il fondale di un teatrino dei burattini siciliano, e poi una trama di rughe legittime gonfie come il collo dei Draghi di Commodo. Diego, cosa cazzo ti è successo? È mai possibile in sei mesi tutto questo? Ma la vera tragedia è altrove. In fondo chi se ne frega dell'aspetto: per decenni abbiamo dovuto considerare normale un tizio lampadato, con la bandana e con due orecchie rammendate come due saltimbocca alla romana e ora non concediamo a Diego un momento di appannamento? Il problema è la testa. Diego non parla più. Diego non pensa più. Biascica come Maurizio Costanzo e dice una parola ogni quarto d'ora. Slegata da quella del quarto d'ora precedente. Un'agonia.
    CONTINUA...

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  12. ... L'empatia totale del pubblico di un intero continente è con Victor Hugo. Non lo augurerei ad Hitler un lavoro del genere. Arrossisce. Ridacchia al nulla. Incalza teneramente con domande che rimangono nel vento, ricuce una logica impossibile. Dentro piange. Non è più una trasmissione. È un padiglione di qualche ospedale maledetto. È la fine di tutto. Ho passato una trasmissione intera ad immaginare insieme a mia figlia cosa si fosse mangiato Diego. Lei diceva che aveva ingoiato tre bombole del gas. Io, una muta di Setter. A un certo punto arriva un pischello guarito dalla leucemia e Diego si alza. Scoppia ovviamente a piangere. Sembra un frigo Ariston trasportato su un carrello a due ruote. Abbraccia il bambino per secondi interminabili. Tutti temono per il bambino. Per primo Victor Hugo che cerca di salvare la creatura dalla morsa infernale. Poi Diego lo libera, si risiede e dice: "Io... io... lui... - verso incomprensibile - noi... è un momento.... - piange -". Poi danno a Diego un pallone da firmare che agguanta come un Auricchio e impiega un altro quarto d'ora per apporre uno scarabocchio. Finisce De zurda e smetto di ridere. Nina torna ogni tanto sul discorso delle bombole del gas. Poi poco a poco si addormenta.
    Io penso nell'ordine: A) che non è una cazzata quella secondo cui i neuroni non si ricreano. B) che veramente con le nostre facoltà e col nostro corpo certe volte facciamo davvero carne da porco in modo indecente al punto che dovrebbero toglierci la potestà su noi stessi C) che lo psichiatra di Diego sta sbagliando tutto. Almeno i dosaggi li sta toppando in pieno. D) che un genio (per Maradona la parola genio è indicata più che per chiunque altro) deve morire presto. Mi dispiace ma Diego doveva morire là, quel giorno di alcuni anni fa quando lo hanno rimesso in vita per miracolo. Non so in quale situazione mostruosa si fosse cacciato ma era la sua situazione, era il suo posto nel mondo, l'ultimo capitolo. Ha fatto poesia col corpo. Ha messo in crisi le leggi della fisica. Ha tirato rigori irripetibili. Ha dato nuovi confini ad un'arte, quella del calcio, spostandone l'orizzonte in un punto così lontano che ci vorranno secoli per avvicinarsi di nuovo da quelle parti. Per i più giovani spero sia chiaro che Messi, Ronaldo e questi bravi giocatori di oggi sono come moscerini di fronte al suo genio straripante. Doveva morire là. E forse, nella sua nebbia interiore di oggi, è lui il primo a saperlo. Secco come un monumento a se stesso, la sua storia incredibile ed assurda. E non questa esposizione quasi impudica, questa specie di accanimento terapeutico che permette a due persone qualunque, e ad altre decine di milioni davanti alla tv, di immaginare un essere umano zavorrato da bombole del gas, da mute di setter ingoiate, di ironizzare su una divinità e, in un certo senso, profanarla.

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  13. Diario di bordo sul blog Guascone
    https://milcofasano.blogspot.com/2020/11/diario-di-bordo-fb_29.html?m=1

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  14. Il video COSE DI CUBA è stato pubblicato in INTOPIC CUBA
    Grazie ai gestori del sito.

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  15. Maradona ha pagato i suoi sbagli. Giuseppe

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