venerdì 27 novembre 2020

DIEGO E CUBA

La notizia della morte di Maradona e' arrivata mercoledi' sera, pur nella sua tragicita', non mi ha sorpreso. Da almeno un paio d'anni me la aspettavo, Diego era sempre piu' incerto nel passo, le parole erano oramai strascicate, decenni di maltrattamenti al suo fisico stavano per chiedere il conto, nulla e' gratis amici miei, alla fine c'e' sempre un prezzo da pagare per le scelte che si fanno. Purtroppo e' arrivato al capolinea, consegnandosi alla vita eterna, entrando nella leggenda, diventando Immortale. Maradona era un grande, grandissimo amico di Cuba, a Cuba deve almeno gli ultimi 20 anni della sua vita, senza Cuba difficilmente sarebbe andato oltre le 4 decadi. Arrivo' con un volo diretto dall'Argentina ad Holguin per essere trasferito a L'Avana, siamo nel gennaio del 2000, aveva 40 anni, si salvo' per il rotto della cuffia da una overdose di cocaina una notte a Punta del Este in Uruguay. Pare che pago' tutto il processo di disintossicazione 15 mila dollari, i maligni sostennero che in Italia o in Spagna avrebbe speso 10 volte tanto ma non credo che la scelta di Cuba fu dettata da ragioni di soldi, a Diego i mezzi economici non sono mai mancati nella vita. Fidel gli fu accanto, mise a sua disposizione le strutture sanitarie cubane che, come abbiamo potuto constatare in questa pandemia, non sono seconde a molti, fu ricoverato presso la clinica Pedrera nella capitale dove passo' diverse settimane in cui il Lider Maximo lo ando' spesso a trovare. Si conoscevano dal 1987 quando Diego ando' a Cuba l'anno dopo la vittoria ai mondiali messicani della sua Argentina, da allora seguirono molti altri viaggi ed altri incontri, il campione si convinse sempre piu' delle idee che Fidel gli manifestava di una America Latina unita, indipendente economicamente e politcamente dagli Stati Uniti. Oltre ai problemi di droga, sicuramente derivati da questa aveva anche seri problemi cardiaci, arrivo' a Cuba imbottito di tranquillanti e con la bocca impastata, con lui arrivarono la moglie, il medico di fiducia, un cardiologo, un neurologo ed il procuratore di allora Coppola. Provoco' una ressa in un aeroporto fatta da cameramen, giornalisti, tifosi, autorita' cubane e polizia, le sue prime parole furono “Un grande abbraccio a tutti i cubani, anche io sono un ribelle”. In quegli anni a Cuba (2000-2005) non si puo' dire che si annoiasse, pare che ci siano almeno 4 Diego Jr che si aggirano nella maggiore delle Antille. Non e' ancora chiaro se li abbia riconosciuti, anche se pare che li incontro' nel 2016 al funerale di Fidel. Anche Pantani nel momento piu' scuro della sua parabola' ando' a Cuba, si conobbero e probabilmente fecero bisboccia insieme. Quando mori' Fidel, lo stesso giorno di Diego...il campione si trovava in Croazia per la finale di Davis di tennis fra Croazia e Argentina, prese il primo volo per l'Avana per salutare un'ultima volta quello che lui piu' volte defini' “Il mio secondo padre”. Dopo aver conosciuto Fidel e Chavez Maradona cambio' molto, da cavallo pazzo divenne militante attivo sempre al fianco dei leader progressisti. Pero' anche Maradona riusci' a creare in Fidel nuovi interessi, prima il Comandante amava solo il baseball e la boxe, proprio grazie a Maradona si appassiono' al calcio, sport a Cuba, sopratutto in quegli anni non popolarissimo. Leggendario il live tweetting durante la Copa America del 2011 dove si vedono Fidel e Chavez guardare insieme una partita di calcio della nazionale venezuelana. Maradona aveva su un braccio tatuata l'immagine del Che, su una gamba quella di Fidel, considerava il suo connazionale argentino un eroe, una figura emblematica dell'umanita'. Durante il summit delle Americhe in Argentina a Mar del Plata, Diego organizzo' un contro summit “Vertice di popoli” dove sali' su un treno partito da Buenos Aires “Expresso del Alba” insieme a Morales, Silvio Rodriguez, Chavez e le madri di palza de mayo, a Mar del Plata lo aspettava Fidel. Non ebbe problemi in quel frangente a definire Bush un assassino e “immondizia umana”, che era solo una parte dell'odio che provava per gli Stati Uniti. Doveva tornare a Cuba per una fase di riabilitazione proprio dopo l'intervento alla testa di un paio di settimane fa, non ha fatto in tempo. Lunedi farò un pezzo dove vi raccontero' il suo rapporto coi leader progressiti che hanno governato l'America Latina in quegli anni, sarebbe stato contento di vedere come piano piano quell'onda Socialista stia tornando.

P. S. Decine di migliaia di persone a salutare El Pibe alla Casa Rosada, semplicemente col pugno chiuso al cielo. Sarebbe piaciuto a Diego.

Diario DI BORDO

27/11/2020

23 commenti:

  1. ALESSANDRO ZARLATTI
    "IL BELLO DELL'AVANA"

    Se le persone, soprattutto i giovani, non hanno compreso la differenza abissale che c'è tra Maradona e i vari Ronaldo, Messi, Ibrahimovich, Zico, Pelè, Platini, ecc., vuol dire che non capiscono un cazzo. Di calcio, ovviamente, ma più in generale della vita. Quelli hanno giocato a calcio, Lui ha fatto arte. Se le persone continuano a salutarlo oggi scrivendo frasi del tipo: "non giudico l'uomo, piango il campione", o "non condivido la sua vita ma era un grandissimo giocatore", vuol dire che non hanno capito bene la cifra artistica di Diego Maradona. Io l'ho visto dal vivo solo una volta in un Roma Napoli del 1986 dove perdemmo uno a zero e dove la mia squadro opponeva a fenomeni come Maradona e Giordano, fuoriclasse del calibro di Manuel Gerolin, Klaus Berggreen e Ciccio Desideri. Insomma, un suicidio. Lui giocò una partita svogliata ma non rinunciò a nascondere la palla per novanta minuti a quella manica di pippe che aveva di fronte e a segnare un gol. Poi l'ho solo adorato. L'ho adorato in una dimensione che trascendeva lo sport. Io non amo il calcio. Io amo la Roma. Io non vedo partite che non siano della Roma perchè il resto mi annoia. Per me il calcio è sublimazione del conflitto e quindi tale definizione del gioco, partorita da Freud se non sbaglio, la prendo maledettamente sul serio. Il calcio è guerra ed è quello che muove milioni di persone. Guerra senza morti né armi ma ne ha tutti gli elementi identificatori e conflittuali. In Italia ancor di più, ecco perché possiamo essere definiti malati di mente. In ogni modo, Maradona sparigliava con tutto. Introduceva in modo definitivo l'elemento artistico. Il genio. Se si scorre la storia della letteratura si scopre che il sacrificio verso il bello prevede quasi sempre un'immersione nelle ombre di noi stessi. Probabilmente un geometra di Voghera per realizzare una planimetria impeccabile non ha bisogno di affondare le mani nella merda, di drogarsi e di macinare puttane come bruscolini. Un artista sì, non sempre ma spesso. È il contrappunto immancabile di chi sceglie (sceglie?) di congelarsi in una fase anale permanente e di pagarne il prezzo. Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmè facevano a gara a chi si drogava di più, a chi scopava in maniera più creativa e sono morti bambini. Edgar Allan Poe era alcolizzato. Chandler pure. Scott Fitzgerald pure. Hemingway pure. Bukowski... di che parliamo. Dickens si nutriva di oppio, Victor Hugo di Hashish e Stevenson amava i cocktail di cocaina e morfina. Sartre scriveva sotto mescalina ed anche Elsa Morante aggiungeva l'Lsd alla sua dieta mediterranea. Alcuni titoli di sue opere portano le tre lettere Lsd (esempio "La sera domenicale") in omaggio al suo passatempo. Stephen King ha scritto "Cujo" non proprio lucidissimo e Shakespeare si faceva le canne. Moccia probabilmente non si droga. Vorrà pur dire qualcosa. In ogni modo, la lista è lunghissima e quelle vite, quell'immancabile stazionamento nei vari gironi dell'ombra di se stessi è parte integrante dell'opera. Non è un "genio nonostante" ma un "genio e basta, con tutti gli effetti collaterali della genialità".
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  2. ... Ecco, e questo che c'entra con Maradona? C'entra totalmente. Lui è stato genio ed artista di altissimo livello e per essere Maradona dovevi essere TUTTO Maradona. Dovevi avere quel clan meraviglioso dei Coppola e del suo manager Cyterszpiler (che se non sbaglio si è tirato di sotto da un quarto piano recentemente), dovevi avere uno stuolo di fratelli impresentabili sempre dietro, un codazzo di papponi e camorristi, numeri a quattro cifre di puttane, figli disseminati per il pianeta come un donatore di sperma, abbigliamenti inverosimili (se non sbaglio si presentò ad una trasferta in Russia, tramortito dopo l'ennesima notte in bianco, su un aereo privato e sbarcò con una pelliccia meravigliosa degna di Andy Wharol o di Rita Pavone), dovevi indossare oro a non finire, orecchini, come un malandrino dei quartieri spagnoli, dovevi essere eccessivo in tutto. Per essere Maradona, per arrivare a certi vertici della bellezza non potevi giocare a Dortmund, dovevi mettere il tuo cesso nel centro di Napoli. Dovevi stare nel ventre più profondo di quella che credo sia la migliore città del mondo, tra la migliore gente del mondo. E poi, per essere Maradona, dovevi essere ricco sfondato (credo lo sia stato) ma stare sempre, essere forse, sempre un poveraccio dentro, con la terra della periferia polverosa di Buenos Aires ancora attaccata alle dita, ineliminabile. Un artista. Di Maradona a Cuba ne so tante e di prima mano che evito di riferire, ma credo di sapere che Fidel lo abbia accolto e protetto perché sapeva bene di accogliere un artista. Lui, colto e amico fraterno di Marquez, lo sapeva. E sapeva bene che gli artisti, quelli veri, sono dei disadattati. Non sanno stare al mondo. Sono la loro arte e poi dei bambini in tutto il resto. Maradona è campato troppo. Doveva morire verso i 45 anni. Questo penso. Tutta la sua vita lo portava là. L'adattamento di un'opera d'arte a due zampe in un contesto che non sia un campo di calcio è impossibile. Maradona commentatore faceva cacare; come allenatore era un disastro (che gliene fregava a lui degli schemi e poi vaglielo un po' a insegnare a un signor nessuno come si fa a dribblare un'intera squadra), come uomo maturo e sereno faceva acqua da tutte le parti. Deve averlo capito anche lui, che stava perdendo tempo, che era morto già prima. Come ogni artista ci ha lasciato un'opera che lo sopravviverà e che avremo tutti ancora negli occhi finché camperemo. Proveremo a raccontarla, ma non sarà facile. Hai fatto bene ad andartene, immenso.

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  3. CALCIOMARADONA E IL FANGO DI ACERRA

    In questi giorni in cui Diego Armando Maradona si è ripreso la scena prima per i suoi 60 anni poi per l’intervento alla testa al quale si è sottoposto, i media si sono soffermati in particolare sul solito lato “vizioso” della sua personalità. Ma Diego è ben altro e in questa storia si capisce molto bene il perché.

    Quando si parla di Diego Armando Maradona, non si riesce proprio più a fare a meno di parlare in primis dei suoi problemi con la droga, noti sicuramente a tutti e per questo in grado di offuscare l’immagine di un campione che ha sempre e comunque sostenuto di non voler essere l’esempio di nessuno.

    Diego era, ed è tuttora, un uomo nel più completo significato della parola. Un uomo che ha sbagliato, come può fare chiunque, ed ha pagato come dovrebbe fare chiunque.

    Tuttavia qui non si vuol procedere a santificare la figura di quello che, almeno per tutta una serie di fattori, è stato in ogni caso il più grande giocatore di tutti i tempi.

    Si vuole invece portare a galla una di quelle storie che non racconta nessuno, o che comunque in pochi tendono a raccontare, proprio perché, altre tematiche, come quella della droga appunto, tendono ad essere un’esca più profittevole per scrittori incauti, per chi si prende cura solamente dell’aspetto superficiale delle cose.

    “Maradona era un drogato” nazionalizza le masse più di un “Maradona era un uomo buono”.

    Quando in realtà Maradona, come tutti, era solo un uomo, nato con un talento particolare in grado di dare al suo cognome una connotazione di grandezza tale da non poter più essere letto in maniera normale.

    Però Diego, che ai tempi era già Maradona nel più ampio significato, aveva qualcosa che, a differenza di tutti gli altri, poteva davvero distinguerlo ed elevarlo ad una figura che oltrepassa il campo da calcio. E non erano i suoi problemi con la droga.

    Così la mente ci riporta, dopo questa ampia premessa, ad un episodio quasi dimenticato, nascosto sotto la polvere del tempo.

    L’inverno era quello del 1985, il primo di Maradona a Napoli. Il primo del più grande nella terra dei più piccoli, di quelli che, alla stregua di ogni processo storico, si sono sempre identificati come i “dimenticati”.

    Diego, che in questo ambiente sembrava aver trovato casa dove metter su leggenda, aveva compreso che Napoli aveva bisogno di lui più di qualsiasi altra cosa, come riscatto di una lotta eterna contro i più potenti.

    Poteva quindi finalmente, dopo l’esperienza fallimentare di Barcellona, dimostrare a tutti il Maradona calciatore e il Maradona uomo.

    La prima occasione gli capitò proprio quell’inverno, il primo.

    Il calciatore Pietro Puzone ha conosciuto un tifoso del Napoli che ha un figlio gravemente malato e a cui non può garantire le giuste cure, il dilemma di come aiutarlo si pone inevitabilmente.
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  4. La soluzione più rapida e plausibile sembra essere una partita di beneficenza a cui però, l’allora presidente Ferlaino, si oppone drasticamente per paura che qualche giocatore del Napoli, trascinato nella lotta salvezza, si possa fare male.

    La voce del fatto arriva all’orecchio di Diego, un orecchio sensibile alle questioni che contano, lo dimostra la sua prima dichiarazione in azzurro: “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”.

    Ferlaino non si smuove, ma Diego, che a Napoli è già, da mesi ormai, l’idolo indiscusso di tutto ciò che è vita, risponde a modo suo: “Che si fottessero i Lloyd di Londra. Questa partita si deve giocare per quel bambino.”.

    Passa qualche giorno, è lunedì e il Napoli ha appena vinto una partita fondamentale contro il Torino, sotto un acquazzone ed un freddo tagliente.

    Il fatto strano è però che, dopo una partita del genere, il Napoli è ancora schierato in campo, non al San Paolo, culla dei sogni azzurri, ma ad Acerra in un campo di patate e pieno di fango.



    Pare che Diego, di tasca sua, pur di giocare, abbia pagato una clausola di dodici milioni di lire alla sua assicurazione.

    Non c’è posto nemmeno per stare in piedi, al campo di Acerra, arriva gente da ogni dove, perché c’è Maradona e perché c’è il Napoli.

    Tra sbuffi di automobili presenti a bordocampo, in un clima surreale, quasi hollywoodiano, Diego Armando Maradona, nonostante l’obiettivo dei fondi da raccogliere sia già stato ampiamente raggiunto, corre, calcia e si dimena per ogni pallone, rischiando anche, in più di una occasione, di lasciarci la gamba.

    Qualcuno, vedendolo così predisposto al sacrificio, gli intimò di tranquillizzarsi, di non rischiare. La sua risposta fu, forse, anche se dimenticata, come questa storia, tra le più significative per dare una definizione del Maradona uomo e giocatore: “Tu non hai capito chi è Maradona, io gioco solo per vincere qualsiasi sia l’avversario”.

    Questa fu la storia di un pomeriggio qualsiasi appartenente ad un calcio lontano, dove, anche un Dio, poteva sporcarsi di fango, in provincia.

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  5. Diario di bordo sul blog Guascone
    https://milcofasano.blogspot.com/2020/11/diario-di-bordo-fb_26.html?m=1

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  6. Questo pezzo è stato pubblicato in INTOPIC CUBA
    Grazie ai gestori del sito.

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  7. Ciao Milco posso condividere ?
    Carlo

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  8. Certo
    Se non riesci visto che su fb sono sotto bloqueo copia incolla

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  9. Grazie chiedo (quasi) sempre per rispetto
    Carlo

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  10. Copio e incollo, visto che los yanki non me lo fanno condividere 😡
    Carlo

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    1. Amico sei su una pagina Rivoluzionaria, non stupirti... 🤠

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  11. Una maglietta del Napoli con il numero 10 è stata depositata sul feretro di Diego Maradona esposto nella Casa Rosada presidenziale. La maglietta, consegnata dall'ambasciata d'Italia a Buenos Aires, è stata collocata sulla bara, vicino a quelle della nazionale argentina, del Boca Juniors e dell'Argentinos Juniors, da una delle figlie di Maradona.

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  12. Il più grande di sempre. Giuseppe

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    1. Le debolezze sono di tutti gli uomini, la grandezza di pochissimi.

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  13. Bel pezzo, però devo dire che al popolo cubano non glie ne fregato niente della morte di Maradona,non so perché.
    Ivan

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    1. Forse perché li avete altri problemi, poi il calcio è seguito soprattutto dai giovani

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  14. Sicuramente è così, quando ho letto la notizia e ho detto:"ragazzi è morto Maradona."
    Mi hanno guardato e continuato a lavorare e così in altre occasioni nessuno (a parte il gobierno)ha menzionato che sia la notizia.
    Ci sono rimasto male sinceramente.
    Ivan

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  15. Vabbe' per noi Maradona è stato tante cose, per loro solo uno amico di Fidel che si è curato a Cuba perché "teneva dinero"

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  16. E anche il Piemonte, che attendeva di diventare arancione fra l’1 e il 3 dicembre (“L’Rt del Piemonte oggi è 0.84 il puntuale, 0.9 il medio, quindi mi aspetto che venga attuato quello che è previsto dal decreto del presidente del Consiglio”, aveva detto in giornata il governatore Alberto Cirio), raggiunge il traguardo in anticipo: da domenica 29 novembre 2020 sarà zona arancione.

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  17. hola! non mi intessa il calcio ma lui è stato uno dei personaggi del secolo. Anche lui fa parte della storia della isla. chao Enrico

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    1. Anche se pare che la sua morte non abbia avuto sull'isola un grande interesse.

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  18. Post sul blog Guascone
    https://milcofasano.blogspot.com/2020/11/ipocrisia.html?m=1

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