Durante il mio ultimo
viaggio ho conosciuto, in modo abbastanza casuale, un tizio che si
era recato a La Habana appositamente per vedere il concerto dei
Rolling Stones l'anno precedente.
Si tratta di un amico di
familia, un pomeriggio ero in casa, il tizio e' passato per un saluto
alla sciura e cosi' ci siamo conosciuti.
Aveva addosso la classica
maglietta nera con la lingua che rappresenta il logo della piu'
famosa e longeva band rock del pianeta.
Mi ha raccontato del
concerto, bellissimo, ma sopratutto si e' soffermato sul fatto che,
non piu' lontano di alcuni lustri fa il rock era a Cuba, se non
proibito (in realta' il divieto di ascoltare la musica rock non e'
mai esistito) sicuramente mal tollerato.
Sono stato a meta' degli
anni 80' in DDR e un Ungheria in, diciamo, visita culturale.
Anche da quelle parti il
rock era visto, dal governo, come musica dannosa per le coscienze
giovanili ma la restrizione era' cosi' labile che tutti se ne
fottevano.
In giovani tedesco
orientali riuscivano a captare le radio ad onde lunghe tedesco
occidentali e ad ascoltare la musica che volevano, mentre i giovani
ungheresi lo facevano tranquillamente alla luce del sole.
Il rock e' una musica di
ribellione contro lo status quo, ci ha accompagnato quando eravamo
giovani incendiari ed e' ancora con noi oggi, che ci siamo ridotti ad
essere pompieri, ricordandoci che, malgrado tutto, dentro al cuore di
alcuni di noi alberga un'anima ancora e sempre ribelle.
Sono passati decenni,
siamo diventati uomini, padri, nonni, zii, ci siamo coperti di
responsabilita' e di impegni da rispettare ma e' sufficiente
ascoltare l'attacco di chitarra di Satisfacion per tornare ad essere
i ragazzi di quegli anni ruggenti.
Quindi perche' una
Revolucion Rebelde avrebbe dovuto temere una musica rivoluzionaria e
ribelle?
Forse perche', dopo le
Rivoluzioni, si deve tornare alla normalita', alla vita di tutti i
giorni.
Dopo le Rivoluzioni sono
mille volte piu' utili e funzionali i Cavour piuttosto che i
Garibaldi, i Fidel piuttosto che i Guevara.
In questi ultimi anni ho
assistito ad una sorta di proliferazione, a Cuba, dei cosiddetti
Rockeros....gente col pelo largo, piena di piercing, coi capelli
colorati, i vestiti logori e una rapporto conflittuale con l'acqua.
I maschi con le pezze al
culo, le ragazze con l'ultimo modello di smartphone, la cosa mi fa
pensare che, in differenti frangenti del percorso giornaliero, il
loro look subisca un drastico cambiamento, ma magari sono io che
penso...male.
Se realmente e' esistita
una restrizione in materia di ascolto di musica rock e il risultato
sono quei 4 sozzoni che vedo bivaccare fuori dal centro culturale
vicino al parque, allora devo dire che chi di dovere ha preso una
grossa cantonata.
Piu' probabilmente posso
pensare che abbia inciso il contesto storico.
Si era verso la fine degli
anni 70', c'era stata la crisi dei missili del 62' che aveva sempre
piu' avvicinato Cuba all'Unione Sovietica, il potente nemico del nord
era diventato il diavolo nelle sue peggiori forme, c'era (e c'e') el
bloqueo, la base di Guantanamo ancora (e ancora oggi) in mano
yankee...forse la musica rock veniva vista come un espressione
culturale di quel paese.
I cubani pero' non
sapevano che anche negli Stati Uniti, negli stati rurali del sud il
Rock veniva visto piu' o meno allo stesso modo, i ragazzi americani
dovevano ascoltarlo di nascosto.
Non sapevano che, per
poter trasmettere musica rock la prima radio libera inglese dovette
affittare una nave, posizionarla al limite esterno delle acque
territoriali britanniche, riempirla coi piu' grandi dj dell'epoca per
fare in modo che i giovani potessero ascoltare quella musica.
C'e' un fantastico film
che racconta la storia.
Non sapevano che nelle
chiese italiane i preti, nelle loro omelie, indicavano la musica rock
come prodotto del demonio e di satanasso in persona.
Quindi il rock non
soltanto a Cuba, o nei paesi Socialisti ha dovuto passare il suo buon
trabajo, ma anche nel nostro opulento e “fantasmagorico” mondo
capitalista.
Marco Zatterin
RispondiEliminaNegare il problema non lo risolverà. Sarà anche inutile dire che è colpa di come si calcola il Pil, che è un complotto delle lobby, delle banche e dei «poteri forti», un diktat dell’asse franco-tedesco, dell’Europa o delle agenzie di rating. Tempo sprecato il demonizzare lo spread e chi si inquieta a vederlo salire. Il debito è fra noi e su di noi, granitico come il macigno che è. Succhia denari che andrebbero investiti in cose buone come ospedali, lavoro e scuole. Ruba futuro al futuro, perché senza soldi non si va lontano. Non ha alcun senso confutarne l’esistenza. Il debito è qui, il debito è ora. E rischia di imbrigliare a lungo ogni legittima ambizione di maggior benessere.
Alla fine del 2017 la voragine accumulata dalla Repubblica Italiana era pari a 2.263.056 milioni, ovvero il 131,8 per cento del Pil. In parole semplici, per ogni 100 euro di valore aggiunto creato in Italia se ne contano 131 e rotti di esposizione verso i creditori: nessuna azienda o famiglia avrebbe una vita economica su cui scommettere in queste condizioni. Brutta storia, anche perché è andata peggio solo un’altra volta dalla nascita dello Stato Italiano nel 1861. Nemmeno la sconfitta di Adua, nel 1897, riuscì a spingere «il macigno» oltre il 130% del Pil e solo dopo il primo conflitto mondiale, fra il 1919 e il 1924, fu superata questa rotonda soglia. È grave, visto che non abbiamo alle spalle il milione e passa di morti seminati dalla Grande Guerra.
L’allarme ricorrente della Banca d’Italia, le parole fresche di Mattarella e Cottarelli, sembrano scontati per molti, ma faticano ad arrivare ai più. Il governatore Ignazio Visco non potrà fare a meno di reiterarle nelle sue considerazioni finali di questa mattina. È un dovere - oltre che un’esigenza -, ricordare che ogni abitante residente nella Penisola porta con sé 37 mila euro di debito, neonati compresi. E che ogni anno spendiamo oltre 60 miliardi per coprire quasi mille miliardi di buco al giorno. Che l’aumento dei tassi è una micidiale gabella taglia-Welfare. E che il debito è per due terzi in mani nazionali, soprattutto banche e ora Banca d’Italia, e per un terzo all’estero.
Davvero? Si, davvero. Senza guardare tanto lontano, ricordiamo che di qui alla fine dell’anno il Tesoro deve collocare poco meno di 200 miliardi di debito. Ogni punto di aumento del prezzo percentuale da pagare per convincere il mercato a comprare i titoli costa circa 2 miliardi in più su base annua. Si svuotano così i forzieri di via XX Settembre e, allo stesso tempo, il clima più nervoso rincara l’accesso al credito delle imprese. È una operazione «perdi-perdi». Che conviene solo a chi specula a breve e contro.
Nel suo saggio sul debito pubblico, lo scozzese David Hume ammonì: «O la nazione distruggerà il debito o il debito distruggerà la nazione». Al punto a cui siamo, la politica che foraggia «la grande menzogna» del debito trascurabile magari farà proseliti, ma non alleggerirà la mostruosa eredità che stiamo lasciando ai nostri figli. Nessuna ricetta economica ci farà stare meglio finché saremo schiacciati sotto un gravame che brucerà l’ossigeno delle famiglie e delle imprese sinché non sarà fatto a pezzi. Possiamo capirlo, e allora accettare di faticare per rimettere le cose a posto. O tenere la testa nella sabbia e dire che è colpa dell’Europa o di chi capita. Scegliendo un alibi senza scopo e rinunciando a una scelta conclusiva, per quanto dolorosa, per concederci di nuovo a un dolore senza fine.
Nel Paese che fu famoso per l’apartheid cade un tabù sportivo epocale: il capitano degli Springboks, la nazionale di rugby del Sudafrica, sarà un nero: Siya Kolisi, terza linea degli Stormers, una delle franchigie del SuperRugby, il campionato per club dell’emisfero australe e del Giappone. Rassie Erasmus, neo-allenatore della nazionale, ha spiegato che «Siya è un grande lavoratore, e si è guadagnato il rispetto di tutti i suoi compagni. Essere capitano degli Springboks è un grande onore, sono certo che Siya sarà all’altezza del ruolo».
RispondiEliminaKolisi, 26 anni, 28 presenze con la maglia verde dei “Bokke”, a partire dall’incontro del prossimo mese contro l’Inghilterra nei test match estivi prenderà il posto dell’infortunato Warren Whiteley, mentre per il test match di sabato prossimo contro il Galles a Washington il capitano sarà, una tantum, Pieter-Steph du Toit.
Di Kolisi sarebbe fiero Nelson Mandela, il padre del nuovo Sudafrica che nei Mondiali del 1995 “sdoganò” il rugby - che aveva fama di sport per “soli bianchi”, e legato all’establishment razzista - come disciplina unificante di tutto il “Paese Arcobaleno”, legittimando la fine del bando internazionale. Una storia raccontata anche dal film “Invictus”, girato da Clint Eastwood e nel quale Matt Damon interpreta il capitano Francois Pienaar.
Di quella squadra, che vinse la Coppa in una leggendaria finale contro gli All Blacks neozelandesi, giocava il coloured Chester Williams, il terzo giocatore non bianco a indossare la maglia degli Springbok dopo Errol Tobias e Avril Williams, suo zio.
Negli anni più recenti, segnati anche dalle polemiche sulle “quote nere” che la politica ha spesso voluto imporre alla dirigenza sportiva, alcuni fuoriclasse di colore hanno fatto la storia degli Springboks: in particolare Brian Habana, recordman per mete segnate in un Mondiale (15 nel 2007 quando il Sudafrica vinse il suo secondo titolo), e JP Pietersen, oltre al famoso pilone Tendai Mtawarira, detto “The Beast” per la sua forza e aggressività.
Mahlatse Chiliboy Ralepelle è stato il primo nero capitano del Sudafrica under 21, Pieter De Villiers il primo ct nero degli Springboks, ora con Kolisi cade un’altra barriera simbolica.
Ciao caro,scrivo poco ma ti leggo tutti i giorni. Tra le poche rock band che hanno potuto suonare a Cuba si annoverano i Rage against the machine,gli Audioslave e i Manic street preachers,ovvero tre gruppi non proprio "pro sistema". Tanto per capirci sulla chitarra di Tom Morello (grande chitarrista dei RATM) c'è sempre in bella vista una falce e martello...
RispondiEliminaIl problema come raccontava Zucchero è che ti devi portare da fuori pure le triple per la corrente.
RispondiEliminaOra i ragazzi ascoltano i capelloni che urlano al microfono. Giuseppe
RispondiEliminaQuelli che emettono suoni gutturali?
RispondiEliminaTerrificanti.
RispondiEliminaTempesta Alberto, 4 morti a Cuba
(ANSA) - L'AVANA, 30 MAG - Le continue forti piogge che si sono abbattute in questi giorni nella zona occidentale e centrale di Cuba hanno causato finora quattro morti, l'evacuazione di 16mila persone e danni alle case e ai campi agricoli. Secondo le autorità, la crisi sarebbe dovuta ai cambiamenti climatici. "Il Paese uscirà vittorioso da questa situazione difficile, che ancora una volta dimostra la capacità di reazione e di risposta dei cubani a questi eventi estremi che sono un prodotto del cambiamento climatico e che sono sempre più frequenti e intensi", ha dichiarato alla stampa locale il presidente cubano Miguel Diaz Canel. "Abbiamo registrato quattro vittime, tutte dovute a imprudenza", ha affermato il ministro dell'Interno Julio César Gandarilla nel corso di una riunione guidata da Díaz-Canel per valutare i danni e decidere le azioni da compiere per affrontare la crisi.
Ma a proposito di Rock a Cuba, quello locale di nome Rockphenia a l’Avanadi cui ho letto tempo fa Che fine ha fatto ? Non credo abbia mai aperto Mat.
RispondiEliminaNon ha mai aperto.
RispondiEliminaIl tizio ha cercato senza successo di raccogliere fondi in web.
Fondi via web per Cuba? Ma cos’é uno scherzo? :-) incredibile a volte l’inventiva della gente . Mat.
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EliminaVero chissà che fine ha fatto?
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