ALESSANDRO ZARLATTI
Riprendo il tema degli itinerari
cittadini. Di quelli inusuali che pochi conoscono. Sono percorsi personali,
l'ho già detto, che non hanno pretese di essere belli senza discussione. Anzi,
la discussione la provocano. Quando, la volta scorsa, ho parlato del cimitero
di Colon, c'è chi mi ha affrontato col crocifisso lanciandomi spruzzi di acqua
santa ed anatemi. In ogni modo, stavolta mi piacerebbe parlare della costa
della città. E soprattutto del versante occidentale, quello che va da Miramar
fino a Santa Fe.
Faccio una premessa: per me L'Avana, quella bella, va da calle h del Vedado fino a Santa Fe. Accetta due o tre quartieri esterni (Lawton, Santo Suarez, il Barrio Obrero e soprattutto la meravigliosa zona di Santa Catalina) e là muore. A parte sporadiche eccezioni il resto non mi piace. Centro Habana lo trasformerei in un enorme parcheggio o in un centro commerciale, e l'Avana vecchia la evacuerei e poi la transennerei per farne un museo a pagamento. Se non ci fosse il quartiere di Playa, io non vivrei all'Avana. Andrei a vivere in campagna, in mezzo al nulla. A me piace questa Avana prossima al mare, quella che vive del mare. Jaimanitas, Santa Fe, i villaggi di pescatori martoriati dalle mareggiate, dai cicloni, che sono paesi intimi, minuscoli, ma nello stesso tempo città, a un passo dallo strapiombo. E poi mi piace l'architettura sfavillante di Siboney, le sue ville incredibili, il suo silenzio. Siboney è una delle zone più esclusive del mondo, altro che Beverly Hills o gli Hamptons, altro che Chelsea o i Parioli. Eleganza pura e buon gusto. Ma parlavo della costa. Dunque, si deve partire da calle Primera di Miramar. Bisogna percorrerla almeno una volta al giorno. È un antidepressivo. Ti fa sentire in vacanza, sempre. Parti proprio dalla Puntilla, da quella specie di lingua di pietra che guarda al mare. Ti fermi lì e pensi che se un giorno costruiranno degli appartamenti in quel posto, venderai un rene per compratene uno. Guardi lontano e guardi la baia, guardi l'ignoto e il noto insieme, quel Malecon zozzo di tutto, di umanità e di fatti sovrapposti come pelli di serpente, e insieme l'orizzonte buio che si affaccia a nord dove tutto è una minaccia o la speranza degli idioti. Poi cammini verso ovest, il Sierra Maestra, poi il teatro Karl Marx. Ci pensi sempre un attimo: sei nel paese in cui un teatro può chiamarsi Karl Marx. Non è il paradiso? Ti stropicci gli occhi. Sei sveglio. Tra una casa e l'altra noti brevi interruzioni. Rovine. Non spiagge, non nulla. Ma crepe sul mare. La più decente è la playita di 16 che adoro, ma ce ne sono delle altre. Crolli, scogli impossibili, dientes de perro, esseri umani che prendono il sole come fachiri, guardoni, molestatori, segaioli, coppie che si fanno guardare, cani morti spolpati dagli avvoltoi, santeri a leccare il culo a questo o a quel dio, negri scesi da Marianao con stereo in spalla a tutto volume, galline che perdono la vita per togliere le emorroidi a qualcuno, qualcun altro che fotografa, sempre, quell'incantesimo. Vai avanti, passi il Copacabana con i turisti sventrati dagli illusionismi del troione di turno che gli ha organizzato una domenica "tutta la famiglia in piscina": io, tu, mamma e l'immancabile "cugino". Convitati di pietra in ogni angolo. Occhiali da sole volgari come bestemmie, tatuaggi tribali di tribù mai esistite. Tutti con un significato profondo. Poi glielo domandi questo significato profondo e ti dicono: questo totem per una che mi sono scopato tre anni fa a Salerno. Si chiamava Giusi. Non bastava un'agendina? Passi la gelateria italiana del tipo che si vanta di essere culo e camicia con Vasco Rossi, cugino, fratello di latte, gemello siamese, Albachiara, una roba così, poi i locali della notte meno indecenti, il Melen e quell'altro di cui non ricordo il nome. Passi il ponte sull'acquario nazionale e fai in tempo a vedere le facce sugli spalti del delfinario, facce scorticate dal sole e dalla paresi di un sorriso ittico. Passi davanti all'hotel Chateau e ti sorprendi a ricordare tuo padre che lo adorava quel posto, millenni fa, chissà perché. E poi adesso più avanti, tutta quell'area fino ad arrivare a calle 70 che ha pretese di spiaggia attrezzata ma non é una spiaggia. Vorresti fartela piacere ma non ci riesci. C'è qualcosa che te la mantiene distante. D'inverno i ragazzini ci fanno surf, laddove la risacca forma onde alte e lente come pachidermi preistorici. D'inverno ci vengo con Flabia. L'idea è quella di fare le foto ai surfisti ma finisco sempre per fotografare lei, i suoi sguardi, mi smarrisco in quella monotona ossessione di fermare qualcosa dei suoi occhi che mi sembra sempre di perdere per distrazione. Più avanti, dietro l'hotel Panorama, la costa diventa, ancora una volta, terreno di sacrifici. Mi cambia l'umore e l'amore per questo paese. Girano ceffi vestiti come Moira Orfei, si protendono verso il mare e ammazzano animali a ripetizione per soffocare le malinconie e le preoccupazioni del codazzo di disperati che li segue. Puzza di morte dovunque. Monnezza. Auspico sempre che si applichi una repressione durissima contro questa gente, pene severe contro i sacrifici animali, galera, legge del taglione, lapidazione, quello che sia. Poi devi prendere Tercera. Superi il Trade Center intorno al quale bazzicano i grandi affaristi d'oltreoceano, i nostri Totò. Cialtroni squattrinati incartati in giaccacce metallizzate che diventano sudari, capelli violentati da raffiche d'aerografo color mogano scuro, ventiquattrore con dentro due fette di prosciutto crudo ed un'agendina della Banca Commerciale Italiana del 1982. Trasudano un business disperato, lottizzazioni della loro ultima spiaggia, profumo leggero di caciocavallo e Rexona, in fondo in fondo soltanto un bisogno mostruoso d'attenzione da stagione prepuberale tradita. Più avanti superi il Comodoro, la sua zona dei negozi. Il baretto all'aperto ormai dominato da mandrie di troioni da quattro soldi e lenoni. Tiri dritto fino alla spiaggetta della coda di balena. È lì, una coda di balena d'acciaio piantata nella sabbia a far l'effetto di un cetaceo che si immerge da sempre. Una volta una mareggiata l'aveva divelta. Mia figlia l'aveva notata passandoci in moto. Niente, qualche giorno e stava di nuovo in piedi. Quella coda: l'equilibrio invisibile di questa città. Più avanti il circo, poi la Isla de los cocos, le giostre. Ci sono andato una volta soltanto con Nina nel periodo più difficile di sempre. Ricordo la tristezza di quei giochi. Il tempo che non passava. Il sole furioso. La paura del presente. Il mio amore per lei che non trovava parole per spiegarle ogni cosa. Più avanti si passa su Quinta. La zona del Nautico. Il campo da Baseball dove la domenica le famiglie si ammassano a guardare i figli giocare. Ogni volta mi ricorda i campetti di Roma, la pozzolana, le magliette slabbrate, l'olio canforato, le pantofole d'oro, i gol, i gol, l'istante assoluto del gol, la giovinezza. Poi lentamente, lungo quinta che diventa un viale pieno di chiaroscuri, superi Flores, intravedi altra costa sul fondo, palazzine crollate. Arrivi alla Estrella, a sinistra si va verso Siboney, pensi a casa di Fabio, alle domeniche del Roma Club. È estate. Hai nostalgia di quei momenti. Quando ricomincia? A destra c'è il Club Havana. Ci sei stato una volta e non ti piace. Ti ricordi di essere passato lì proprio il giorno dopo il ciclone Irma. Era tutto per terra come in una casa dopo il passaggio dei ladri. Ancora un rettilineo. Sulla sinistra il Punto zero. Davanti a te Jaimanitas. La fermata dell'autobus costruita da Fuster, poi la scritta a mosaico di benvenuto. Entri dentro. Strade asimmetriche. Odore di pesce. In un vicolo cieco Santy, uno dei migliori ristoranti dell'Avana. Ti piace Jaimanitas. È il quartiere di Flabia. Te la immagini lì bambina. Trotterellando in quelle strade piene di terra e sole. Senti una specie di gelosia del passato. Di quando era un miracolo anche senza di te. Vorresti riparare l'irreparabile. Mettere cerotti e fabbricare passato. Sei lì. Nel mare di questa città che sempre meno è presente, architetture, reti stradali, ma sempre più una trama inestricabile di labirinti intimi. Quelli che partono da calle Primera a Miramar e finiscono a farti battere il cuore.
Faccio una premessa: per me L'Avana, quella bella, va da calle h del Vedado fino a Santa Fe. Accetta due o tre quartieri esterni (Lawton, Santo Suarez, il Barrio Obrero e soprattutto la meravigliosa zona di Santa Catalina) e là muore. A parte sporadiche eccezioni il resto non mi piace. Centro Habana lo trasformerei in un enorme parcheggio o in un centro commerciale, e l'Avana vecchia la evacuerei e poi la transennerei per farne un museo a pagamento. Se non ci fosse il quartiere di Playa, io non vivrei all'Avana. Andrei a vivere in campagna, in mezzo al nulla. A me piace questa Avana prossima al mare, quella che vive del mare. Jaimanitas, Santa Fe, i villaggi di pescatori martoriati dalle mareggiate, dai cicloni, che sono paesi intimi, minuscoli, ma nello stesso tempo città, a un passo dallo strapiombo. E poi mi piace l'architettura sfavillante di Siboney, le sue ville incredibili, il suo silenzio. Siboney è una delle zone più esclusive del mondo, altro che Beverly Hills o gli Hamptons, altro che Chelsea o i Parioli. Eleganza pura e buon gusto. Ma parlavo della costa. Dunque, si deve partire da calle Primera di Miramar. Bisogna percorrerla almeno una volta al giorno. È un antidepressivo. Ti fa sentire in vacanza, sempre. Parti proprio dalla Puntilla, da quella specie di lingua di pietra che guarda al mare. Ti fermi lì e pensi che se un giorno costruiranno degli appartamenti in quel posto, venderai un rene per compratene uno. Guardi lontano e guardi la baia, guardi l'ignoto e il noto insieme, quel Malecon zozzo di tutto, di umanità e di fatti sovrapposti come pelli di serpente, e insieme l'orizzonte buio che si affaccia a nord dove tutto è una minaccia o la speranza degli idioti. Poi cammini verso ovest, il Sierra Maestra, poi il teatro Karl Marx. Ci pensi sempre un attimo: sei nel paese in cui un teatro può chiamarsi Karl Marx. Non è il paradiso? Ti stropicci gli occhi. Sei sveglio. Tra una casa e l'altra noti brevi interruzioni. Rovine. Non spiagge, non nulla. Ma crepe sul mare. La più decente è la playita di 16 che adoro, ma ce ne sono delle altre. Crolli, scogli impossibili, dientes de perro, esseri umani che prendono il sole come fachiri, guardoni, molestatori, segaioli, coppie che si fanno guardare, cani morti spolpati dagli avvoltoi, santeri a leccare il culo a questo o a quel dio, negri scesi da Marianao con stereo in spalla a tutto volume, galline che perdono la vita per togliere le emorroidi a qualcuno, qualcun altro che fotografa, sempre, quell'incantesimo. Vai avanti, passi il Copacabana con i turisti sventrati dagli illusionismi del troione di turno che gli ha organizzato una domenica "tutta la famiglia in piscina": io, tu, mamma e l'immancabile "cugino". Convitati di pietra in ogni angolo. Occhiali da sole volgari come bestemmie, tatuaggi tribali di tribù mai esistite. Tutti con un significato profondo. Poi glielo domandi questo significato profondo e ti dicono: questo totem per una che mi sono scopato tre anni fa a Salerno. Si chiamava Giusi. Non bastava un'agendina? Passi la gelateria italiana del tipo che si vanta di essere culo e camicia con Vasco Rossi, cugino, fratello di latte, gemello siamese, Albachiara, una roba così, poi i locali della notte meno indecenti, il Melen e quell'altro di cui non ricordo il nome. Passi il ponte sull'acquario nazionale e fai in tempo a vedere le facce sugli spalti del delfinario, facce scorticate dal sole e dalla paresi di un sorriso ittico. Passi davanti all'hotel Chateau e ti sorprendi a ricordare tuo padre che lo adorava quel posto, millenni fa, chissà perché. E poi adesso più avanti, tutta quell'area fino ad arrivare a calle 70 che ha pretese di spiaggia attrezzata ma non é una spiaggia. Vorresti fartela piacere ma non ci riesci. C'è qualcosa che te la mantiene distante. D'inverno i ragazzini ci fanno surf, laddove la risacca forma onde alte e lente come pachidermi preistorici. D'inverno ci vengo con Flabia. L'idea è quella di fare le foto ai surfisti ma finisco sempre per fotografare lei, i suoi sguardi, mi smarrisco in quella monotona ossessione di fermare qualcosa dei suoi occhi che mi sembra sempre di perdere per distrazione. Più avanti, dietro l'hotel Panorama, la costa diventa, ancora una volta, terreno di sacrifici. Mi cambia l'umore e l'amore per questo paese. Girano ceffi vestiti come Moira Orfei, si protendono verso il mare e ammazzano animali a ripetizione per soffocare le malinconie e le preoccupazioni del codazzo di disperati che li segue. Puzza di morte dovunque. Monnezza. Auspico sempre che si applichi una repressione durissima contro questa gente, pene severe contro i sacrifici animali, galera, legge del taglione, lapidazione, quello che sia. Poi devi prendere Tercera. Superi il Trade Center intorno al quale bazzicano i grandi affaristi d'oltreoceano, i nostri Totò. Cialtroni squattrinati incartati in giaccacce metallizzate che diventano sudari, capelli violentati da raffiche d'aerografo color mogano scuro, ventiquattrore con dentro due fette di prosciutto crudo ed un'agendina della Banca Commerciale Italiana del 1982. Trasudano un business disperato, lottizzazioni della loro ultima spiaggia, profumo leggero di caciocavallo e Rexona, in fondo in fondo soltanto un bisogno mostruoso d'attenzione da stagione prepuberale tradita. Più avanti superi il Comodoro, la sua zona dei negozi. Il baretto all'aperto ormai dominato da mandrie di troioni da quattro soldi e lenoni. Tiri dritto fino alla spiaggetta della coda di balena. È lì, una coda di balena d'acciaio piantata nella sabbia a far l'effetto di un cetaceo che si immerge da sempre. Una volta una mareggiata l'aveva divelta. Mia figlia l'aveva notata passandoci in moto. Niente, qualche giorno e stava di nuovo in piedi. Quella coda: l'equilibrio invisibile di questa città. Più avanti il circo, poi la Isla de los cocos, le giostre. Ci sono andato una volta soltanto con Nina nel periodo più difficile di sempre. Ricordo la tristezza di quei giochi. Il tempo che non passava. Il sole furioso. La paura del presente. Il mio amore per lei che non trovava parole per spiegarle ogni cosa. Più avanti si passa su Quinta. La zona del Nautico. Il campo da Baseball dove la domenica le famiglie si ammassano a guardare i figli giocare. Ogni volta mi ricorda i campetti di Roma, la pozzolana, le magliette slabbrate, l'olio canforato, le pantofole d'oro, i gol, i gol, l'istante assoluto del gol, la giovinezza. Poi lentamente, lungo quinta che diventa un viale pieno di chiaroscuri, superi Flores, intravedi altra costa sul fondo, palazzine crollate. Arrivi alla Estrella, a sinistra si va verso Siboney, pensi a casa di Fabio, alle domeniche del Roma Club. È estate. Hai nostalgia di quei momenti. Quando ricomincia? A destra c'è il Club Havana. Ci sei stato una volta e non ti piace. Ti ricordi di essere passato lì proprio il giorno dopo il ciclone Irma. Era tutto per terra come in una casa dopo il passaggio dei ladri. Ancora un rettilineo. Sulla sinistra il Punto zero. Davanti a te Jaimanitas. La fermata dell'autobus costruita da Fuster, poi la scritta a mosaico di benvenuto. Entri dentro. Strade asimmetriche. Odore di pesce. In un vicolo cieco Santy, uno dei migliori ristoranti dell'Avana. Ti piace Jaimanitas. È il quartiere di Flabia. Te la immagini lì bambina. Trotterellando in quelle strade piene di terra e sole. Senti una specie di gelosia del passato. Di quando era un miracolo anche senza di te. Vorresti riparare l'irreparabile. Mettere cerotti e fabbricare passato. Sei lì. Nel mare di questa città che sempre meno è presente, architetture, reti stradali, ma sempre più una trama inestricabile di labirinti intimi. Quelli che partono da calle Primera a Miramar e finiscono a farti battere il cuore.
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Probabilmente,
come dice qualche amico, Zarlatti avra' anche una visione non sempre
ottimistica delle cose ma...quanto scrive bene...
Questo
pezzo me lo sono addirittura stampato, mi piacerebbe al termine di un mio
viaggio percorrere questo itinerario anche se sono consapevole che,
trascorrendo pochi giorni nella capitale di tutti i cubani, la cosa e'
abbastanza complicata.
Per
ora.
Trattasi
di un piccolo viaggio che non deve essere solo un viaggio, La Habana
ma direi tutta Cuba non va attraversata come potremo fare con qualsiasi altro
paese.
In
ogni angolo, in ogni calle, in ogni potrero ci sono ragioni per fermarsi a
guardare, e guardando capire davvero bene il paese che amiamo.
In
fondo, sessanta e passa viaggi a Cuba, ma del paese cosa conosco in realta'?
Potrei
dire la mia citta', Las Tunas ma anche a casa mia, ad ogni viaggio, scopro
luoghi sconosciuti di cui ignoravo l'esistenza.
Un
paio di viaggi fa andai in scooter a prendere una fanciulla in quello che
chiamano PETROL-BARRIO.
Siamo
in Nueva Sosa gia' di per se un barrio molto periferico, oltre la linea, oltre
ogni linea.
Dopo
il ciclon Chavez ( da qui' il nome legato al petrolio) dono' alla citta' una
serie di prefabbricati, sistemati in questo spazio periferico ed assegnati, non
so con quale criterio, a delle famiglie, suppongo a quelle che dal ciclon si
videro la casa distrutta.
Ogni
prefabbricato ha un piccolo terreno tutto intorno, in ognuno di questi terreni
sono stati piantati dei fiori che lo colorano.
Pulito,
ordinato in un contesto dove di pulito ed ordinato non c'e' nulla, non sapevo
neanche dell'esistenza di questo angolo di citta' eppure sono sempre la'.
Il
fatto e' che alla fine noi turisti gravitiamo sempre in zone che ci competono,
il centro e le 3 cuadre attorno, alla municipalita' va benissimo cosi', in
questo modo ci perdiamo a volte dei luoghi che meriterebbero di essere visti.
La
Habana e' una grande citta' con un'immensa baia, non sono mai stato a Regla,
che rappresenta l'altro lato della baia, mi piacerebbe andarci, come mi
piacerebbe andare in tanti altri posti ma alla fine nei pochi giorni che
trascorro nella capitale occorre fare delle scelte.
Durante
l'ultimo viaggio, una mattina, sono andato a correre, mentre attraversavo Plaza
de la Revulucion con le gigantografie del Che e di Camilo mi sono fermato.
Mi
sono guardato attorno, in quel grande spazio “Cazzo, sono a Cuba, sto' correndo
attraverso Plaza de la Revolucion de La Habana, un luogo storico e mitico e
manco me ne rendo conto”.
A
volte diamo per scontato che la fortuna sia eterna, che il futuro ci
consentira' sempre di prendere un aereo e attraversare gli oceani per vivere
simili sensazioni.
Nulla
e' scontato e nulla e' per sempre (a parte i diamanti).
Per
questa ragione, ben sapendo che ci sara' sempre un ritorno, mi piace
considerare ogni viaggio come unico, come se non ce ne potessero essere altri.
Se
diamo troppe cose per scontate rischiamo di non godercele, di perdere momenti
unici che potrebbero anche non tornare.
Il Cosenza Calcio è già a Torino, dove domani inaugurerà la stagione ufficiale dei granata nel terzo turno di Coppa Italia 2018/2019. I giocatori calabresi, però, sono già in città e la società ha deciso di fare visita al Superga nella giornata di oggi, per omaggiare – prima della gara con i granata – i caduti del Grande Torino. Come si legge nel post pubblicato su Facebook dalla società, l’idea è stata del Presidente Eugenio Guarascio: “Qualche mese fa il 69° anniversario della tragedia di Superga, un evento che ha segnato la storia del calcio italiano. Oggi il Cosenza Calcio, in trasferta a Torino in occasione della gara di Coppa Italia, ha inteso rendere omaggio a Valentino Mazzola e i suoi compagni, vittime dello schianto, avvenuto alle 17.05 del 4 maggio 1949, del trimotore I-Elce, di ritorno da Lisbona, contro la Basilica di Superga. Il Presidente Eugenio Guarascio ha suggerito alla squadra rossoblù la toccante visita e il momento di riflessione davanti alla lapide che riporta i nomi delle 31 vittime dell’incidente aereo. Grande la commozione per i calciatori e lo staff tecnico che, in silenzio, hanno sostato sul colle e ricordato il Grande Torino”.
RispondiEliminaL’immagine di Mussolini esposta dietro al bancone di un bar di Modica ha fatto andare su tutte le furie una cliente. La donna ha chiamato i carabinieri che hanno sequestrato il manifestino e hanno denunciato il titolare per apologia del fascismo. “Mi vergogno di tornare nella mia terra quando succedono cose come questa – racconta la cliente su Facebook – un noto bar di Modica, espone al pubblico, e sottolineo l’essere esposta alla fruizione di tutti, l’immagine di Mussolini accompagnata da una citazione”. Sul poster, posizionato nell’area tabacchi, c’era scritto una frase del duce: “Non ho paura del nemico che mi attacca ma del falso amico che mi abbraccia”.
RispondiEliminaLa ragazza continua il racconto: “Ho chiesto se nessuno si vergognasse per quell'immagine e alla mia richiesta di spiegazioni, mi è stato detto con tanta leggerezza quanta superficialità: ‘E che problema c'è? Mica è esposta’”. La ragazza ha poi ringraziato i carabinieri di Modica, guidati dal capitano Francesco Ferrante, che sono intervenuti dopo la segnalazione.
Santa Fe- Da quando veniamo al mondo siamo dei condannati a morte, possiamo anche non pensarci ma è cosi, L'ideale sarebbe vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo,smettere di correre e riprendere a camminare osservando con piacere quei particolari che rendono la terra unica.
RispondiEliminaIl Boss cantava Born to run...
EliminaCi sarebbero mille posti di Cuba che vorrei vedere. Giuseppe
RispondiEliminaÈ il tempo che inizia a mancare ahimè
EliminaIl Torino Football Club comunica di aver ceduto a titolo definitivo all’AC ChievoVerona il diritto alle prestazioni sportive del calciatore Joel Obi
RispondiEliminaTutto il Torino FC saluta con affetto Joel e gli augura le migliori fortune per questa nuova esperienza professionale”.
hola! anche io vorrei vedere posti differenti ma nella vita si devono fare scelte anche se avessi + tempo e soldi alla fine farei sempre le cose che mi piacciono l'altro lo vedo quasi come una perdita di tempo. Per fortuna in quel de la isla sto vicino alla capital che mi trasmette sempre nuove emozioni, ha un fascino particolare. chao Enrico
RispondiEliminaInfatti per vedere certi posti bisognerebbe vivere la e avere tempo anche per quello.
RispondiEliminaCoppa Italia
RispondiEliminaToro-Cosenza
TORINO (3-5-2): Sirigu; Moretti, Nkoulou, Izzo; De Silvestri, Meitè, Rincon, Baselli, Berenguer; Iago Falque, Belotti. A disp. Ichazo, Rosati, Bremer, Ferigra, Ansaldi, Lukic, Valdifiori, Parigini, Edera, Niang. All. Mazzarri.
PRESENTE AL GRANDE TORINO!
Nemmeno io mai stato a Regla, se non in compagnia di Miguel Mejides - Rumba Palace...
RispondiEliminahttp://www.lajiribilla.co.cu/2001/n9_junio/224_9.html
Leonardo
1-0 Baselli
RispondiElimina2-0 Gallo
RispondiElimina3-0 Gallo
RispondiElimina4-0 Rincon
RispondiEliminaSicuramente scrive bene ma mi fa girare i goglioni quando parla dei turisti in compagnia del troione di turno mentre lui frequenta solo delle cubane santificate....Alessio
RispondiEliminaNon ha parlato in generale ma di troioni che frequentano certi locali.
EliminaMilco che ne dici degli Europei appena conclusi? Italia terza nella classifica delle varie Nazioni con 60 medaglie complessive! Germania e Francia ci stanno dietro....gran bel risultato! Alessio
RispondiEliminaVengo dal judo uno sport di cui si parla solo alle olimpiadi quindi sono super felice quando altri sport al di fuori del calcio salgono alla ribalta.
EliminaOra anche Klm/Air France fanno il prezzo del volo senza il bagaglio in stiva....fancul...Alessio
RispondiEliminaCazzo e' vero....non avendo piu' fatto simulazioni mi era sfuggito...
RispondiElimina12 kg....a me basterebbero.