ALESSANDRO ZARLATTI - IL BELLO DELL'AVANA
Fa
freddo. In queste ultime settimane sta facendo freddo. Come non ha mai fatto. O
almeno così sembra a me. Ogni volta mi piace dire che a Cuba fa freddo tre
giorni l'anno. L'inverno come un'eclissi rapidissima. Però io non faccio testo:
non ricordo niente.
L'anno scorso di questi tempi ero dall'altra parte di me
stesso e arrancavo dietro a nuove tristezze che trattavo con medicinali
scaduti. Birre, canzoni, rilanci. Forse faceva freddo anche un anno fa. Ora che
ci penso mi sembra di ricordare la pioggia e il cielo scuro che rimbombava
dietro a tutto. In ogni modo fa freddo e L'avana sembra smarrita. Tra le sue
certezze ha il calore che non perdona, quello che modifica, anzi forgia, i
passi delle persone, il ritmo delle parole, le ore, i giorni, il sapore dei
baci, la lentezza degli sguardi, i progetti di vita, i ricordi. Il caldo.
Mentre così, sferzata dalle folate violente che ricordano quello che Cuba non
è, quello che Cuba non vuole essere, sembra una chiesa profanata da ragazzini
che hanno piani modesti. E allora sembra una tregua. Tutti sospesi come su una
corda nel vuoto, tra l'ultimo caldo e il prossimo. Tra colori e colori, tra
musica e musica, tra balli e balli. A me rilancia una di quelle corde
invisibili che tengo interrate in giardino. L'aria di Roma. Certi freddi, certi
venti, tutti i ricordi che attaccandosi a quella fune tornano in superficie
come in un'archeologia di me stesso. E allora diventano quelle giornate di
ottobre quando Roma non vuole decretare ancora la fine dell'estate. E tu neanche.
Giri in motorino nel tardo pomeriggio e prendi un cappuccino da qualche parte e
becchi Giacomo o Peppe o Sandrone. Chiacchiere verso Campo dei Fiori, piazza
Farnese. Qualche zozzone per strada. Poi un'occhiata alle bettole dell'usato di
Governo Vecchio. La solita merda. Ti ricordi di Jacopo? Ti ricordi che
cappottoni assurdi ci comprava in quei posti? E poi una (dozzina di) Ceres al
bar San Callisto. Ti ricordi? Anni passati su quei tavoli a dire fregnacce.
Giacomo, Sandrone, Peppe, Jacopo, Giorgia, Emma, i fratelli, aspè, come si
chiamavano... i fratelli Flego e poi Tony e Maurizio. Più avanti con Marzia,
con Olivia, con Laura, con Anna. E poi gli eroinomani seduti ai tavoli e quello
che girava sempre con il Manifesto del partito comunista nella tasca della
giacca. E poi l'attore bravo con la ragazza bona. Dario Bellezza. Victor
Cavallo: genio, morto prestissimo. Quelli che campavano facendosi gli
appartamenti. Quelli che sparivano e finivano in carcere. I finti compagni. I
veri fascisti. Ti ricordi, Già? Le feste. Sì, si andava alle feste, devastati
dalla birra e dalle canne. Faceva freddo ma non lo sentivi. Si girava in
macchine con bolli mai pagati, con assicurazioni di fantasia, si finiva in
ordine sparso, per miracolo, a casa. Col freddo, con Roma. Quella notte che
siamo passati dietro un'aiuola e siamo finiti dentro ai fori romani a fare
chiacchiere metafisiche. Quell'altra in cui siamo finiti all'alba a Napoli a
mangiare le cozze. Ti ricordi? Poi da Scaturchio, poi boh. Faceva questo
freddo. Quello dolce. Quello che ti fa credere in un tempo infinito,
nell'amicizia per sempre, nelle stagioni che non finiscono.
Oggi
quel freddo, qui. All'avana. Mi sveglio prima di Flabia. Mi preparo un caffè.
Lavo dei piatti. Do un'occhiata a internet e poi mi rimetto a letto. Tiro la
coperta fino al mento. Non mi addormento ma lascio la testa in quel bagnasciuga
tra la realtà e i ricordi. Quelli. I miei amici, Roma, il San Callisto. Poi ci
svegliamo e iniziamo pigramente a fare dei lavoretti programmati da tempo. Flabia
si mette a verniciare una porta mentre io cerco di aggiustare una finestra.
Accompagnati da canzoni strazianti, boleri, colpi bassi, agguati, non ci
facciamo abbattere. Siamo contenti. Ogni tanto ci sorridiamo e ci diciamo di
amarci. Fa freddo. Quel freddo così lontano e stranamente vicino, a tal punto
che ti entra nelle ossa. Peppe, Sandrone, Giacomo e tutto il mio mondo sono qui
con me, inspiegabilmente. Certe volte sembra che il tempo sia una dimensione
diversa. Non certo lineare ma una specie
di caos ipertestuale dove un bacio ti richiama un percorso, un odore, parole,
dove una temperatura piú bassa del normale ti restituisce una stagione intera o
due occhi soltanto.
Mentre l'Avana fa silenzio, spaesata in questa
attesa di tempi migliori, di climi migliori, che gli toglie solo per un attimo
l'anima.---------------------------------------------------------------------
Il
freddo a Cuba non e' una bella cosa, in generale il freddo non e' mai
una bella cosa.
A
dicembre arrivo a La Habana e fa freschino...non freddo, mi spiegano
che sta' terminando un frente frio, ne aveva parlato il Gugone nel
nostro gruppo su whatsapp.
Freddo
che ci ha confermato lo stesso Gugu ieri raccontandoci di una gionata
con 15 gradi.
Mi
faccio portare davanti al terminal Viazul dallo chauffeur di casa Zule
tenendomi addosso una felpina leggera ma togliendomi il giubbottazzo.
Di
notte, mentre in auto andavamo verso Tunas, ci fermiamo alcune volte
in mezzo al nulla per un caffe'....frio de pinga.
Mi
rimetto il giubbottazzo che avevo in Italia uno di quelli bicolori da
Football americano o universitari...bello spesso.
Poi
a Tunas caldo anche se non caldissimo, di sera con lo scooter la
felpina leggera era la morte sua.
Il
freddo a Cuba, anche se parliamo di 12/15 gradi che da noi, in
inverno, sono una festa ci destabilizza, non siamo mentalmente
preparati ad affrontarlo.
Cuba,
nell'immaginario collettivo e' il caldo, il mare, le palme, le
mulatte ecc....non certo la maglietta della salute ed il mutandone
ascellare.
Fra
l'altro col passare degli anni il freddo lo tollero sempre di meno.
Eppure
sono stato un ragazzo piemontese e torinese tirato su a geloni,
nebbia, polenta e castagne.
Leggevo
il racconto di Alessandro e mi rendevo conto come l'adolescenza di un
ragazzo romano, napoletano o siciliano sia stata cosi' diversa da
quella mia e di chi e' cresciuto quassu', al nord.
Le
ottobrate romane, a Torino, specialmente in quegli anni ce le
scordavamo, faceva gia' freddo, le vacanze erano un ricordo e
passavamo le mattinate a fare cortei scioperando e tagliando da
scuola con ogni pretesto.
Anche
le cose piu' intime, il sesso o qualcosa di simile hanno avuto
percorsi differenti in quegli anni.
Un
ragazzo del centro sud avra' ricordi di notti in spiaggia, in
camporella, dentro fienili, sui prati.
Io
ricordo in gennaio, su una scassata vecchia 500, persi in una viuzza
laterale della strada comunale per Cumiana, di notte, fuori un
nebbione da paura, freddo cane a combattere con patta aperta a
mutande alla cacaiola con la leva del cambio (pericolosissima) e con
le chiappe che si ghiacciavano.
Come
diceva Guccini “vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di
clima e non di voglia”.
Se
cresci col sole ed il cielo chiaro sopra la testa poi quel cielo e
quel sole te lo porti dentro sempre, se invece vieni su fra le nebbie
ed il freddo e' difficile poi sviluppare un carattere aperto e
gioioso.
Se
non arrivavano i villaggi oggi forse sarei il classico torinese
ombroso che ritiene una botta di vita una domenica in spiaggia libera
a Borghetto o un abbonamento pomeridiano a Bardonecchia....e parlo di
torinesi a cui e' andata di culo, che possono permetterselo.
Una
cosa e' sicura, quando decidero' di andare a svernare per 6 mesi lo
faro' in quelli invernali, da aprile in poi l'Italia e' bellissima.
Prima
ve la lascio tutta.